"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

lunedì 30 settembre 2013

Noi, i nostri pensieri, la... "crisi"

di
Luciano Martinoli

Noi "siamo" ciò che pensiamo. Lo dicono le scienze cognitive, o meglio ciò che l'umanità ha scoperto su se stessa. Essere qualcosa di diverso parte allora dai nostri pensieri, dal nostro "giardino" cognitivo, dove vi sono gli alberi che daranno i frutti che useremo come ingredienti base per i nostri comportamenti, per le nostre relazioni, per costruirci come siamo. 

Cosa abbiamo nel nostro giardino? Piante vecchie e asfittiche, che danno frutti malati: performance, misurazione di tutto ciò che ci circonda, talento come grazia divina... 
Non c'è da meravigliarsi allora che, con questi ingredienti, l'unica cosa che sappiamo immaginare è... funzionare, invece di "vivere"!

giovedì 26 settembre 2013

Immaginate di voler diffondere i valori aziendali

di
Francesco Zanotti

Una delle azioni direzionali più comuni è quella di diffondere un “elenco” di valori, immaginando che esso abbia effetti “benefici” sui comportamenti e, quindi, sui risultati..
Apparentemente lodevole, ma è un obiettivo che non può produrre i risultati attesi. E’ più probabile che sia contro producente. Le ragioni sono le seguenti.
Innanzitutto i valori non sono oggetti ben definiti che stanno nella testa del CEO. Egli, come tutti gli esseri umani, ha una esistenzialità profonda che si può esprimere in mille valori. Ha un patrimonio pressoché infinito di valori potenziali. Essi si concretizzano, si precisano, quando il CEO decide di cominciare a “scriverli”. E il processo di definizione dipende dalle risorse cognitive in possesso del CEO, dalla sua condizione psicologica, dallo stato del suo sistema di relazioni, dal contesto complessivo in cui si trova, dal tipo di medium che utilizza (scrivere a mano su di un foglio di carta o prepararsi una presentazione Power Point ottiene un risultato completamente diverso), dal tipo di linguaggio che usa.
Il fatto che dipendano da tutte queste “cose” significa che, se fate stendere ad un CEO due volte l’elenco dei valori che giudica fondamentali, in due contesti diversi, in due momenti diversi, prima e dopo aver dato a lui un nuovo sistema di ricorse cognitive, i due elenchi saranno diversi.
Ancora, è probabile che se fate vedere ad un CEO l’insieme di valori che lui stesso ha scritto, ma in un momento diverso, in un contesto diverso,  scritti con un linguaggio diverso, dopo avergli fornito nuove risorse cognitive, è probabile che non lo riconosca
Ma facciamo finta che esista (e non è possibile) un elenco di valori che il CEO definisce e riconosce in qualunque momento ed in qualunque contesto, poi cosa accade di questo elenco? Accade che occorre diffonderlo. E qui si manifestano altri problemi
Persone diverse interpreteranno questo elenco in modi diversi e ne daranno giudizi diversi.
Non solo, ma la comunicazione di un insieme di valori scatena non tanto applicazioni, ma conversazioni sui valori.
Cioè la comunicazione di un sistema di valori contribuisce alla chiusura autoreferenziale dei gruppi organizzativi.
Ma supponiamo che anche il problema dell’implementazione non esista (ma esiste!). Anche in questo caso lo sforzo del CEO non otterrebbe i risultati che si aspetta.

E le ragioni sono semplicissime. La prima è che lui, per primo non sa specificare quali comportamenti sono l’applicazione di quei valori. E non sa dire esattamente che risultati si possa attendere. Si illude che le persone “ragionando bene” troveranno loro i comportamenti conseguenti corretti. Peccato che persone diverse tra di loro e diverse dal CEO ragionino in modi diversi perché hanno sistemi di risorse cognitive diverse. E, quindi, deducano dallo stesso elenco di valori comportamenti diversi. Poiché in una grande organizzazione i sistemi cognitivi sono molto differenziati è più che probabile che lo stesso elenco di valori generi comportamenti differenziatissimi, anche opposti.

lunedì 23 settembre 2013

When we think of …

di
Francesco Zanotti


Ho partecipato, insieme a due Colleghi di CSE Crescendo (Maria Chiara di Luzio e Riccardo Profumo), al seminario della EUS (European Union for Systemics) dal titolo: “Knowledge for the Future of the Knowledge Society" che si è tenuto a Charleroi (Belgio) il 20 settembre scorso. Abbiamo presentato tre contributi le cui slides di presentazione sono disponibili e scaricabili su questo blog nella sezione Libri, Link, Eventi.
Ho provato a scrivere un commento finale. In inglese, come sono in inglese le presentazioni, per permettere un più vasto utilizzo del nostro blog.

“When we think of people at work we imagine people manufacturing some products or delivering some services. We try to manage them, for example, prescribing procedures or proposing a list of values .... Wrong!
People are writers of specific “local” human stories. Different stories in different “loci” of the organization. Inputs (procedures, values etc.) of managers can be just “interferences”. It is impossible, both theoretically and practically, to foresee their impact.
In fact.

Let’s consider procedures.
At first glance procedures might be considered a “play script” that people are asked to represent. Wrong! Procedures cannot be considered an exhaustive play script because it’s impossible to prescribe all behaviors. That means that people have a lot of spaces of freedom (that often managers are not aware of) they have to fill-in with self-defined behaviors. The inevitable conclusion is that a group of procedures can just be an interference for the “story creation” processes. Procedures will be applied or not, will be “completed” with certain self-defined behaviors or with others, depending on the cognitive systems of story “writers”, on their relations system, on the anthropology of each group in the organization.

Let’s consider values.  
Something similar happens with values. Reasons are that values are not things, but emergencies from the informal organization and there is a non-casual connection between values and behaviors.
Suppose a CEO wants to manage an organization through values. First problem is that a CEO does not have a defined list of values, already recorded in some places of its (or her) mind. He (or she) thinks of values just when he (or she) decides to wright down a list of them. Secondly, the process of emergence of values in the mind finishes when the ideal list in the mind becomes a concrete list in a piece of paper, in a group of slides, in a speech …
Well … it is evident that the process of emergence of values depends on psychological condition and relational context of the CEO. And on types of media and languages he (or she) used. From a different psychological condition, relational context and using different media and languages, a different list of values will emerge.
Beyond of that it is important to consider the hermeneutical process. When people receive the defined list of values, each of them interprets in different ways that list, depending on his (or her) psychological conditions and relational context, his (or her) reactions to particular media and languages used by the CEO.
Last, but not least, the process of real stories creation evolves. If CEO just gives people “orders” (procedures are orders, values are used as orders) this process becomes self-referential: it regenerates always the same story. The self-referentiality generates what it is called “resistance to change”

Conclusion: the process of “constructing real stories of real life at work” it is completely in the hands of people. Real stories are the real strategy of an enterprise. Real stories generate cash.
If a CEO wants to govern the process of cash generation (are there any CEOs who are not willing to govern the process of cash generation?), he or she has to govern the process of “constructing real stories of real life at work”.

In which way?

venerdì 20 settembre 2013

Pregiudizi sulle donne: dissolverli non risolverli

di
Luciano Martinoli

Il numero di settembre di Harvard Business Review dedica la copertina al tema delle donne e della discriminazione di cui sono vittime per arrivare ai posti di comando. Gli articoli dedicano il consueto tributo all'orientamento alle diversità, identificano una forma opposta, ma non meno dannosa, di inclusione con riguardo alla diversità stessa, ma non affrontano, a mio avviso, la questione da una prospettiva realmente diversa: perché si fa riferimento ad un modello unico di persona “dirigente”, indipendentemente dal sesso, razza, religione, età, ecc.?
Ponendo la questione da questo punto di vista, complementare alla ricerca del perché le donne non fanno carriera, ci si accorge subito che è maggiormente illuminante sulle radici profonde del problema e più feconda per arrivare a determinare soluzioni. Inoltre appare evidente che il problema femminile è un corollario di un problema più ampio: quello della pervicacia ricerca del proprio “simile” (ai posti di comando, nel proprio gruppo, ecc.).

domenica 15 settembre 2013

Gestire grane o costruire sviluppo?

di
Francesco Zanotti


Credo che molti manager stiano percependo sulla pelle l’aumento delle “grane”.
Le possibili interpretazioni di questo fenomeno sono due. Scelga il lettore quale preferisce.

La prima. Le “grane” nascono da due “minacce”. La crisi esterna sta generando la perdita della capacità di produrre cassa delle imprese. Il tentativo di recuperare passa dallo stressare le persone (lavorare di più e prendere meno). Ma le persone cercano di “resistere” e, quindi, le grane aumentano.
Se si sceglie questa interpretazione, forse, si gratifica l’io di qualche manager a vocazione prometeica o con il gusto di “portare pace”. Lo si tranquillizza perché non deve imparare nulla di nuovo. Ma solo fino a che non suona il campanello (che purtroppo molti manager stanno sentendo) del “tutti a casa”: l’impresa scompare sotterrata da crisi esterne ed interne.

La seconda. Le minacce sono solo la causa del rifiuto di opportunità. La crisi esterna è il segnale che i prodotti e servizi attuali sono invecchiati, interessano sempre meno ed emerge antropologicamente la voglia di un nuovo sistema di prodotti e servizi. Le imprese hanno difficoltà ad immaginarli e perdono, conseguentemente, la loro capacità di generare cassa. Se, per tentare di controbattere questo fenomeno, i manager stressano le persone (che avrebbero, invece, una gran voglia di partecipare a progettare nuovi prodotti e servizi) allora auto generano le grane che poi dovranno risolvere.
Se può interessare, tutte le scienze naturali ed umane suggeriscono la seconda interpretazione. E ragionandoci su, si scopre che suggeriscono anche cosa deve fare, di diverso dal manager che gestisce grane, il manager che vuole costruire sviluppo. Invece di stressare efficienza deve stimolare e sintetizzare progettualità. In questo secondo caso dare un’occhiatina a cosa dicono le scienze naturali ed umane diventa importante.

Di fronte a queste due interpretazioni, poi … decida il manager. Se continuare a considerare le grane come occasione di identità e di difesa verso la conoscenza.

Oppure rischiare la via della conoscenza che, tra l’altro, viene incontro anche ai suoi certamente vivissimi desideri di una nuova profondità della vita e della professione. Il Poeta avrebbe , forse, scritto: “assunti non foste a gestire grane, ma per seguire la virtù dello sviluppo attraverso la via della conoscenza”.

martedì 10 settembre 2013

Citazioni imbarazzanti n° 8. Da Gary Hamel

di
Francesco Zanotti


Il libro è: What Matters Now, pubblicato l’anno scorso.
Le citazioni sono tratte dal paragrafo: “Excaping The Management Tax” da pag. 207.

Una struttura manageriale troppo pesante non solo è tirannica, ma è anche costosa”.
Tutti saranno d’accordo sul costosa, ma quello che vorrei sottolineare, è il fatto che Hamel la giudica tirannica.

Parlando di una impresa con 100.000 “first level employees” : “ … il colosso avrà migliaia di persone di staff, a livello senior, in IT, Finanza, HR e Pianificazione. La loro mission primaria? Preservare l’organizzazione dal collassare sotto il peso della sua complessità”.

L’arroganza, la miopia e l’ingenuità possono corrompere il processo decisionale ad ogni livello, ma il rischio cresce quando il potere del decisore è, per forza di cose, incontestabile”.

I manager più potenti, nella maggior parte delle organizzazioni, sono i più lontani dalla realtà  di coloro che stanno “al fronte” dell’impresa”. Sul fonte del mercato e del sociale, dico io.

Non sto proponendo Hamel come riferimento assoluto. Anzi, nel libro che sto completando, e che presenteremo in edizioni separate per manager e consulenti, faccio molti passi avanti rispetto ad Hamel nell'analisi e, soprattutto, nella proposta.
Ma rimane il fatto che Hamel è un punto di riferimento a livello mondiale. E mi sembrerebbe almeno disdicevole fare spallucce alle sua affermazioni.
Credo che tutti insieme dobbiamo prendere atto che un intero paradigma manageriale è abbondantemente tramontato. Ed è il suo tramontare che genera l’ecologia di crisi che stiamo vivendo.

Io credo che sia tramontata l’ipotesi che sta al fondo del paradigma manageriale attuale. La pretesa di guidare direttivamente uomini ed organizzazioni. Dobbiamo accettare l’idea che gli uomini e le organizzazioni non possano essere governate direttivamente. Chi ci prova ottiene come risultato solo quello di costruirsi una torre di avorio cognitiva e relazionale che lo illude di governare. Ovviamente un cambiamento di paradigma non lo si costruisce proponendo qualche corso di formazione di moda o qualche slogan manageriale importato dagli USA e distribuito in Italia. Nasce solo dalla riflessione profonda su tutte le scienze umane a naturali che hanno qualcosa da dire sul fenomeno umano.

giovedì 5 settembre 2013

Fatica e riposo. Ovvero delle inumanità del lavorare attuale

di
Francesco Zanotti


E’ fisiologicamente indispensabile che alla fatica debba seguire il riposo. Quando un atleta ha finito una maratona, quando uno scalatore scende dalla montagna, quando è finita una partita a calcetto con gli amici, poi ci si deve riposare.
Ma … durante quelle fatiche non si pensa al riposo. E, spesso, il riposo è il ricordo della fatica e il programmare la fatica successiva.
Il lavoro sembra essere una fatica diversa. Durante la fatica si pensa al riposo. Si spera che il lavoro finisca presto per vivere il riposo. Durante il riposo il lavoro è visto come una dannazione. Il rientro al lavoro è vissuto con tristezza.
La domanda è: ma è “naturale” che sia così? La risposta è: no!
E’ così per i tipi di lavoro che la società industriale rende disponibili. E’ così perché non sappiamo gestire l’uomo al lavoro.

E’ possibile immaginare un altro lavoro, un’altra impresa, una altra modalità di gestione. Ne parliamo continuamente in questo blog. Questo immaginare non è un desiderio irrealizzabile. E’ l’unico modo per uscire dalla crisi attuale.

martedì 3 settembre 2013

Il nostro progetto di ricerca e i suoi risultati

di
Francesco Zanotti


Come forse molti sanno, abbiamo, nel passato, avviato un programma di ricerca che, fino ad oggi, nessuna istituzione (e, a maggior ragione, nessuna persona), né a livello nazionale né a livello internazionale, ha ancora intrapreso: l’utilizzo diffuso e integrato delle scienze naturali ed umane per costruire una nuova governabilità delle organizzazioni. Usando un’espressione abusata, alla quale, però, abbiamo dato un nuovo contenuto: per costruire un nuovo paradigma di management.
I risultati del nostro programma di ricerca sono stati eclatanti.
Ci hanno permesso di scoprire le caratteristiche fondamentali di una organizzazione: la sua capacità di auto evolvere e l’impossibilità’ di essere analizzata.
Di scoprire l’inadeguatezza dei metodi gestionali tradizionali (che ancora qualcuno spaccia per innovazioni e scoperte) delle “buone pratiche direzionali”: management by objectives, performance management, valutazione del potenziale, bilancio delle competenze, analisi del clima, sviluppo della meritocrazia con annessa ricerca e valorizzazione dei talenti etc.
Di scoprire l’inadeguatezza del paradigma di governo, oggi dominante, del Change Management.
Contemporaneamente, ci hanno permesso di costruire una proposta di governo di una organizzazione (della sua evoluzione autonoma) che consiste in un unico processo che riassume in sé tutti i mille processi di gestione e sviluppo (cioè di governo) di persone d organizzazioni.
Sono risultati eclatanti che possono fornire alle nostre imprese una governabilità ancora non possibile. Quindi, una capacità di sviluppo imprenditoriale (non un mero vantaggio competitivo) oggi ancora sconosciuta, anche a livello internazionale.