"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 31 gennaio 2017

Che differenza c’è tra cercare un pistone per un cilindro e una persona per un ruolo?

di
Francesco Zanotti

Nessuna. Occorre avere una descrizione sia del cilindro che del ruolo. Occorre cercare e misurare sia i pistoni che i candidati. Se si fanno bene queste operazioni, allora il pistone scorrerà bene nel cilindro e il candidato funzionerà bene nell’organizzazione.
Forse la descrizione del ruolo e la misura del candidato sono meno precise… Ma, in questo caso, interviene la competenza e l’esperienza magiche del selezionatore che colma questo gap di imprecisione ...
E' esattamente la stessa cosa cercare un pistone per un cilindro e una persona per un ruolo. E’ solo un problema di calibro …

Certamente il lettore, soprattutto il lettore selezionatore, mi dirà che non è vero. Ma la mia domanda è: dove sta esattamente la differenza?

lunedì 30 gennaio 2017

Pensieri (poveri) che diventano realtà (povera)

di
Francesco Zanotti


Piano piano scambiamo i nostri pensieri con la realtà. I nostri pensieri diventano la realtà.
Una area di conoscenza (ad esempio, il management) è un insieme di pensieri condivisi che sono diventati realtà.
Ma quale è la qualità di questi pensieri condivisi? Nel caso del management questi pensieri sono molto poveri. Ciononostante vengono scambiati con la realtà.
Prendiamo il concetto di competenza. Tutti lo usano. E ne danno una declinazione personale: avete mai visto due elenchi di competenze uguali? Avere mai visto due consulenti che partono dallo stesso elenco? Non accade mai. Si presentano con orgoglio con la propria visione delle competenze, il proprio elenco delle competenze e si chiede alle imprese di investire in quelle. Più investono meglio è! Se poi la gente non lavorasse per acquisire quelle competenze sarebbe ancora meglio.
Così le imprese rischiano di investire solo nei sogni di qualche consulente, perché è amico di non si sa chi.
Come ho anticipato, sono anche sogni poveri … Raccontano che le competenze siano oggetti che si possano installare nella testa della gente. Raccontano, poi, che queste competenze si concretizzeranno in comportamenti prevedibili ed in risultati altrettanto prevedibili.
Sciocchezze cognitive, psicologiche, sociologiche ed antropologiche. Troppi amministratori delegati … delegano troppo. E si ritrovano l’impresa percorsa da torme di pensieri poveri che diventano realtà povere. Rendendo povero anche lui.

venerdì 27 gennaio 2017

I manager non sanno valutare le “innovazioni gestionali”

di
Francesco Zanotti

La reazione normale ad ogni nuova proposta (non tutte) è: “Ah che bella, ma ora non posso sperimentarla perché ho delle urgenze". E tutti i consulenti accettano senza discutere questa risposta dai manager. La considerano legittima.
Io dico: i consulenti così fanno solo perché hanno un grave complesso di inferiorità verso i manager in carica.
Io credo, invece, che l’appellarsi all'urgenza non sia una risposta legittima, proprio dal punto di vista dell’interesse dall'impresa.
Infatti, un’innovazione gestionale veramente rilevante dovrebbe servire a risolvere proprio le urgenze. A scoprire che le urgenze sono costruite da convinzioni e pratiche gestionali errate che l’innovazione vuole sostituire con altre convinzioni ed altre pratiche. Che permettono di risolvere i problemi perché permettono di scoprire che i problemi stessi sono solo espressione di opportunità non sfruttate. Cioè: sono proprio le innovazioni che risolvono i problemi.  Soprattutto fanno in modo che non se ne generino altri.
Ma perché i manager non si rendono conto che rifiutare l’innovazione è un danno all'impresa?

giovedì 26 gennaio 2017

Cosa deve chiedere un manager alla filosofia?

 di
 Francesco Zanotti

Beh può chiedere qualche contenuto per riempire spazi di formazione “originali”.
Oppure può rivolgere alla filosofia domande essenziali e concrete per lo sviluppo delle imprese.
Propongo qualche esempio.
A metafisica, ontologia ed epistemologia deve chiedere quale tipi di visioni del mondo ci sono. Più concretamente: quale visione del mondo è più utile in un periodo di crisi?
Alla linguistica: ma cosa significa comunicare?
Alla logica ed alla matematica: ma cosa significa “ragionare”?
Alla filosofia della mente: ma chi è la persona umana?
All'etica: ma da dove emergono i comportamenti?
Alla politica: ma cosa significa partecipare?


All’estetica: ma quale è il ruolo del bello nello sviluppo di una impresa?

martedì 24 gennaio 2017

Pagare a cottimo i manager: un tanto per ogni talento sviluppato!

di
Francesco Zanotti

Don Lorenzo Milani soleva dire che gli insegnanti andrebbero pagati a cottimo: un tanto per ogni alunno che superava gli esami.
Il problema non è prendere posizione nel conflitto tra egualitarismo e  elitarismo. Il dovere di una classe manageriale è quello di superare questa contrapposizione che non ha alcun fondamento scientifico.
Il paradigma dei talenti è una versione aggiornata dell’elitarismo. Ed è altrettanto banale.
Io credo che compito di una classe manageriale sia quello di sviluppare i talenti di tutte le persone. Le quali non sono ovviamente tutte uguali, ma non perché si situano in posizioni diverse in una qualche ipotetica (e scientificamente insensata) scala assoluta di merito. Invece, perché sono dotati di talenti diversi. Uguale nobiltà tra le persone nella diversità di inclinazioni, desideri, aspirazioni.
Come si fa a valorizzare i talenti di tutti? Non certo cercando di analizzarli. Ma mobilitandoli. Organizzando processi di autoprogettazione dell’organizzazione (o della strategia, per i più audaci e più interessati a risultati rilevanti). I talenti di tutti emergeranno da soli e, con la capacità di sintesi del management, si autocoordineranno in una organizzazione armoniosa, efficace ed efficiente. O per realizzare una strategia rivoluzionaria.
Anche i manager andrebbero pagati per quanto sanno mobilitare i talenti di tutti. E non perché si presume che li sappiano scovare e sviluppare.

lunedì 23 gennaio 2017

Tradire l’impresa

di
Francesco Zanotti

Titolo forte, ma realistico.
Cosa è l’impresa? E’ un attore che costruisce il suo ambiente di riferimento. E’ uno degli attori che costruiscono la società. Se una impresa “conserva”, allora si distacca da una società che non sta certo ferma e perde di senso.
Chi sono gli attori che dentro l’impresa innovano o osservano? Solo le persone. Se le persone cercano di conservare la loro identità e il loro ruolo, allora anche l’impresa conserva.
Il problema strategico di fondo, allora, è come riuscire far sì che le persone continuino a rinnovare se stesse per rinnovare, tutte insieme, le imprese e la società.
Le politiche delle risorse umane dovrebbero avere questo grande obiettivo: tener vivo il processo di rinnovamento continuo delle persone e dei gruppi di persone.
Per raggiungere questo obiettivo, però, è necessario usare tutte le migliori conoscenze (la competizione fondamentale è una competizione sulla conoscenza) necessarie: dalla scienze cognitive, alle psicologie, alla sociologia all’antropologia. Oggi, però, esse non vengono utilizzate. Un solo esempio: si insite ancora sul concetto di “apprendimento”, quando è oramai evidente che la persona umana non apprende, ma ricostruisce continuamente il suo bagaglio di risorse cognitive.
Ecco spiegato il titolo: il rifiuto delle conoscenze suddette, che è l’architrave (sì, caro lettore, hai capito bene: siamo ridotti al fatto che l’architrave sia un rifiuto) delle attuali politiche delle risorse umane si configura come un vero e proprio tradimento nei confronti dell’impresa, della sua capacità di creare valore” ed occupazione.
Ma l’Amministratore Delegato non ci chiede queste cose, mi si può obiettare. Rispondo: ci mancherebbe lo facesse. Tocca ai manager HR proporre innovazione sulle Risorse Umane, non all’Amministratore Delegato. Il non proporre innovazione è la colpa “duale” al rifiutare la conoscenza.

venerdì 20 gennaio 2017

Gestire o generare e coltivare le urgenze?

di
Francesco Zanotti


Uno poi può fare come gli pare … ma il gestire un problema costruisce solo soluzioni fittizie che funzionano solo in quella organizzazione virtuale che nasce, appunto, per gestire il problema.
Si prende ad esempio una persona che ha un problema, che genera problemi, quindi che genera una urgenza: quella di risolverlo.
Che si fa per risolverlo? Si estrae la persona dalla sua organizzazione (quella reale), la si inserisce nella organizzazione virtuale, che ha come obiettivo la soluzione del problema, e si incomincia il lavoro (ad esempio un colloquio di riflessione, comunicazione, convincimento con il responsabile HR), per risolverlo, in questa organizzazione informale. E, in quella organizzazione, spesso, alla fine lo si risolve.
Ma quella soluzione è valida solo nella organizzazione (purtroppo virtuale) che si è creata per affrontarlo.
Nella organizzazione reale si crea un perturbazione. Infatti quando la persona torna alla sua organizzazione reale non può che provare delusione perché la soluzione che è stata costruita non viene riconosciuta dalla organizzazione reale che “reagisce” in modi imprevedibili. E certamente non positivi perché reagisce alla delusione di una persona che pensava di aver risolto il problema e ... invece, no!
Allora il risultato è che la risoluzione di un problema ne genera un altro sempre più grosso.
Poi uno può davvero fare come crede. Ma io una riflessione sulla sindrome delle urgenze la farei. Ed esplorerei l’ipotesi che le urgenze sono create e sviluppate dalla voglia di risolverle.

giovedì 19 gennaio 2017

Cari top manager: cercate innovazione profonda.

 di
 Francesco Zanotti


Almeno dieci minuti al giorno cercate innovazione profonda. Perché sono troppe le conoscenze che il top management non usa.
Un primo gruppo di risorse cognitive “ignote”: le conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.
Sembra paradossale, ma è così! I top manager non hanno idea di dove sia giunto lo stato dell’arte delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa.
La colpa è soprattutto dei consulenti che non offrono occasioni di aggiornamento sulla strategia d’impresa. E non è pensabile che il top management si auto aggiorni: sono troppo sparse le fonti da cui giunge l’innovazione. Pensate solo allo Strategic Management Journal (la rivista di strategia più autorevole) … chi ne è abbonato? Non solo tra i top manager, ma anche tra i consulenti?

Così il top management è costretto, ad esempio, a disegnare i progetti strategici delle imprese usando conoscenze e metodologie di strategia d’impresa “ingenue”.

mercoledì 18 gennaio 2017

L’importanza delle scienze cognitive

di
Francesco Zanotti


Tutti conoscono i neuroni a specchio. Essi rivelano la capacità del cervello di “risuonare” con un interlocutore esterno. Ma la storia non finisce qui. Se considerate la teoria quantistica della mente di Giuseppe Vitiello scoprirete che questo risuonare è molto più profondo. Come se il cervello proiettasse se stesso nel mondo: il Doppio, dice Vitiello. E giudicasse se la proiezione gli piace. Se gli piace, allora, emerge un giudizio etico ed estetico positivo.
Il proiettare se stesso è realizzare il proprio progetto esistenziale.
Bene e questo cosa c’entra con la gestione delle persone e delle organizzazioni? Quasi tutto.
Quando assegnate un obiettivo e un ruolo ad una persona è necessario capire se il raggiungere questo obiettivo, interpretare questo ruolo può essere inteso da una persona come strumento (il raggiungere l’obiettivo) e luogo cognitivo, sociale ed antropologico (il ruolo) per realizzare il proprio progetto esistenziale. Non aspettatevi di convincere le persone con convenienze, lusinghe o minacce.
Fatemi fare un solo esempio, in un campo dove la convenienza personale è altissima: la sicurezza sul lavoro. Ne può andare della vita.
Allora tutti dovrebbero razionalmente perseguire la sicurezza. E, invece, no! Tutti perseguono la realizzazione del proprio progetto esistenziale. Se questo va a scapito della sicurezza, tanto peggio per la sicurezza. Un esempio nell'esempio: chi si autorealizza raccontando come è scampato ad un rischio, chi mostra con orgoglio le ferite, chi cerca di negare a se stesso, addirittura, di essere sul posto di lavoro, usando lo stesso comportamento distratto e superficiale di chi, invece di lavorare in un ambiente carico di pericoli stia passeggiando su di un prato fiorito.

martedì 17 gennaio 2017

Progettare non è decidere

 di
Francesco Zanotti
 
 

Il decidere è un'operazione che ha senso quando vi sono alternative precostituite. Se non vi sono alternative precostituite occorre costruirle. Costruire alternative non è decidere, ma progettare. E ”progettare” è un'operazione cognitiva molto diversa dal “decidere”. 
Purtroppo il management insiste sul decidere. Si propongono mille nuove modalità di management: mille “vattelapesca management”. 
Ma tutti hanno come obiettivo quello di migliorare il processo decisionale. Da dove viene questa ossessione per la decisione? Dal non voler cambiare una visione riduzionistica del mondo. E’ il non cambiare questa visione che genera la crescente difficoltà di gestione strategico-organizzativa.

venerdì 13 gennaio 2017

Non ci sono i marziani …

di
Francesco Zanotti

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Il primo gennaio ho scritto che finalmente avevamo la prova dell’esistenza dei marziani … Mi sbagliavo!

Mi sbagliavo perché i top manager più top di tutti (i top manager bancari) stanno accumulando figure barbine l’una sull’altra.
Passi che non sanno nulla di strategia e di tutte quelle conoscenze che servono a comprendere e gestire i sistemi umani. Ma la vicenda del Monte dei Paschi ha dimostrato che non sanno neanche più raccogliere soldi. Finiscono nella illusione dei cavalieri bianchi, tipica degli imprenditori di provincia. Quindi, ragazzi non sono i marziani che hanno creato il casino che state vivendo: siete stati voi.
Ma non lasciatevi sopraffare da una crisi esistenziale. Lasciate perdere ogni prosopopea, ma non adagiatevi in incertezze ed ansie.

Cari amici non attendete che tutto sia spento dalla depressione. Brandite l’arma della conoscenza. Cioè: rendetevi conto dell’immenso patrimonio di risorse cognitive che sono a vostra disposizione e che vi siete sempre rifiutati di guardare come se imparare fosse incompatibile con l’essere top manager. Imparatele ed usatele …

domenica 8 gennaio 2017

Ambiente, dimensione forma: per non far perdere soldi agli azionisti

di
Francesco Zanotti

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Le imprese devono diventare grandi, ma le organizzazioni piccole. E poi tutto si sistema! Questo vale soprattutto per banche: mettevi insieme (diventati grandi) per buttare fuori la gente (e così rimpicciolirvi organizzativamente … o no?

Nell’ambito delle iniziative di edge.org Paula Saffo ha ricordato che le attuali conoscenze scientifiche propongono due concetti. Il primo è che ogni sistema non banale (sistema biologico o organizzativo) la dimensione dipende dall’ambiente in cui vive/opera. Non ha senso considerare una strategia di validità universale la crescita dimensionale. Che dire allora delle politiche di crescita dimensionale del sistema bancario?
Poi che ogni cambiamento di dimensione porta ad un cambiamento di forma. E la forma condiziona relazionalità e funzionamento delle organizzazioni. Quali cambiamenti di forma prevedono i banchieri (ma anche tutti gli altri manager) nelle loro strategia di crescita dimensionale?

venerdì 6 gennaio 2017

Il parlare di merito è una sciocchezza scientifica

di
Francesco Zanotti

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Il riferimento è all’articolo di fondo di oggi sul Corriere della Sera di Gian Antonio Stella.
Riesco ad illustrare la tesi del titolo con qualche battuta, certo non un discorso completo. Ma so già che innescare un dibattito scientifico sul tema sarà difficile perché la scienza è sconosciuta a chi ne parla. Meglio buttarla in politica. E così si riesce ad auto rappresentarsi senza pagare dazio alla conoscenza. Concorderà il lettore che rifiutare la scienza è …davvero una stupidaggine

Cominciamo da una sciocchezza che solo a scriverla fa prudere le mani. Si dibatte intorno a quanto deve essere la percentuale di coloro che hanno diritto ad un riconoscimento speciale del merito. E si dice che il numero deve essere piccolo. E perché? Perché altrimenti, se i buoni sono troppi, cade la motivazione competitiva. Cioè: si sostiene che il vero merito deve essere solo di pochi. La scuola ideale è quella dove possono essere solo pochi quelli che meritano. Cioè ancora: servono tanti asini per gratificare i pochi che non lo sono. Cioè ancora dell’ancora: per fare una scuola che finalmente premia dobbiamo avere una scuola dove mediamente gli insegnanti sono “non meritanti” …

Ma entriamo in medias res. E parliamo di matematica (mi si riconosce che è una scienza?). Per riconoscere e premiare il merito occorre valutare le prestazioni. Bene, e cosa vuol dire valutare? Vuol dire mettere in corrispondenza biunivoca le prestazioni degli insegnanti con l’insieme dei numeri naturali. Così facendo si riesce a costruire una scala (l’insieme dei numeri naturali è, tra le altre cose, ordinato)e poi si decide a chi riconoscere talento ed assegnare premi … Aggiungiamo anche il punire i peggiori?
Bene, ma quali sono le prestazioni da misurare? Ovviamente nessuno ne parla. Il Dottor Stella non dice: merito è quando i nostri ragazzi escolo dalla scuola e, per usare un linguaggio molto tradizionale, devono sapere questo, devono saper fare quest’altro e devono deve essere in questo modo. Se non si descrivono le prestazioni non si capisce chi ha meritato e chi no. E già qui il discorso sarebbe chiuso.

Ma non pensiamo a cose così difficili, siamo concreti … Pensa di sottoporre gli insegnati a batterie di test. Ma, innanzitutto, così facendo si misura solo un eventuale potenziale di merito. Non i risultati. E, poi, è una misura che traballa da tutti le parti. Infatti, le domande dovranno essere molte. E saranno inevitabilmente eterogenee. Come si mettono insieme risposte a domande eterogenee? Se si opera sui punteggi si contravviene al principio (se ce lo siamo dimenticati, davvero la scuola è servita a poco) che non si possono sommare le pere con le mele. La media tra cinque pere e tre mele è un concetto senza senso. Non è quattro frutti di una nuova specie pera/mela?
Poi le domande saranno scelte da qualcuno che certamente non dispone di tutte le conoscenze esistenti, ma solo una parte. Saranno scelte, quindi, da persone che hanno una visione parziale del mondo. E se persone diverse fanno i test faranno test diversi con i quali, però poi si pretenderà di giudicare lo stesso merito.

Fino ad ora abbiamo fatto banali osservazioni di matematica, ma si può andare avanti e tirare in ballo le scienze naturali ed umane.
Il merito di cui si parla è potenzialità che raggiunge risultati. Anche lasciando da parte il fatto che, come abbiamo detto, non si sa quali siano i risultati educativi che si vogliono ottenere, tutti i risultati, qualunque essi siano, sono  generati da un potenziale personale che trova un contesto favorevole nel quale esprimersi.
Ora il potenziale personale non è misurabile e il contesto neanche …

Provo a riassumere. L’insieme degli insegnati deve essere per forza fatto di un massa di mediocri, altrimenti non si si riesce a definire il concetto di “insegnati bravi” che meritano. All’attuale ministro dell’educazione trovare test che garantiscano il giusto mix di insegnanti bravi e sfigati alla nostre scuole. E che siano tanti gli sfigati … Dott. Stella, è questa l’inevitabile conclusione a cui si arriva leggendo il suo articolo e ascoltando gli altri “meritisti” che chiacchiericciano indisturbati sui media.