"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

...e allora la formazione?


di Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com

La tesi che proponiamo è particolarmente “dura”: dobbiamo eliminare i contenuti e i processi della formazione manageriale tradizionale e sostituirli con contenuti e processi radicalmente diversi.

Quali sono le “competenze manageriali” che oggi la formazione si propone di sviluppare? Cioè i “contenuti” degli attuali corsi di formazione manageriale? Sono sostanzialmente competenze che servono per “maneggiare” l’organizzazione (relazionali, comportamentali, di cambiamento. Più specificatamente: dalla leadership alla negoziazione, dalla comunicazione alla gestione delle relazioni interpersonali, dalla pianificazione al controllo) e per “maneggiare” il mercato (competenze di vendita e di gestione dei venditori).
Sono sostanzialmente competenze di etero direzione, e sono tantissime e controproducenti.

Prima di argomentare questa affermazione ci si permetta di segnalare un fatto che suggerisce una risposta. Perché i managers e gli imprenditori di maggior successo non partecipano a corsi di formazione manageriale? La risposta ci sembra evidente; proprio perché sentono artificiali le competenze manageriali e insopportabile il processo attraverso il quale vengono proposte. Questo significa che l’attuale formazione va cambiata almeno perché, così come è, è poco gradita da … chi paga il conto della stessa formazione. Che non la gradisca, o almeno che non la ritenga così utile è testimoniato dal fatto che non la usa personalemente, contrariamente a quello che accadeva nel passato.

Ma ora diamo una razionale a questo “dislike” emozionale (che, però, è un giudizio più profondo di quello razionale). La ragioni sono le seguenti.


Il fatto che le competenze manageriali siano tantissime rende la situazione ingestibile
Infatti, non si può fare un “corso” per ognuna di esse. E’ imbarazzante scegliere quale privilegiare!
Anche una analisi puntuale che tenda a scoprire chi ha già qualcuna di quelle competenze così da ridurre le dimensioni del problema non è praticabile. Ci vorrebbe troppo tempo e, conseguentemente,costerebbe troppo.
Questo significa che non è possibile organizzare la formazione attraverso una pianificazione razionale.
Allora non si può fare altro che definire il piano di formazione attraverso un processo “emergente”.
Il responsabile della formazione cerca di capire empaticamente ed empiricamente le esigenze delle persone e della dirigenza. Da un po’ di tempo è diventato di moda riferirsi (soprattutto nelle banche) alle esigenze del business, rinunciando così ad ogni funzione propositiva e rinunciando a fornire un servizio personale agli uomini di business che non possono non aver bisogno di formazione/aggiornamento.
Alla fine seleziona le competenze da “sviluppare” in base alla propria esperienza, alla propria autorevolezza, alle proprie conoscenze e competenze, alle tradizione della propria organizzazione o all’esperienza del fornitore di fiducia.
E forma un catalogo di corsi che, spesso, viene da tutti considerato un compromesso tra quello che avrebbe voluto, ritenuto necessario fare e quello che gli è stato permesso.

Il fatto che siano competenze di manipolazione le rende controproducenti.

Ma supponiamo che in qualche modo si scelga quali competenze privilegiare. E’ che nessuna di queste è adatta. Anzi sono controproducenti.

Esse infatti sono competenze direttive, di manipolazione. Ed è’ questo che le rende controproducenti.

Infatti il problema gestionale fondamentale non è quello del funzionamento dell’organizzazione, ma quello del suo costante cambiamento. Crediamo si posa dire che il funzionamento è un sottoprodotto del cambiamento.
Per gestire processi di cambiamento competenze direttive sono contro producenti. 

Eliminiamo i processi
Un corso tradizionale non solo insegna competenze sbagliate, ma lo fa nel modo sbagliato. Proprio quello insopportabile ai managers ed agli imprenditori di successo.
Infatti un corso tradizionale propone modelli di comportamento (cosa fa un leader, come si vende, come si comunica, come si gestisce un processo di cambiamento) e poi fa esercitare le persone a metterli in pratica.

Ma ambedue i momenti hanno criticità.

Il primo è un problema di interpretazione.
Il comunicare cose vaghe  scatena processi interpretativi che sono assolutamente senza controllo. Si sa cosa si comunica, ma non si sa nulla di cosa viene ricevuto (rivedere la parte "dire" della pagina "Pensare, dire, fare" )
Ma supponiamo anche che il problema di interpretazione sia risolto. Ecco che se ne manifesta un altro.

Il secondo è un problema di contesto.
Una delle caratteristiche che non può mancare in un corso di formazione “ à la page” è quella della interattività che ha il suo culmine nella creazione di situazioni virtuali dove i partecipanti sviluppano nuovi comportamenti.
Ora a noi sembra che tutta questa interattività virtuale generi solo illusioni e, quindi, disillusioni.
Quando le persone ritornano nei loro contesti organizzativi reali non possono, per definizione, utilizzare i nuovi comportamenti sviluppati. La ragione è che si trovano in un contesto diverso. Ed in un contesto diverso i comportamenti sviluppati nel contesto virtuale della formazione perdono di senso.
Detto diversamente, la ragione fondamentale per la quale le persone, quando tornano nella organizzazione reale, si trovano di fronte a disillusioni è che si attendono che l’organizzazione diventi, quasi per magia, simile all’organizzazione ideale che hanno creato in aula (o in barca, o in montagna o in qualsiasi dei contesti "artificiali" creati dalla formazione outdoor). Ma questo non  solo non è possibile, ma non è neanche giusto. Perché ogni organizzazione risulta inadatta e incomprensibile a tutte le persone che non hanno partecipato a crearla e che in essa non hanno vissuto.

Anche le nuove proposte sono banali
Forse non si è ancora raggiunta piena consapevolezza del perché i corsi non funzionano e sono stucchevoli. Non si ha spesso neanche il coraggio di ammetterlo. Ma lo si riconosce con i comportamenti: se ne fanno sempre meno.

Ora, però, tutti i lettori si diranno e mi diranno: ma noi non facciamo più questa formazione
Noi siamo definitivamente usciti dal modello manipolatorio dell’aula che tutti riconosciamo essere una trappola. Sì, ma come? Ma è semplice: uscendo dall’aula, andando al di là dell’aula …

Qualcuno ci prova attraverso le tecnologie, ma sempre meno, o in forme molto banalizzate. Cioè le tecnologie al massimo sono relegate alla “informazione” (non all’insegnamento) su come funzionano certe procedure o come sono strutturati certi prodotti.

Oppure si esce dall’aula perché si decide di non insegnare più. E si parla di “facilitator”, di “coaching”, di “counseling”. E’ una strada interessante perché parte riconoscendo l’autonomia dei partecipanti alla formazione. Ma si ferma troppo presto oppure rischia di auto contraddirsi.

Se si ferma al facilitare l’espressione e la progettualità delle persone, allora il risultato è banale o “accademico”. Quindi frustrante
Infatti, ogni persona è caratterizzata da una propria ideologia. Quando gli si chiede di esprimersi, egli ripeterà, precisandola e rafforzando la propria ideologia. Allora la dinamica del gruppo degenererà nello scontro ideologico. Un dialogo tra sordi.
Ci possono essere facilitators naturalmente capaci di evitare scontri ideologici e avviare ad una espressione, una progettualità ed una relazionalità positiva. Cioè a fare emergere relazionalità e comportamenti positivi.
Ma con questo non ha risolto il problema. Forse l’ha aggravato. Perché ha fatto vivere ai partecipanti una esperienza positiva di emersione ma non ha loro insegnato come fare lo stesso nella loro organizzazione. Anzi, tanto più è stato bravo quanto più avrà reso evidente un nuovo stile di management (fare emergere e non maneggiare) e avrà spinto i partecipanti a confrontarlo con quello dei loro capi che saranno di tipo “maneggiatorio”.

Attivare una nuova formazione manageriale

Ma, dopo aver distrutto, occorre sempre costruire. Quale formazione manageriale proponiamo in sostituzione di quella che desideriamo abolire?
Dobbiamo declinare il discorso fatto precedentemente. Nel modo seguente

Come abbiamo detto,ma come tutti sentono, oggi gestire sistemi umani significa gestire processi di cambiamento. Significa attivare e gestire processi di creazione sociale della realtà. Significa gestire processi emergenti.

In particolare… (a titolo di esempio)

Cosa significa costruire sicurezza?
Il costruire sicurezza è un particolare processo di cambiamento attraverso il quale si cerca di generare pensieri e comportamenti che evitano proattivamente gli incidenti.

Cosa significa vendere?
Significa dare senso al prodotto insieme al potenziale cliente. Dare senso significa costruire una storia insieme al cliente. Se si riesce a costruire un senso profondo descritto da una bella storia si genera fiducia.
Vendere non è il risultato di una buona descrizione delle prestazioni, dei vantaggi, della abilità a superare le obbiezioni. Vendere, come cambiare, non può essere frutto di manipolazione.

Una sola competenza rilevante
Allora per gestire gruppi umani, per farli cambiare, per far costruire loro sicurezza e per vendere occorre saper fare una cosa sola. Vi è una sola competenza “manageriale”: guidare il formarsi, il distruggersi e il riformarsi autonomi e non pre-configurabili di nuovi comportamenti e nuove storie.
Detto diversamente: gestire i processi di dialogo, cooperazione e progettualità tra esseri umani.

La competenze di dettaglio sono:
 PENSARE
DIRE
FARE
·        
Noi crediamo che i managers e gli imprenditori di successo abbiamo sempre gestito processi emergenti.
Una competenza manageriali di questo tipo è veramente maneggiabile: basta fare un solo corso, declinato nelle situazioni specifiche.

Non ci si possiamo più permettere astratti obiettivi di formazione. E’ urgente e necessario porsi obiettivi di cambiamento. Un cambiamento nella struttura organizzativa, Un miglioramento delle performance di vendita.

Ma come deve essere fatto un intervento di formazione per raggiungere obiettivi concreti?
Sostanzialmente occorre avere il coraggio di abbandonare l’aula, ma non di avvitarsi nel nulla. Oppure salire su di un palcoscenico o scalare montagne. Deve, piuttosto, completare il cammino e tornare dentro l’organizzazione.
In sostanza proponiamo di sostituire la formazione manageriale con lo sviluppo sul campo e nel concreto dell’unica competenza manageriale importante.


Processo di cambiamento, non formazione, in quattro fasi.

La prima fase è quella di defreezing
In essa le persone sono guidate a “relativizzare” le loro ideologie personali.

La seconda fase è quella in cui si forniscono conoscenze.
Questo relativizzare deve essere “nutrito” di nuove conoscenze altrimenti si richiude in se stesso

La terza fase è quella nella quale si guida la progettualità.
Le persone usano le loro vecchie conoscenze “relativizzate” e le nuove conoscenze per progettare insieme o la nuova organizzazione, o nuovi comportamenti di sicurezza o un nuovo colloquio di vendita

La quarta fase è quella nella quale si realizzano progetti.
Le persone entrano nell’organizzazione viva e concreta per realizzare in quella i progetti che hanno sviluppato.
E’ evidente che si otterranno risultati concreti di vendita o di cambiamento

La quinta fase è quella in cui si raccontano i risultati.
E’ questa la fase dove si istituzionalizzano e si diffondono i risultati progettuali ottenuti durante l’intervento formativo. E lì si legittimano attraverso i risultati e proprio in virtù di questo si consolidano.

Concretizzo il processo che ho appena descritto in una serie di proposte specifiche esemplificative e non esaustive che ho continuato a definire “corsi”, anche se usando virgolette per indicare la loro completa differenza strutturale rispetto ad un corso tradizionale.




“Corso” per Venditori


La Vendita 
come processo emergente
“Corso” per

Managers delle vendite

Il Management delle
vendite come 
processo emergente
“Corso” per

Managers del Cambiamento

Il Management del
cambiamento come
processo emergente
Sbloccare
 le “ideologie”
Relativizzare idee su
Processo di vendita
Relativizzare idee su
Management delle vendite
Relativizzare idee su
Management
del cambiamento
Fornire
Conoscenze
Cosa vuol dire 
vendere?
Una illustrazione di quel
particolare processo
emergente che è il
processo di vendita
Cosa vuol dire 
management delle vendite?
Una illustrazione di quel
particolare processo
emergente che è il
management delle
vendite
Cosa vuol dire management del
cambiamento?
Una illustrazione di quel
particolare processo
emergente che è il
processo di
cambiamento
Guidare
progettualità
Guidare la progettazione
di  un colloquio di
vendita


come processo emergente
Guidare la progettazione
di un piano di vendita
come processo emergente
Guidare la progettazione di un processo di
cambiamento
come processo emergente
Realizzare progetti
Attuare
colloqui di vendita
Attuare
il piano di vendita
Attuare
il piano di cambiamento
Raccontare
Risultati
Sintetizzare e socializzare:
conoscenza 
l’esperienza
 risultati
Sintetizzare e socializzare:
conoscenza
l’esperienza
risultati
Sintetizzare e socializzare:
conoscenza
l’esperienza
risultati

1 commento:

  1. paragrafo "Eliminiamo i processi"...mi ha particolarmente stimolato...poiché descrive una situazione che si verifica anche in contesti di vita altri da quelli aziendali. ovvero in tutti quei contesti in cui solo una parte del gruppo utilizza i medesimi linguaggi...ad esempio. la famiglia stessa, le associazioni, i gruppi d amici...quando arriva qualcuno dall'esterno, un nuovo componente famigliare, un nuovo amico/fidanzato, metro o gruppo di membri dell'associazione...ecco questo "diverso, nuovo" avrà certamente con sè contenuti, idee, suggestioni, esperienze profonde ed interessanti...tanto profonde che non riuscirà con facilità a farle capire e percepire agli altri..e quindi o con frustrazione si adatterà, o se ne andrà..e quindi come fare in modo che questa complessità aggiuntiva non vada sprecata? solo organizzazioni molto valide sanno "ascoltare" il diverso...
    ciao
    Simone

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