"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

...e allora il cambiamento?


di Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com

Per strutturare le organizzazioni come “macchine” sempre più efficienti, occorre attivare processi di cambiamento che, a causa della pressione della competizione, devono essere, a loro volta, i più efficienti possibili. Per essere efficienti devono essere ingegneristici. Vi deve essere la predominanza di una “intelligenza” che disegna dal di fuori (gerarchicamente) l’organizzazione ideale e di una “massa” di risorse che devono realizzare il cambiamento individuato come necessario. Siamo di fronte ad un quadro complessivo che non fa una grinza. Le risorse umane sono esecutrici di un cambiamento che viene imposto dalla competizione e strumenti della nuova organizzazione che il cambiamento produce. Il problema grave è, però, che, alla prova dei fatti, il cambiamento ingegneristico proprio non funziona!

 Sembra affetto da sindrome di autodistruzione perché dissemina di vere e proprie “trappole” ognuna delle quattro fasi nelle quali si struttura: la progettazione, la comunicazione, la formazione e l’implementazione. 

Le “trappole” della progettazione 
Le prestazioni di una organizzazione dipendono sostanzialmente dai comportamenti dei suoi membri. Poiché i comportamenti non possono essere predefiniti, il processo di progettazione può specificare solo il contesto nel quale, poi, le singole persone dovranno scegliere, in libertà e responsabilità, i comportamenti da adottare. 
Allora il processo di  cambiamento inizia con una contraddizione relazionale. Infatti, da un lato, imposta una relazione direttiva tra vertice e base affermando che il vertice decide e la base deve eseguire. Dall’altro, questa direttività non ha sostanza proprio perché la progettazione non produce risultati prescrittivi, ma solo un contesto nel quale le persone sono “costrette” a esercitare quella autonomia progettuale che la relazione gerarchica vorrebbe negare. 

Le “trappole” della comunicazione 
Anche la comunicazione è direttiva perché il cambiamento non è da discutere, ma da realizzare. Si ripropone, allora, la contraddizione relazionale iniziale perché una comunicazione direttiva deve veicolare un contenuto prescrittivo. Ma il contenuto prescrittivo non c’è! 
Ma non finiscono qui i problemi. Infatti, spesso si inizia il processo di implementazione con un evento comunicativo di tipo emozionale: una convention, ad esempio. L’operazione, però, rischia fortemente di essere controproducente perché, dovendo comunicare un contenuto “incompleto, rischia di scatenare reazioni diverse da quelle desiderate del motivare e dell’emozionare. Può stimolare l’alzarsi di difese perché le singole persone non capiscono bene come il cambiamento impatterà sulla vita organizzativa quotidiana. Può far apparire la comunicazione come “retorica”, proprio perché il messaggio che veicola non è operativo. Può certamente anche riuscire a generare emozionalità. Ma solo nell’immediato. Perché quando si proverà a mettere in pratica il cambiamento si scoprirà che diventa difficilissimo da realizzare. 

Le “trappole” della formazione 
La formazione ha l’obiettivo di veicolare le competenze manageriali che servono a guidare l’implementazione del cambiamento. Purtroppo, però, risulta, spesso, inefficace. Innanzitutto, perché rischia di fornire competenze obsolete. Infatti, le competenze manageriali classiche sono nate per gestire la sfida del funzionamento delle imprese e non possono essere adatte a gestire la sfida del cambiamento. Secondariamente, se si raccolgono tutte quelle che vengono definite competenze manageriali e relazionali, ci si ritrova alle prese con una vera e propria moltitudine ed è escluso che si riesca, in tempo utile, a diffonderla. In terzo luogo, i processi formativi tradizionali guidano allo sviluppo di competenze in situazioni virtuali. Ma le competenze hanno significato solo nelle situazioni in cui sono state create. Questo significa che un processo formativo tradizionale crea competenze inutilizzabili nelle situazioni reali proprio perché sono state generate in situazioni virtuali. 

Le “trappole” della implementazione. 
Nella fase di implementazione si manifesta l’apoteosi dell’equivoco tra prescrittività supposta e 
libertà sostanziale. Esaminiamo nei dettagli cosa accade. Le persone si formano una visione personale del cambiamento che viene loro proposto e scelgono i comportamenti che ritengono più adatti sia a realizzare la propria identità che a raggiungere gli obiettivi che l’organizzazione ha loro assegnato. Ora è molto difficile che le diverse visioni delle diverse persone siano spontaneamente compatibili.  Come è difficile che i loro comportamenti si coordinino spontaneamente in processi di lavoro complessivi efficaci ed efficienti. Accade, allora, che le persone attivino processi di negoziazione. Ma, poiché partono dall’ipotesi che la loro visione è corretta e quella delle altre persone errata, questi processi negoziali non potranno che essere conflittuali. A “calmierare” il negoziare conflittuale interviene il “Capo”. Ma anche egli si forma una sua visione della nuova organizzazione che occorre concretizzare, del ruolo delle diverse persone e di quali dovrebbero essere i comportamenti ottimali. Poiché neanche lui sfugge alla tentazione della ideologia, tende a voler imporre questa sua visione che considera essere quella corretta. Il risultato è che, invece di “calmierare”, aggiunge un nuovo livello di conflitto. 


A problema si aggiunge problema: questo processo negoziale conflittuale avviene sempre e soltanto attraverso dialoghi tra persona e persona e non trova mai un momento di rappresentazione sociale. Non esistono momenti di incontro collettivo dove si esplicitino e si confrontino socialmente le proprie visioni e si discuta dei propri comportamenti. Questo significa che il processo di negoziazione rimane a livello interpersonale, non trova mai una sua sintesi sociale e tende a non esaurirsi mai. 
In conclusione, il risultato finale di un processo di implementazione di questo tipo (inevitabilmente lungo e costoso) è costituito da una organizzazione a basse prestazioni ed a bassa soddisfazione per le persone che vi lavorano. 

Organizzazioni ad alte prestazione ed ad alta soddisfazione 
La situazione di grande difficoltà nel quale si trovano sia le imprese, sia le altre organizzazioni complesse, sia il nostro sistema paese nel suo insieme, chiede a tutti di fare uno sforzo straordinario perché i processi di cambiamento aumentino la loro efficacia e la loro efficienza. 
In risposta a questo imperativo etico, abbiamo attivato un progetto di ricerca che ci ha portati a sviluppare, in accordo con la visione Pensare, Dire, Fare gia' descritta,  una via radicalmente nuova al cambiamento. 



Il cambiamento auto poietico 
Il modello del cambiamento auto-poietico funziona a questo modo. 
Innanzitutto occorre riconoscere che un progetto di cambiamento può solo essere un contesto all’interno del quale  si scatena il processo di autodeterminazione dei comportamenti. Basandosi su questo riconoscimento, occorre, allora, immaginare come gestire lo strutturarsi oggi spontaneo, disordinato ed inefficiente dell’organizzazione. Lo si può fare attraverso un processo di auto progettazione che viene guidato dai managers responsabili del cambiamento. Detto diversamente, lo si può fare attraverso un processo di creazione sociale di conoscenza guidato, invece che selvaggio, come accade oggi. 

Per supportare processi di auto progettazione guidati, abbiamo sviluppato una metodologia che si 
struttura in tre  fasi fondamentali. 

La prima fase è costituita dal “defreezing cognitivo”. Esso ha l’obiettivo di sbloccare le visioni ideologiche delle persone, di guidarle a leggere il progetto di cambiamento come una opportunità e, quindi, di far emergere l’esigenza di un impegno progettuale che deve essere inevitabilmente sociale. 

La seconda è una fase di “progettualità sociale”. In essa le persone sono guidate attraverso quelli che sono i passi fondamentali del processo di progettualità sociale: la formulazione e la comunicazione di proposte e il dialogo progettuale. Ai managers il compito di dare, poi, senso complessivo a questo dialogo sociale producendo una sintesi delle proposte. Questa sintesi rappresenterà la concretizzazione, la declinazione nel contingente e nel locale del progetto di cambiamento organizzativo. Nella fase di progettualità sociale si innesta “naturalmente” una auto formazione comunitaria supportata dalle”Web Tecnologies” dove le diverse comunità che si vanno formando sono comunità di vita e di progetto. Cioè molto di più di comunità di pratiche. 

Il processo si conclude con la “celebrazione sociale” della sintesi delle proposte. Essa potrà essere presentata durante una convention che, anche se potrà avere i tempi ed i ritmi di una convention classica, se ne differenzierà perché il messaggio che verrà veicolato sarà stato prodotto da tutti. 
  
Il cambiamento autopoietico è un processo estremamente efficace ed efficiente che produce i seguenti risultati. 

Il primo risultato è quello di eliminare ogni resistenza perché il cambiamento è visto come  
momento di auto realizzazione delle persone. 


Il secondo risultato è quello di generare organizzazioni ad alte prestazioni e ad alta soddisfazione per chi vi lavora. 

Il terzo risultato è quello di far considerare il cambiamento non come una dimensione straordinaria che disturba l’attività corrente, ma come un nuovo modo di vivere dell’organizzazione.