"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 29 gennaio 2015

Gli economics …

di
Francesco Zanotti


Partendo dal fatto che discorsi come il ROI della formazione (e perché no dei progetti di cambiamento? Perché non si parla dei progetti di cambiamento?) non hanno mai portato a risultati accettati, partiamo da qualcosa di più concerto. Non possiamo rinunciare alla domanda: ma che ci stanno a fare formazione e gestione delle risorse umane?
Prendete un Business Plan, e prendetelo tra quelli importanti: quelli delle Società quotate. Per inciso, scrivo con cognizione di causa perché noi li esaminiamo tutti e  regolarmente e ne assegnamo un Rating. Prendete quei Business Plan e date una occhiata alle previsioni di risultati a tre anni che espongono. Per sostenere che sono previsioni affidabili si affannano in tutti i modi. Ma non dicono una parola sulla formazione. Quando ci sono le presentazioni dei Business Plan agli analisti nessuno chiede mai della formazione. Se volete aggiungere: nessun Business Plan cita le politiche delle risorse umane con qualcosa di diverso da dichiarazioni retoriche. E anche queste sono pochissime. Nessun analista chiede conto delle politiche delle risorse umane.
Di fronte a questo dato sperimentale facilmente controllabile (a proposito: quanti esperti di formazione e di HR consultano i Business Plan?), le opzioni sono due.
O chi fa i Business Plan e gli analisti sono dei cinici inguaribili che pur di inseguire il profitto calpestano le persone. Oppure … Oppure ecco la mia tesi.
Il non dare peso alla formazione ed alle politiche delle risorse umane è segno che questo peso non lo percepiscono. I CEO convocano i Responsabili HR è per gestire guai, personali o sindacali che siano. Poi spendono, obtorto collo e senza saper bene perché, cifre rilevanti in una formazione di cui non capiscono il senso. Allora, invece di essere cinici, sono incompetenti?

No, hanno ragione! Le funzioni formazione e gestione delle risorse umane vanno semplicemente abolite. Tutte le conoscenze che derivano dalle scienze naturali ed umane portano a questa conclusione. I fatti suggeriscono la soluzione: la gestione delle risorse umane è nei fatti interamente della linea. Riconosciamo che di fatto non sono le funzioni HR che gestiscono le persone. E io sostengo, sempre con il supporto di tutta la conoscenza scientifica esistente, che anche la “formazione” (che ovviamente non sarà più un mettere in forma) deve diventare responsabilità e compito della linea. 

domenica 25 gennaio 2015

Cartellino rosso al Capo di Gabinetto

di
Francesco Zanotti


E’ quello che i dipendenti amministrativi del Tribunale di Napoli hanno presentato a Gianni Melillo, Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia dopo il suo intervento all'apertura dell’anno giudiziario a Napoli.
Ovvi ed eterni sono i problemi organizzativi.
Come risolverli?
Mi immagino quanti manager stanno pensando: ah, se ci fossi io …
Si mettano una mano sulla coscienza: la tradizionale via della managerializzazione non ha mai funzionato!
E’ necessario immaginare una nuova modalità di governo delle organizzazioni. La via della organizzazione senza manager sta aumentando i consensi. E il fatto che la manifestazione del cartellino rosso abbia funzionato significa che esiste una capacità di generare risultati senza manager formali. Ma non basta.
Occorre, innanzitutto, riconoscere qual è la vera sfida di governo.
In breve: una organizzazione non è una macchina che accendi e spegni. Non è fatta di ingranaggi che plasmi come vuoi. L’organizzazione è fatta di persone che auto evolvono e costruiscono una organizzazione che auto evolve. Non basta parlare di auto organizzazione. Occorre specificare che si tratta di un processo di autoevoluzione.
Allora la sfida è quella di capire come si sviluppano e come si governano i processi di autoevoluzione.
Per esempio potrebbe essere una forma di governo che fa in modo che tutto funzioni come ha funzionato l’organizzare la manifestazione del cartellino rosso … Non si dice che si cercano best practices? Bene quella, dal punto di vista del successo (non discuto della opportunità o altro), lo è!

Che la pubblica amministrazione sia, in generale, il campo migliore per sperimentare questa nuova forma di management? Forse lo è perché si tratta di una organizzazione molto più sofisticata di quella di una impresa industriale o anche di servizi.

Ovviamente, i Ministri Madia ed Orlando non ne sanno nulla, né di vecchie, né di nuove modalità di governo delle organizzazioni.

mercoledì 21 gennaio 2015

Non è possibile governare direttivamente una organizzazione

di
Francesco Zanotti


L’ipotesi di fondo della cultura manageriale attuale è che ... serve il manager. E chi è il manager? E’ chi “comanda”. Chi, appunto, “maneggia” uomini, organizzazioni, mercati e non solo. E gli altri ubbidiscano. Se volete usare un linguaggio più soft (ma anche un po’ più ipocrita): il manager è colui che dà le direttive e gli altri le realizzino con passione e dedizione. Ma, nonostante tutti i tentativi di addolcire il messaggio (parlando di motivazione, empowerment, partecipazione, centralità delle risorse umane, importanza delle emozioni e molto altro), la convinzione che fonda la cultura manageriale attuale è che maneggiare è comandare. Duro e puro, aggiungerebbe qualcuno.

Esiste, però, un problema: il comandare, il dare direttive è possibile solo se l’organizzazione è un sistema governabile direttivamente.
Non sembri oziosa questa affermazione: non tutti i sistemi sono governabili direttivamente. Anzi, vi sono moltissimi sistemi che non sono governabili direttivamente da noi uomini. Pensate alle nuvole. Occorrerebbe essere vento per riuscirle almeno a spingerle qua e là … Ma, anche disponendo di questa forza primordiale e incontaminata, non si riuscirebbe e impedire loro di scaricare la pioggia di cui sono cariche dove e quando desiderano.
Allora è lecito (anzi: doveroso) chiedersi se il sistema organizzazione, fatto di uomini (che in quanto a capricciosità certamente rivaleggiano con le nubi) e di fisicità tecnologiche varie, è governabile direttivamente.
Se non lo fosse, non si potrebbe “maneggiarlo” direttivamente, come si cerca di fare oggi.  E ogni cultura e strumento di direttività sarebbe da buttare.

Io ho provato a rispondere alla domanda se l’organizzazione è un sistema governabile direttivamente o no. E, dopo un lungo percorso di ricerca e riflessione, ho concluso che non lo è.
Per essere sicuro di spiegarmi bene: ho scoperto che una organizzazione umana non è un sistema  governabile direttivamente.

Da questa scoperta seguono due corollari particolarmente rilevanti. Sia per la prassi che la speranza.

Il primo è che le operazioni di governo con le quali si cerca attualmente di governare direttivamente un’organizzazione (quelle fondamentali: le scelte strategiche, il governo del funzionamento e del cambiamento. Ma anche quelle di supporto della gestione delle risorse umane, alla formazione) non possono ottenere quello che si prefiggono.
Detto più schiettamente, “maneggiare” direttivamente sembra avere la stessa efficacia del cercare di acchiappare le nuvole. Anzi vedremo che queste stesse pratiche che oggi vengono perseguite come “buone” si rivelano dannose: il “maneggiare” direttivamente è come l’ingresso infuriato di un elefante in un negozio di porcellane. Le nuvole non si possono accalappiare nonostante un agitare furioso di mani. Il furioso agitare di proboscidi (ordini direttivi, fuor di metafora), invece, distrugge le fragili porcellane organizzative.

Il secondo è che quelle competenze (dalla leadership a tutto l’armamentario della comunicazione, negoziazione etc.), che servono a governare direttivamente, sono come la capacità di acchiappare le nuvole. Peggio: l’insegnarle è come, insegnare all'elefante di cui sopra ad infuriarsi con determinazione e concretezza.

Detto questo, doverosamente specifico che non intendo, formulare un’accusa di incapacità alla classe manageriale. Non è problema di colpe personali, ma dello stato attuale delle conoscenze strategico organizzative che coltiva nei manager l’illusione che l’organizzazione sia un sistema governabile direttivamente. E li costringe a cercare di acchiappare nuvole. Con il risultato di costringerlo a distruggere la leggerezza delle “porcellane organizzative”.

domenica 18 gennaio 2015

Non conoscere è umano, perseverare nel non conoscere è diabolico

di
Francesco Zanotti


Tutti conoscono certamente il TED.
Bene, ho trovato una presentazione da guardare.

Sostiene la seguente tesi “C’è uno scollamento tra quello che la scienza sa e quello che le imprese fanno.”. Poi fornisce un solo piccolo esempio: più gli incentivi sono elevati meno funzionano.
Noi siamo andati molto più avanti in quella stessa direzione.
La nostra conclusione è “Guardando a tutte le scienze naturali ed umane, sono molto più le cose che le imprese fanno e che le scienze considerano sbagliate”. In particolare, ecco le cose che la scienza dichiara sbagliate, ma che si continuano a fare sono …

Formazione, “cantieri” di cambiamento e attività di gestione delle risorse umane
sono “specializzazioni” che rompono l’organizzazione in frammenti autoreferenziali che ne compromettono efficacia, efficienza e sviluppo …

Crediamo sia il caso di dare una occhiata alla nostra tesi …
Supponiamo che noi, il TED e la scienza si abbia ragione … quanti soldi risparmiati,  “shortcoming” evitati.
Se poi si dà un’occhiata anche a cosa proponiamo in alternativa, si potrebbe parlare, in positivo, non solo dei guai evitati, ma anche dei risultati che le scienze naturali ed umane permetterebbero se applicate.


giovedì 15 gennaio 2015

Il dimezzamento del valore delle società dell’indice FTSE MIB: il paradosso di manager bravissimi e imprese nei guai

di
Francesco Zanotti


Un ulteriore dato è emerso in questi giorni sulla stampa a confermare che siamo nei guai: le imprese dell’indice FTSE MIB di Borsa Italiana nell'ultimo decennio hanno perso più del 50% del loro valore, con punte di più del 90% nel caso di Montepaschi.
La prima osservazione, “di pancia” che mi nasce spontanea è: ma vi ricordate la venerazione per molti dei manager che hanno guidato queste imprese da parte della stampa e soprattutto di consulenti bramosi di qualche brandello di lavoro senza mai accorgersi che qualcosa non andava?
Non possiamo che concludere che la capacità di giudizio di stampa e consulenti non era granché.

Ma credo che occorra andare al di là dei giudizi sulle persone.
Il problema non è se i manager sono bravi o no. Il problema è costituito dalle conoscenze e dalle metodologie gestionali che hanno usato. Sono state conoscenze e metodologie gestionali “primitive”. Lo si poteva sapere. Bastava guardare allo stato dell’arte delle conoscenze rilevanti per parlare di ambiente socio-politico, strategie, organizzazioni e uomini per verificare che la maggior parte e la più rilevante di queste conoscenze non venivano usate.
Forse il caso più eclatante è quello delle conoscenze e delle metodologie per definire e valutare strategie.
Ma in una ipotetica scala di dimenticanza (forse sarebbe meglio dire: di trascuratezza supponente) seguono subito a ruota le conoscenze e metodologie che riguardano organizzazioni e uomini. La gran parte delle conoscenze che le scienze umane propongono per comprendere e gestire uomini ed organizzazioni sono trascurate.

Forse è giusto aggiungere che i manager non hanno usato le conoscenze disponibili anche perché i consulenti non gliele hanno proposte. Se guardate alle proposte, ai sistemi di offerta, delle società di consulenza, scoprite in fretta tutte le conoscenze rilevanti che vengono trascurate.
Ma occorre sottolineare l’“anche”. Perché in qualche modo anche i manager dovevano accorgersi che stavano usando conoscenze e metodologie troppo banali per la complessità delle imprese che gestivano.

Ecco, ma così siamo arrivati ancora ad un giudizio sugli uomini, manager o consulenti che siano. No! Perché non sostengo che la colpa sia di manager inetti. Perché in questo caso, la soluzione sarebbe banalmente quella di sostituirli con manager capaci.
Sostengo, invece, che non possono esistere manager che dispongono naturalmente dei talenti per guidare grandi organizzazioni. Le capacità per governare organizzazioni complesse non sono un dono di natura. La qualità del management dipende dalla qualità delle conoscenze e delle metodologie che usano. Poi, certo, vi sarà chi sarà più bravo ad usare le conoscenze di altri. Ma chi rifiuta la conoscenza o usa conoscenze banali, chiunque sia, non può che generare guai. E i guai sono davanti agli occhi di tutti.
Dovrebbero essere soprattutto davanti agli occhi degli azionisti che non possono accettare supinamente il dimezzamento del valore delle loro azioni credendo alla ideologia di una crisi una crisi che nessuno può contrastare. Se fosse così, questo significa che le capacità gestionali sono solo marginalmente rilevanti. E’ l’ambiente che determina il desiderio delle imprese. Se l’ambiente è benigno, allora, le azienda vanno bene, se è maligno le imprese vanno male.
Si dovrebbero ribellare a questa ideologia facendo ai manager che pagano due domande. La prima: ma come è che, invece, ci sono le imprese che vanno bene? La seconda. Ma se non hai spazio di azione e tutto dipende dal mondo esterno, perché ti pago così tanto?


domenica 11 gennaio 2015

Il problema dell’execution è un falso problema

di
Francesco Zanotti

Sarà un post “sillogistico”, telegrafico.
L’ipotesi da cui si parte è che la sfida non è rivoluzionare l’identità strategica dell’impresa, ma solo quella di lavorare meglio.
Si continua pensando che esista un modello ideale di organizzazione, lo si conosca e il problema sia solo quello di metterlo in pratica. Così si raggiunge l’obiettivo di lavorare meglio.
Da qui l’importanza dell’execution.
Mi si obietterà che l’execution riguarda proprio i cambiamenti strategici. Ma non è vero. Oggi, soprattutto nelle grandi imprese, i cambiamenti strategici stanno a zero. I cambiamenti di cui si vuole l’execution sono cambiamenti organizzativi.
Ma quali sono questi cambiamenti organizzativi che si desiderano? Chi li desidera, in realtà desidera cose così generali che chi deve metterle in pratica non sa cosa concretamente cosa fare. Ogni progetto di cambiamento ha questa sostanza: "Io, caro dipendente, non so esattamente cosa tu debba cambiare. So solo dirti cose molto general-generiche. Tocca a te declinarle. E non fare come fai sempre che le declini in modo sbagliato.”
E’ ovvio che partendo da questo punto di vista ogni execution sarà insoddisfacente: come si fa ad accontentare un manager che non sa cosa vuole?

Pensare che l’execution sia un problema nasconde il vero problema: il management oggi non sa cosa vuole, né a livello strategico, né a livello organizzativo. Ovviamente il consulente lo sa ancora meno.

venerdì 9 gennaio 2015

Delegare è tenersi stretto il nulla

di
Francesco Zanotti


Il ragionamento è banale. Si delegano le cose che non si giudicano importanti: quelle le si gestisce in prima persona. Chi viene delegato per lo più se ne accorge. E cerca di delegare a sua volta perché vuole occuparsi delle cose che il capo giudica importanti. Oppure usa la delega per obiettivi personali.
Ma vediamo cosa si delega. 
Alla fine si delega la gestione dei comportamenti delle persone all'interno ed all'esterno dell’impresa. Ma i comportamenti delle persone sono la vera strategia dell’impresa. Allora si finisce per delegare la strategia.
Quindi, appunto, delegando, si tiene stretto il nulla.

Mi piacerebbe conoscere l’opinione di manager delegatori … Dei consulenti che per campare devono vendere corsi di delega: no comment. Se quello sanno fare … 

lunedì 5 gennaio 2015

Che belli gli impegni!

di
Francesco Zanotti


Che bello essere sempre impegnati, subissati dalle urgenze. Permette di autorealizzarsi, di sentirsi importanti senza fatica e senza rischi. Permette di non dover far fatica a studiare: gli impegni, le urgenze non lasciano il tempo per farlo. Permette di non rischiare progetti e cambiamenti importanti: gli impegni e le urgenze giustificano lo spostare ogni fatica progettuale, ogni cambiamento.
Qualche volta si rimanda alle vacanze lo studiare e il progettare. Ma, poi, quando arrivano le vacanze, prevale il bisogno di staccare dalle urgenze, di dedicarsi al non lavoro (il tempo libero è sostanzialmente non lavoro). Forse a ragione perché le urgenze proteggono, ma sono sfiancanti. Si fa molta fatica spicciola per evitare la fatica importante dello studiare e del progettare.
Se poi tutte quelle urgenze sono del tutto fittizie, peggio, sono auto costruite proprio da chi, evitando la conoscenza, non riesce a capire l’impresa in cui vive e non sa realmente governarla, beh … non ne parliamo. Tanto non se accorge nessuno. Anche se ne leggiamo, per caso, su blog come Ettardi, facciamo spallucce, certi che nessun azionista frequenterà mai questi blog e mai ci chiederà perché vogliamo ostinatamente danneggiare l’impresa che ci paga solo per rifiutare lo studiare e il progettare. Sicuri che non li frequenti già?