"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

sabato 28 dicembre 2013

Quanti progetti può sopportare una organizzazione?

di
Francesco Zanotti


Certamente la qualità è importante. Ed allora forza un bel progetto sulla qualità. Ma è la sicurezza non lo è? Ah certo. Ed allora anche un progetto sulla sicurezza. Poi occorre un progetto per la riduzione dei costi e bisogna fare quelle modifiche indispensabili al sistema informativo. Beh, ma è anche necessario che i manager siano formati alle soft skills. Ed allora via una bella analisi dei bisogni per poi iniziare un programma di corsi. Poi arriva l’Amministratore Delegato a cui un amico-collega ha parlato benissimo di quel consulente che ha quell'approccio molto speciale. Ed allora comincia un altro progetto. Chi può negare un progetto all'Amministratore Delegato … Dimenticavo, è il periodo in cui si fa l’analisi del clima … Ho certamente dimenticato molti progetti essenziali
Ovviamente ognuno di questi progetti e fondata su visioni diverse dell’organizzazione. Volete che i consulenti abbiano approcci uguali?
Sommate tutto … a voi immaginare il risultato che si ottiene … Con mille altri consulenti alle porte che … “ loro sì che hanno una esperienza unica da proporre” … che poi si risolve nel dire al potenziale cliente: Ah se ci fossi io al posto tuo sì che le cose funzionerebbero …

Così per ridere (o piangere) quasi a fine anno ….

giovedì 26 dicembre 2013

Non affidate la gestione del cambiamento ai consulenti

di
Francesco Zanotti



Invito sorprendente? Spero invito carico di nuove prospettive.
L’organizzazione non è come una macchina che mandate a riparare o trasformare. E poi attendete che ve la riportino sistemata così da poterla guidare meglio.
Non chiedete ai consulenti di “riparare” l’organizzazione. Chiedete, invece, ai consulenti di darvi risorse cognitive (modelli e metodologie) per comprendere la complessità organizzativa, per comprendere le dinamiche di sviluppo autonomo … sì perché l’organizzazione non si fa usare, ma si usa (cioè evolve) da sola … E poi chiedete loro delle metodologie di processo per governare questo evolvere autonomo.
Ovviamente controllate che i vostri consulenti siano all'avanguardia su tutti i campi disciplinari che abbiano qualcosa da dire sull'organizzazione: dalle scienze cognitive, alla filosofia, alla psicologie (le diverse tipologie di psicologie, alla sociologia all'antropologia. Non accettate modalità mono dimensionali di guardare all'organizzazione. Soprattutto non accettate che il vostro consulente non specifichi quale è la sua posizione rispetto allo stato dell’arte di tutte le aree di conoscenze rilevanti.

Non accettereste una mono dimensionalità provinciale neanche da uno che ripara la vostra auto. Deve saper usare sia la chiave inglese che l’elettronica .. almeno … Perché accettarla da chi vi deve fornire risorse cognitive? Non volete, non vi interessa che siano migliori di quelle che usano i vostri concorrenti? 

lunedì 23 dicembre 2013

Quale è la epistemologia prevalente nella vostra organizzazione?

di
Francesco Zanotti


Ma che è sta cosa? E che c’entra con i problemi dello sviluppo delle imprese? C’entra perché l’epistemologia di una persona (e le persone sono l’asset fondamentale per costruire sviluppo, no?) è l’insieme delle sue convinzioni fondamentali, quelle che guidano i suoi giudizi, la sua capacità progettuale e relazionale, i suoi comportamenti. Quindi, non si può non tenerne conto. Pena il non capire nulla delle persone, costruirne una immagine superficiale ed artificiale che non permette nessuna azione efficace di governo.

Allora è necessario porsi alcune domande rispetto alla epistemologia. Quali sono le epistemologie possibili? Quale è più utile adottare per avviare la propria impresa verso lo sviluppo?
Osando una semplificazione estrema, credo che possano essere raggruppate in tre tipi.
La prima è l’epistemologia “realista”. Esiste un mondo fuori di noi che è indipendente da noi e che è possibile osservare e conoscere.
La seconda è l’epistemologia “post-moderna”. Non so se esiste un mondo là fuori di noi che è indipendente da noi. Quello che è certo è che noi possiamo conoscerlo solo soggettivamente perché osservandolo e cercando di capirlo inevitabilmente lo interpretiamo soggettivamente e contingentemente.
La terza è l’epistemologia “quantistica” (costruttivistica, se volete). Fuori di noi vi è un immenso mare di potenzialità di mondi in continua agitazione che dobbiamo far precipitare in qualche mondo specifico.
Si fa in fretta a capire che se un manager segue la prima epistemologia tenderà alla analisi ed alla formalizzazione. Convinto che le sue analisi e le sue argomentazioni sono quelle giuste. E peste colga chi non è d’accordo. Un macho manager ideologico, insomma
Se un manager segue la seconda epistemologia, sarà dolce e gentile. Interessato al processo e non ai contenuti. Interessato al benessere. Un formatore che non insegna, ma fa emergere.
Se un manager segue la terza epistemologia allora si comporterà come un imprenditore che crea mondi.

L’ideale? E’ ovvio: un mix di epistemologie che vengono usate in momenti diversi della vita organizzativa. Ogni scelta esclusiva ed assoluta è dannosa. Mi serve l’imprenditore che immagina mondi futuri. Deve avere la sensibilità post moderna di capire che questa creazione può essere solo sociale. E, poi, deve anche diventare esecutivo perché altrimenti i sogni restano sogni.

Nella vostra organizzazione, quale epistemologia prevale? Nello stadio a cui è giunto lo sviluppo della vostra organizzazione quale dovrebbe essere l’epistemologia guida?


venerdì 20 dicembre 2013

Ciò che pensiamo diventiamo

di 
Luciano Martinoli



Questo minuto e mezzo tratto dal film "The Iron Lady", sulla vita di Margareth Thatcher,  offre due importanti spunti di meditazione, entrambi resi intensi dalla magistrale interpretazione di Meryl Streep: la prevalente importanza che diamo alle "sensazioni" invece che alle idee, e il ruolo dei pensieri sulle nostre azioni.

mercoledì 18 dicembre 2013

Cambiare il cambiare

di
Francesco Zanotti


Credo che molti saranno d’accordo che la condizione di base per realizzare un cambiamento è il saperlo descrivere. Devo riuscire a dire alla mia gente cosa deve cambiare.
Ed allora vediamo cosa si riesce a descrivere. La cosa da cambiare sono i comportamenti. Cioè le singole azioni che mettono in atto le persone ... Sono queste che generano qualità, sicurezza, relazione con i clienti.
Bene riuscite a descrivere quali nuovi comportamenti devono mettere in atto le singole persone di una grande organizzazione sparse, magari, in tutto il mondo?  Beh converrete che la risposta è no. Ma se non si riesce a dare indicazioni su quali nuovi comportamenti mettere in atto, significa che si riesce solo ad agire indirettamente: sulle variabili che generano i comportamenti.
Si riesce ad esempio, a indicare quali valori perseguire e quali modelli generali di comportamento mettere in atto. Ma comunicando queste cose cosa si ottiene? Che ogni singola persona deve declinare questi valori e questi modelli di comportamenti nella sua realtà concreta. E lo farà partendo, innanzitutto, dal suo sistema cognitivo. Esso è sconosciuto a chi progetta il cambiamento. Non ne può tenere in conto. Questo significa che è sconosciuto il modo in cui ogni singola persona interpreterà la comunicazione dl cambiamento. Ed è questa sua interpretazione che guiderà il cambiamento dei comportamenti. Non solo, ma ogni singola persona è immerso in un suo micro ambiente sociale che è, parimenti sconosciuto a chi progetta il cambiamento, ma ha influenza sia sul modo col quale le persone interpretano il messaggio di cambiamento.
Possiamo fermarci qui (vi sarebbero anche altri fattori da considerare) per concludere che la modalità normale di perseguire il cambiamento (qualcuno lo decide e poi lo fa realizzare) non può funzionare perché la descrizione del cambiamento deve essere per forza di cose generale. Deve essere concretizzata nelle singole contingenze cognitive sociali. E questo processo di concretizzazione non può essere previsto. Detto in strema sintesi: un messaggio di cambiamento genera, certamente, un cambiamento, ma non si sa quale cambiamento genererà nelle cose che veramente contano: i comportamenti.

Conclusione: se ci teniamo davvero a dare il nostro contributo allo sviluppo di questo Paese riuscendo a guidare i cambiamenti nei comportamenti,  dobbiamo sviluppare una nuova logica di gestione dei processi di cambiamento. Non dobbiamo rinchiuderci in parrocchie e torri eburnee di potere. Dobbiamo tornare tra per le strade della conoscenza e cercare. Come i lettori di questo blog sanno, noi stiamo dando il nostro contributo.


sabato 14 dicembre 2013

Immaginate di essere un fantasma …

di
Francesco Zanotti


In una organizzazione quello che conta sono i fatti. Cioè i comportamenti delle persone … Allora immaginate di essere un fantasma e di andare a “visitare” la vostra organizzazione. Sì, un fantasma. Perché non vi devono né vedere, né sentire. Altrimenti i comportamenti (come lavorano, quello che dicono, come si relazionano tra di loro e con i clienti) cambiano. Un fantasma dunque … Lo so vi piacerebbe e so che sapete già che scoprirete una organizzazione che non avreste mai immaginato …
Ma un fantasma non siete …
Ma allora, mi direte, non sapremo mai come “funziona” veramente, al di là delle carte, come funziona la nostra organizzazione?

Se non si cambia radicalmente logica di governo, sì. Non saprete mai come funziona la vostra organizzazione, tanto meno saprete come cambiarla. E come cambiare la logica di governo? Il primo passo è convincervi che non siete fantasmi. E non esistono i surrogati dei fantasmi. Le indagini (tutte le indagini: dal clima all'analisi delle competenze) non vi dicono come è l’organizzazione, ma come la vostra organizzazione reagisce all'analisi. Quando siete convinti di questo ed avrete fatto anche il passo successivo (ma se non conosco la mia organizzazione, come faccio a governarla?) vedremo ….

mercoledì 11 dicembre 2013

Ma pensate che nella mente vi siano …

di
Francesco Zanotti


… rappresentazioni fedeli della realtà? Oppure interpretazioni individuali? Oppure costruzioni? La domanda non è filosofica. E’, invece, maledettamente pratica. Perché tutte le metodologie di gestione (analisi delle competenze, formazione, valutazione etc.) hanno senso solo se la mente genera rappresentazioni fedeli della realtà. Registra queste “immagini” e le recupera, sempre uguali a loro stesse quando vuole.
Se la mente non si relaziona a questo modo con l’ambiente esterno, ma costruisce una sua realtà (ovviamente in un modo misterioso per un “esterno”), allora analizzare, comunicare, formare, valutare sono azioni di cui si può misurare costi e fatica spesi, ma non si può sapere nulla dei risultati che si ottengono. Chissà che tipo di immagini ha costruito una persona quando gli abbiamo comunicato, abbiamo cercato di motivarlo, di formarlo etc.

Uomini e donne affaccendatissimi, non varrebbe la pena di sapere cosa diavolo fa la mente? Si rischia che questo affaccendarsi sia controproducente. Va beh, mi direte, fino a quando nessuno se ne accorge  non è un problema … Ma non mi sembra bello. Soprattutto non mi sembra prudente immaginare che nessuno si accorgerà mai che le scienze cognitive hanno raggiunto alcuni risultati che il management non solo ignora bellamente. Ma agisce all'esatto contrario …

venerdì 6 dicembre 2013

Liberazione cognitiva del top management

di
Francesco Zanotti



Siamo alla fine di un anno, ancora una volta difficile. Nonostante qualche ottimismo ufficiale ci attendiamo tutti un 2014 ancora difficile …
Noi pensiamo che potrà diventare un anno di svolta solo se attiveremo un processo di liberazione cognitiva.
Oggi siamo tutti prigionieri di una visione del mondo che è una versione quasi caricaturale, nella sua semplificazione estrema, della visione del mondo della fisica classica.
Questa visione va bene per costruire macchine, ma non per costruire organizzazioni e mercati. Se la usiamo per costruire organizzazioni e mercati, semplicemente non ci riusciamo. Non riusciamo a liberarci da una competizione insopportabile. Non riusciamo a mobilitare una organizzazione che ci sembra sempre più misteriosa e indolente.
Allora ci dobbiamo “liberare” dalla tirannia di una visione del mondo che, pur essendo parziale, è diventata egemonica. Soprattutto lo devono fare le classi dirigenti. In particolare lo deve fare il top management delle imprese.
Come?
Accostandosi alle visioni del mondo alternative che sono emerse in quasi tutte le scienze naturali ed umane.  Modi di guardare il mondo e di pensare nuovi.
Noi stiamo preparando “occasioni e strumenti”, pensati per il top management che hanno come obiettivo di rispondere alle seguenti domande:
·        quali sono i nuovi modi di pensare che emergono dalle scienze naturali ed umane?
·        come permettono di cambiare i processi di governo strategico-organizzativo?

L’appuntamento è per l’anno prossimo …

mercoledì 4 dicembre 2013

La comunicazione “chiara” e gli elefanti

di
Francesco Zanotti

Il manager che vuole guidare direttivamente una organizzazione fa come un elefante che entra furiosamente (col cipiglio del manager duro e puro) in un negozio di porcellane. Dire che crea scompiglio è usare un eufemismo.
Il cercare di comunicare chiaramente raggiunge lo stesso scopo: fa casino. Più chiaramente si comunica, più le porcellane (quell'intreccio indistricabile ed inconoscibile di fili sottili che costituisce l’organizzazione informale) vengono sminuzzate in pezzi senza senso. Per fortuna questi pezzi sono attivi e ricostruiscono un sistema di fili sottili, ma in modo del tutto sconosciuto al manager e certamente non finalizzato agli obiettivi aziendali.
Ma perché comunicare fa casino?


Perché … ecco bisogna confrontare il modello comunicativo di Shannon (quello oggi usato che ha la dolcezza e ottiene i risultati di un elefante) con il modello di Luhmann … e si capisce tutto …

domenica 1 dicembre 2013

Non spingete le nostre imprese a competere

di
Francesco Zanotti

Francesco.zanotti@gmail.com f.zanotti@cse-crescendo.com



La ideologia della competizione è il frutto di un grandioso successo di marketing. E’ cominciato tutto con la primitiva visione del mercato di M. Porter nei primi anni ’80. Essa, poi, è dilagata, ma diventando sempre più povera. Ed oggi ci affligge come un mantra banale che, però, sta causando danni incalcolabili.
Sta portando ogni settore industriale verso una guerra di prezzi che non può essere vinta, ma costringe le imprese a perdere sempre di più la loro capacità di produrre cassa. Qualche volta le costringe a pratiche discutibili, come risparmiare sulla sicurezza. Costringe cognitivamente le banche (che usano la stessa visione del mercato) a impostare le operazioni di ristrutturazione del debito sulla riduzione dei costi. Costringe il governo a sussidiare, fino a diventarne padrone, le imprese, invertendo così il principio chiave di una società liberale dove sono le imprese a produrre soldi e non ad essere mantenute. Rende strutturale ed inevitabile sia la riduzione dell’occupazione che la sua perdita di “qualità”: gli stipendi diminuiscono.
Ma non si può non competere, mi si obietterà. Non è vero! Intorno a noi stanno emergendo mille segni di possibili futuri che potrebbero attivare una nuova progettualità imprenditoriale. Essa creerà imprese che proporranno prodotti radicalmente diversi attraverso processi produttivi altrettanto diversi. Imprese che torneranno a produrre cassa e, quindi, occupazione e gettito fiscale. Oltre che una nuova società.

Manager che avete la responsabilità degli attori fondamentali di ogni progettualità imprenditoriale (le persone), non abbiate paura. Esistono le conoscenze che possono rigenerare imprenditorialità diffusa in tutte le imprese. Sono le metodologie e le conoscenze di strategia d’impresa. Imparatele: non è un delitto ammettere che non le si conoscono. Imparatele e diffondetele. Lasciate stare i costi di leadership, le valutazioni i sistemi incentivanti e compagnia cantante. Dobbiamo costruire un nuovo mondo con lo scalpello dell’artista. Come diceva Michelangelo: il David sta nella pietra, io l’ho solo tirato fuori. Una nuova economia ed una nuova società stanno nascoste nei segni dei tempi futuri. Tocca a voi dare alle vostre imprese le conoscenze necessarie per togliere il marmo di troppo. Lo scalpellare il marmo per produrre nuove imprese che diventano opere d’arte genera auto motivazione, auto formazione, collaborazione e tutto quello che oggi cercate di fare direttivamente e, quindi, artificialmente. Riuscendoci poco. O punto.



sabato 30 novembre 2013

Cosa deve chiedere un manager alla filosofia?

di
Francesco Zanotti


Beh può chiedere qualche contenuto per riempire spazi di formazione “originali”.
Oppure può rivolgere alla filosofia domande essenziali e concrete per lo sviluppo delle imprese.
Propongo qualche esempio.
A metafisica, ontologia ed epistemologia deve chiedere quale tipi di visioni del mondo ci sono. Più concretamente: quale visione del mondo è più utile in un periodo di crisi?
Alla linguistica: ma cosa significa comunicare?
Alla logica ed alla matematica: ma cosa significa “ragionare”?
Alla filosofia della mente: ma chi è la persona umana?
All'etica: ma da dove emergono i comportamenti?
Alla politica: ma cosa significa partecipare?


All’estetica: ma quale è il ruolo del bello nello sviluppo di una impresa?

venerdì 29 novembre 2013

Insensatezze apprentemente nobili

di
Francesco Zanotti


Girovagando per i Gruppi di LinkedIn si trova … di tutto!
Ho scelto una frase che suona nobile, ma è, invece, insensata. Eccola: “Le aziende dovrebbero imparare a capitalizzare il patrimonio di competenze che hanno al loro interno oltre che massimizzare i profitti.
Perché credo sia insensata?
La prima ragione è che, al giorno d’oggi, non mi sembra che chi cerca di massimizzare i “profitti” ci riesca … Ma poi: occorre specificare cosa siano i profitti. Sono una parola “mitica”. Non c’è una riga del bilancio denominata “profitti”. C’è: EBITDA, Utile, Cash Flow, ROE, Eva, valore delle azioni, dividendi. Il tutto a breve e lungo termine … “Profitto” dovrà essere per forza una di queste “cose”. E per perseguire il tipo di profitto scelto occorre fare cose diverse da quella che si dovrebbero fare scegliendo altre accezioni della parola “profitto”.
Ancora: ma “capitalizzare il patrimonio di competenze” significa dargli un valore ed inserirlo nello stato patrimoniale. Aggiungendo al conto economico di ogni anno la variazione del valore del “patrimonio di competenze”. Cioè: tanto più si aumenta il valore del patrimonio di competenze, tanto più si pagano tasse … se lo dite al CFO di una impresa in crisi che si può “valorizzare” il patrimonio di competenze, lo fa subito, così evita agli azionisti di mettere soldi (capitalizzare con soldi) quando le perdite azzerano il capitale.
Infine (ma certo non esaurendo il tema) occorrerebbe specificare come si valorizza (cioè si dà un valore ad un patrimonio di competenze …

Forse, però, chi ha scritto quella frase non intendeva usare concetti “precisi”, ma solo evocativi … Ma allora dovrebbe spiegare cosa intendeva evocare …

domenica 24 novembre 2013

Sapete quali “casi” di allometria vi sono nella vostra organizzazione?

di
Francesco Zanotti


Come è noto, ogni organizzazione ha un suo processo di evoluzione autonomo che nessuno si perita di cercare di gestire … Domanda incidentale: ma allora cosa gestiamo se è dai processi di evoluzione della organizzazione informale che si generano i comportamenti? Se non gestiamo i processi di evoluzione di una organizzazione, non gestiamo il formarsi dei comportamenti …
Ma torniamo al discorso principale: lo sviluppo autonomo non è uguale in tutti i “pezzi” di una organizzazione. Si manifestano, inevitabilmente, fenomeni di “allometria”. Cioè vi sono alcuni pezzi che si sviluppano (anche in questo caso autonomamente) più di altri.  Ma … conosciamo questi differenziali di evoluzione? Sono quelli che desideriamo? Di più: sappiamo quelli che desideriamo?

Oppure … lasciamo che siano i posteri (cioè quelli che ci sostituiranno) a rispondere a queste domande?

sabato 23 novembre 2013

Non si può descrivere una organizzazione

di
Francesco Zanotti



Come tutti sanno, l’organizzazione interna di una impresa (ma anche di un qualunque altro attore collettivo) è costituita da una parte formale (struttura fisica, sistemi di procedure etc.) e da una parte informale (le persone, i sistemi di relazione, le antropologie emergenti  etc.) che definiamo “organizzazione informale”.
Ora, accade che la parte formale sia analizzabile oggettivamente e descrivibile completamente e coerentemente. Quindi, è anche possibile indicare esattamente come cambiarla.
Mentre la parte informale, no! Non è analizzabile oggettivamente, quindi, non è descrivibile completamente e coerentemente. Quindi, ancora, non si riesce ad indicare come cambiarla.

Perché non è analizzabile l’organizzazione informale?
La ragione più evidente è che non esiste un modello (riduzionistico) di organizzazione informale che dica quali sono i “pezzi” di cui è costituita. E se non si sa quali siano i pezzi da analizzare, come si fa a farlo?
Ma vi sono anche ragioni più profonde.
La prima ragione è che l’organizzazione informale non ha una identità definita: è uno, nessuno e centomila. E appare diversa a seconda dello sguardo  che la osserva  e di quando la osserva.
La seconda ragione è che lo sguardo umano, quando si trova di fronte a qualcosa che può essere mille cose, non riesce ad essere neutro, ma deve fare i conti con la propria soggettività che lo porta ad avere uno specifico angolo visuale ed attivare personali processi di interpretazione. Finisce che il cercare di analizzare è come proiettare l’identità dell’analista (consulente o manager che sia) nell'organizzazione. Analizzare è come guardarsi allo specchio in un certo contesto. Ci guardiamo allo specchio e pensiamo di guardare l’organizzazione. Ma quella che vediamo è solo il fantasma della nostra immagine in quel contesto.
In sintesi, la struttura della organizzazione informale e il tipo di relazione che la lega con l’esterno sono post-moderne.

L’organizzazione protagonista
In realtà vi è una terza ragione per cui l’organizzazione informale non può essere descritta: perché è dotata di vita propria. Si accorge dello sguardo e interferisce con lo sguardo generando una sua identità che dipende dallo sguardo e lo modifica.
Voglio dire che l’organizzazione è un attore non solo post-moderno, ma anche quantistico.
Questo significa che un’organizzazione cambia ogni giorno ed ogni istante autonomamente. Detto più precisamente, ogni organizzazione cambia, giorno per giorno, in un modo molto particolare: costruisce un suo proprio processo di evoluzione che risuona con l’evoluzione esterna dell’impresa.
Questa indiscutibile realtà assesta il colpo decisivo non solo alla pretesa di poter descrivere una organizzazione, ma a, più complessivamente, alla illusione dei manager di considerarsi, almeno, generatori di un cambiamento che una organizzazione non attiverebbe mai da sola.
 

Purtroppo (o per fortuna) il cambiare o meno non è una scelta del management. Anche se il management non promuove il “Change”, l’organizzazione non se ne sta buona buona uguale a se stessa. Parafrasando uno dei postulati della “pragmatica della comunicazione”: non si può non cambiare.

martedì 19 novembre 2013

Ma pensate veramente che …

di
Francesco Zanotti



Immaginate che un Responsabile HR vada dal suo CEO e gli dica: “Guarda, io so esattamente quali sono le competenze che servono per far aumentare i flussi di cassa. So quali sono le competenze possedute. Conosco il gap tra il necessario e il posseduto e so esattamente quali sono le cose da fare per colmarlo. Il fare queste cose costa tot e produce un preciso e prevedibile aumento dei flussi di cassa.” Pensate che il CEO gli darà i soldi per fare quello che il responsabile HR propone? La mia risposta è: certamente sì.
Se, invece di fare questo discorso, se ne fa uno più sfumato, allora, proporzionalmente, sfuma la probabilità che il CEO consideri le iniziative proposte come un investimento e non come un costo.
Ecco, ovviamente non sto parlando di ROI della formazione o sciocchezze simili. Immagino che il sapere quali competenze servano significhi sapere quali siano le competenze necessarie ad attivare i comportamenti che permettono di aumentare i flussi di cassa …
Purtroppo non è possibile collegare le competenze ai comportamenti. In realtà, non è neanche possibile sapere quali sono i comportamenti giusti …
Conclusione? Per ora solo una in negativo: tutte le attività oggi legate alle competenze sono un costo del quale non si può conoscere l’effetto. Può anche essere negativo.
In positivo? Cominciamo a non attivare iniziative delle quali non si possono conoscere gli effetti … Solo così ci verrà voglia di una nuova proposta.

  

sabato 16 novembre 2013

Manager HR e “libertà”

di
Francesco Zanotti


“Detto in tutta sincerità, sai perché mi piace fare il manager HR? Perché non ci sono leggi da applicare, vincoli, procedure … Affronto ogni problema esattamente come penso e voglio …”.
Che bello … Tranne che il dire “come penso e voglio” significa considerare il proprio sistema di conoscenze come quello definitivo: nulla da apprendere da nessuno … Significa considerare le proprie pratiche come le migliori al mondo.

Una completa libertà da qualunque conoscenza che rischi di suggerire visioni e pratiche nuove.Con buona pace delle imprese che, visti i risultati (chi sostiene che non stanno aumentando le ?), avrebbero bisogno come il pane di nuove conoscenze (da parte dei consulenti) che permetterebbe ai manager di avviare nuove pratiche ….

mercoledì 13 novembre 2013

Governare cosa? Ma i comportamenti, che diamine

di
Francesco Zanotti


Io credo che tutti siano d’accordo che governare una organizzazione significhi governare i comportamenti delle persone. Per il semplice motivo che sono i comportamenti delle persone che generano i risultati aziendali.
Bene, se vogliamo governare i comportamenti delle persone dobbiamo sapere da cosa sono generati. Se non so cosa li causa, come faccio a governarli?
Purtroppo oggi la “scienza” del management non contiene una teoria dei comportamenti. Conclusione: se non esiste una teoria dei comportamenti, non si può governarli!

Allora è necessario ed urgente cercare questa teoria. A maggior ragione oggi, quando abbiamo ampiamente verificato che i comportamenti attuali non vanno gran che bene ed occorre cambiarli. 
Mi piacerebbe aprire un dibattito. Su due domande: 
Signori Consulenti, su quale teoria dei comportamenti vi basate? 
Signori manager, come fate a gestire e generare cambiamenti se non disponete di una teoria dei comportamenti?

lunedì 11 novembre 2013

Pratiche problematiche

di
Francesco Zanotti


Post breve e secco. Per non dare adito ad equivoci. Sostengo che tutto il pensiero, "umanistico" e "scientifico" (per usare due categorie conosciute) degli ultimi due secoli, in un crescendo rossiniano, dimostra che tutte le pratiche, che hanno come attività di fondo la misurazione o la valutazione delle persone e delle organizzazioni, sono scientificamente insensate. Gli esempi sono innumerevoli: analisi del potenziale, valutazione delle performances, analisi del clima, analisi delle esigenze formative. Sì, tutte queste pratiche sono insensate.
Che facciamo? Continuiamo a farle perché ci tranquillizzano? O vogliamo aprire un dibattito in proposito? O vogliamo sostenere che tutto il pensiero degli ultimi due secoli  è del tutto inutile?

Ai nostri lettori una risposta …

venerdì 8 novembre 2013

Manager, dentisti e capelli biondi

di
Francesco Zanotti

Quando dovete scegliere un dentista ed avete i capelli biondi, non andate da quelli che hanno curato tante persone con i capelli biondi. Cercate, forse, chi ha il prezzo più basso o chi ha curato vostri amici. Meglio sarebbe informarsi sulle tecnologie e le metodologie usate dal dentista.
Scusate la storiella personale. Sono andato da un dentista milanese, presentatomi da un amico, a farmi una visita di controllo. Mi ha detto: serve solo una pulizia dei denti. Ma io sentivo che non bastava. Allora mi sono informato ed ho trovato un dentista che mi sembrava molto più attrezzato tecnologicamente e metodologicamente. L’ho trovato ed infatti mi ha diagnosticato … non ha importanza e mi sta efficacemente curando … anche questo non ha importanza.
Oggi la ricerca di un consulente dovrebbe essere la ricerca di chi offre le migliori conoscenze e metodologie strategico organizzative. Ovviamente il manager deve dotarsi di una visione dello stato dell’arte a livello internazionale delle conoscenze e delle metodologie esistenti. La selezione di un consulente dovrebbe iniziare da una domanda: caro consulente, mi fai una panoramica dello stato dell’arte internazionale delle conoscenze strategico-organizzative e mi dici come ti posizioni rispetto ai tuoi concorrenti?

Mi si potrebbe obiettare: ma io cerco quello che ha maggiori esperienze. Contro obiezione: ma come fai a misurare l’esperienza? Non è che rischi di andare a cercare quell'esperienza che riconosci … ma che potrebbe c’entraci con le sfide di sviluppo della tua impresa come i capelli biondi con i denti?

martedì 5 novembre 2013

Colaninno e la “macchina”

di
Francesco Zanotti

Tra le molte cose che ha detto oggi Colaninno nell'intervista al Sole 24 Ore ve ne è una che spiega il guaio (prevedibile) in cui continua a rimanere Alitalia.
Ad un certo punto egli dice: “Quattro anni sono serviti solo a rendere la macchina più gestibile”  per giustificare che non si è ancora alla redditività.
Ecco l’errore fondamentale in cui incorre tutta una classe manageriale: il considerare una organizzazione una macchina che bisogna modificare (cambiare) per far funzionare meglio.

L’organizzazione non è una macchina, ma è un sistema umano capace di auto evoluzione. Cioè è un sistema che si cambia da solo. Non è neanche un sistema che si auto-organizza. Si tratta di auto-riorganizzazione continua. Cioè un processo di evoluzione. Un sistema di questo tipo non si può far funzionare come si vuole. Funziona come vuole lui. Le “istruzioni” che gli posso impartire sono come stimoli che usa come gli pare. Un sistema di questo tipo non può essere cambiato. Si cambia da solo come vuole. Le “istruzioni” di cambiamento sono un altro tipo di stimoli ai quali il sistema reagisce, anche in questo caso, come gli pare. Ed allora come si governa una organizzazione? Occorre capire quali sono le dinamiche di auto-evoluzione e intervenire in quel processo. La variabile chiave è costituita dalle risorse cognitive. 

lunedì 4 novembre 2013

Consulenti: il dovere della ricerca, frutto di investimenti

di
Francesco Zanotti

Credo che il management abbia bisogno di innovazioni importanti. Basta guardarci intorno (ai risultati che stiamo ottenendo) per convincerci che le attuali teorie e pratiche manageriali non è che ci possano soddisfare.
Ma da dove possono venire le innovazioni? Innanzitutto devono essere innovazioni “competitive”: noi consulenti italiani dobbiamo fornire ai nostri clienti innovazioni migliori di quelle che le migliori società di consulenza offrono ai loro clienti internazionali. Noi consulenti italiani non possiamo non sentire l’obbligo di considerare il mondo come nostro mercato di riferimento.
Ma come si ottiene questa tipo di innovazione? Attraverso investimenti in progetti di ricerca che impegnino team di ricerca.
Noi abbiamo avviato un progetto di ricerca di questo tipo.
Abbiamo censito, innanzitutto, le principali teorie e metafore manageriali disponibili. Ne abbiamo censite almeno una trentina.
Abbiamo, poi, esplorato le scienze naturali ed umane per cercare nuovi modelli e metafore: dalla matematica, alla fisica, alle neuroscienze, alla teoria della evoluzione, fino alla filosofia.
Abbiamo costruito una sintesi di tutte queste conoscenze e ne abbiamo ricavato un nuova filosofia di governo che è tanto complessa nelle origini quanto di semplice utilizzo. Nella nostra sintesi sono “riconoscibili” i contributi di tutte le teorie, metafore e scienze.

Siamo alla ricerca di contributi nuovi. Cioè non presenti nella nostra sintesi.

sabato 2 novembre 2013

Scelta e promozione dei talenti … o del proprio sistema cognitivo?

di
Francesco Zanotti

Apparentemente è affascinante, con questo retrogusto evangelico …
Ma qualche riflessione si impone. Come di fa a decidere chi è un talento? Purtroppo è oramai evidente che la scelta dei talenti dipende non da una misura oggettiva, ma dal sistema cognitivo del valutatore. E’ psicologicamente, sociologicamente e antropologicamente soggettiva.
Poi, quando anche si fossero scelti i talenti, come si fa a capire come svilupparli e dove impiegarli? Quindi?

Forse è il caso di esplicitare il retrogusto evangelico. E  pensare che il vangelo non premiava la differenza dei talenti, ma premiava (o puniva) il loro utilizzo. Allora forse il manager dovrebbe avere la responsabilità di mobilitare i talenti di tutti senza pretendere prima di conoscerli perché è una cosa impossibile da farsi.