"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 25 settembre 2012

Le "core incompetence" delle aziende

Dal 20 al 22 Maggio scorso a Sacramento, California, si è tenuto il simposio del Self Management Institute, l'istituto voluto da Chris Rufer fondatore della Morning Star, la più volte celebrata azienda senza manager (o dove tutti sono manager, come ama precisare) apparsa sull' articolo dell'Harvard Business Review del  dicembre scorso. Solo recentemente sono stati resi disponibili i video degli interventi e, tra questi, ho trovato di particolare interesse quello di Gary Hamel, giornalista, scrittore, consulente.
Perchè?
Perchè in modo lucido e articolato spiega il motivo dell'impossibilità dell'attuale paradigma di management di gestire le organizzazioni del III millennio e che produce, come conseguenza, le "core incompetence" dell'azienda media.
Quali sono queste core incompetence?

lunedì 24 settembre 2012

Che ne sa il Capo? Terza parte


di
Francesco Zanotti

Non solo il Capo non sa quale siano i valori del mio gruppo di lavoro, non solo non sa neanche quali sono le relazioni tra di noi, all’interno del Gruppo.
Ma non sa neanche chi sono io: quale è il mio patrimonio cognitivo ed emozionale. Lo si vede da come mi guarda, mi considera e comunica con me …
Lo immagino anche perché non mi sembra sia un esperto, ad esempio, di scienze cognitive …
Io che ne so? Beh, poiché in fabbrica mi chiedono solo una operatività spicciola, senza immaginarsi che possa dare di più (come possono immaginarlo se non mi conoscono profondamente e non hanno neanche gli strumenti per conoscermi?), la sera studio per i fatti miei. Mi interessano i progressi delle scienze, in particolare della fisica quantistica … Tutte queste nuove conoscenze potrebbero essere utilissime al mio Capo sia per capirmi meglio, sia per capire i miei compagni, i nostri valori, l’intreccio delle nostre relazioni …
Abbandono i panni dell’ipotetico operaio del post. Per dire che non è affatto ipotetico.
Questo operaio colto e curioso non è una mia invenzione. In uno stabilimento di una multinazionale metalmeccanica almeno il 10% degli Operai e dei Capiturno si interessa di fisica quantistica. Ovviamente i capi non lo sanno.

martedì 18 settembre 2012

Che ne sa il Capo? Seconda parte


di
Francesco Zanotti

Non solo il Capo non sa quale siano i valori del mio gruppo di lavoro, ma non sa neanche quali sono le relazioni tra di noi, all’interno del Gruppo
Non sa se siamo cooperativi o conflittuali. Non sa con chi io parlo più facilmente e con chi non riesco proprio ad intendermi. Non sa che Giovanni se ne sta sempre tutto solo oppure che Filippo fa un po’ il bulletto, come se il rischio gli piacesse. Non sa che un altro vuole fare sempre di testa sua e considera ogni consiglio un insulto. Non sa che siamo divisi in due gruppi che se la intendono poco tra di loro…
Non sa che quando ci propone un cambiamento rischia di far lavorare insieme persone che non si intendono. Oppure distrugge quel sottile reticolo di amicizie che ci fa lavorare bene.
Non sa che, quando ci chiama a discutere qualche tema, sarebbe meglio non prendesse sul serio e alla lettera quello che diciamo: diciamo quello che ci permette di continuare un gioco relazionale di cui non sa nulla.
Forse sarebbe bene sapesse tutte queste cose e ci piacerebbe molto ci desse una mano a superare tutte le nostre difficoltà relazionali …

giovedì 13 settembre 2012

Che ne sa il Capo?


di
Francesco Zanotti
Qualche volta me lo chiedo …
Ma che ne sa il Grande Capo della nostra vita di tutti i giorni?
Sapete noi (io e i miei compagni di squadra) passiamo un gran pezzo della nostra vita insieme … Quando si vive insieme di comincia a trovare dei criteri comuni per decidere cosa è giusto e sbagliato. 
Si chiamano valori vero? Ecco che ne sa il Gran Capo dei nostri valori? Per carità, nessuna critica: si danna l’anima per insegnarci i valori aziendali, ma a me sembrano come le prediche alla Messa. Certo, principi sacrosanti … ma così generali che, quando dobbiamo scegliere i nostri comportamenti quotidiani, ci sono di pochissimo aiuto. Anzi, anche quando ci sforziamo di parlarne tra di noi e di applicarli, non ci troviamo d’accordo tra di noi su cosa significano esattamente.  Qualche altra volta non troviamo alcun aggancio concreto ...
Sapete, abbiamo chiesto di spiegarceli meglio. E il Gran Capo lo ha fatto: personalmente. Noi abbiamo un grande affetto per lui … e non abbiamo avuto il coraggio di dirgli che, nonostante i suoi sforzi, lo stesso ci sembrava la predica della domenica. E più si infervorava, più sembrava il mio parroco quando dice che dobbiamo volerci tutti bene etc. Come sembrano prediche (qualche volta con il sospetto che siano interessate) tutte le parole che vengono pronunciate da chi non vive con te …
Che fare? Mettiamo nero su bianco i nostri valori e li mandiamo al Grande Capo? Ma no … non sappiamo farlo. Così vivacchiamo: cerchiamo di fare di tutto per applicare i valori aziendali e poi li “completiamo” con i nostri dei quali, però,  sembra non interessi  nulla a nessuno …


lunedì 10 settembre 2012

L’organizzazione va dove le pare


Passeggiando per le Scienze
dal Management del cambiamento
al Governo dell’evoluzione autonoma

Abbiamo progettato una serie di seminari per iniziare un cammino, desiderato da tutti , anche se non esplicitato, ma mai iniziato.
E' desiderato perchè ormai è chiaro che la "gestione del cambiamento", in senso lato, è un'espressione senza senso alcuno. Dopo decenni di tentativi, perlopiù falliti e laddove riusciti mai ripetuti, di "cambiamento" e di sua "gestione", è evidente l'inapplicabilità di questo approccio.
Inizia a farsi strada, in maniera più o meno esplicita, l'esigenza di passare dalla gestione al governo di qualcosa, l'organizzazione, che non sta lì ferma per fatti suoi, pronta ad attendere i nostri ordini come un'auto parcheggiata, ma ha una sua vita autonoma. Si sviluppa, sempre e comunque, in direzioni spesso indesiderate, laddove si cerchi di "gestirla" in maniera direttiva o, peggio, non si faccia nulla.
Questo desiderio però rimane frustrato dall'incapacità di prendere una direzione. Ecco perchè non è ancora iniziato. 
Cosa fare? 
Dove andare per prendere spunti, ma meglio ancora strumenti, linguaggi, metodi, per realizzare questo passaggio?

sabato 8 settembre 2012

Partecipazione, cubetti di noia, risorse cognitive e sogni


di
Francesco Zanotti

Oramai ha preso piede l’ideologia della partecipazione. Tutti stanno aprendo spazi di partecipazione e si aspettano partecipazione.
Ma gli spazi aperti sono angusti e le persone dispongono solo di tre cubetti di noia. Rischia di essere una partecipazione a bassa intensità, quando non conflittuale.

Gli spazi di partecipazione. Ma chiediamo di partecipare a cosa? Andiamo con ordine. Alla progettazione della strategia? Certamente non sta accadendo! Alla progettazione dell’organizzazione? Forse … Troppo spesso, però, pensiamo solo alla progettazione di dettagli organizzativi. E, poi pensiamo ad una partecipazione “statistica” (cioè non di tutti) e solo consultiva: poi decidono gli altri. Il singolo caso concreto lo giudicherà ogni singolo manager. Gli suggerisco, però, che più angusto è lo spazio di partecipazione, più “statistica” e consultiva è la partecipazione, più si aspetti atteggiamenti annoiati o conflittuali verso l’azienda.

Ed arriviamo ai cubetti. Immaginiamo che un’organizzazione chieda a chi la compone una partecipazione piena, intensa, forse addirittura strategica. Bene, ma se le persone hanno in mano solo tre cubetti di noia, quello che ci si può aspettare è che propongano combinazione di quelli. Cioè combinazioni inevitabilmente noiose. 
Fuor di metafora: se per anni si è cercato di concentrare le persone solo sulla esecutività e la formazione è sempre stata “concreta” e “finalizzata” in funzione di questa esecutività, non ci si può aspettare che le persone abbiano quel ricco patrimonio di risorse cognitive libere (forse è necessario che siano anche trasgressive) che, solo, può dare sostanza ad una partecipazione. Volete davvero arrivare ad una partecipazione nobile e forte? Arricchite le persone di risorse cognitive non finalizzate e insegnate loro ad usarle per sognare nuovi mondi insieme. Solo così riusciranno a sognare quelle nuove imprese di cui tutti abbiamo bisogno. Ed a realizzarle perché non vi è nulla di più mobilitate che realizzare sogni.

martedì 4 settembre 2012

Il consulente e la mistica dei risultati


di
Francesco Zanotti


Il tema che voglio trattare è: a cosa serve un consulente. Detto diversamente: che mestiere fa il consulente? 
In cosa è diverso e complementare al mestiere del manager?
La risposta sarà: è un fornitore di conoscenze e metodologie. E sarà una conclusione gravida di implicazioni perché è in grado di stravolgere un mercato della consulenza ancora  impastato della falsa mistica dei risultati.
Ecco in questo post voglio iniziare il discorso proprio smontando questa mistica.


Per parlare di risultati occorre riferirsi a risultati misurabili ovviamente. Bene, il risultato aziendale misurabile per antonomasia è la produzione di cassa nel futuro. Allora la produzione di cassa di una impresa nel futuro non è generata dai comportamenti di una singola persona sola. Neanche dal singolo manager, ma dall’insieme dei comportamenti di tutte le persone che costituiscono l’organizzazione. Come può, allora, un consulente pretendere che il suo intervento, cioè i suoi comportamenti, aumentino la produzione di cassa? Non lo può fare neanche un consulente di strategia, figuriamoci un consulente di tipo funzionale. Mi si può obiettare: ma io raggiungo altri risultati. Bene, bisognerebbe indicare quali, spiegare come il raggiungimento di questi altri risultati è legato alla generazione di cassa ed è direttamente causato dai comportamenti del consulente. Per riuscirci, occorre indicare la legge (la precisa relazione di causa ed effetto) che lega comportamenti ai risultati e il setting sperimentale dove questa legge vale. Altrimenti non siamo di fronte ad una dimostrazione sperimentale, ma solo ad opinioni. Tra parentesi, si fa in fretta a verificare se si tratta di opinioni. Si chiede a diversi manager di indicare i risultati raggiunti dal consulente. Se si ottengono opinioni diverse, è ovvio che anche quelle del consulente sono opinioni.



Mi si può obiettare: ma la mia storia professionale dimostra che io ho raggiunto risultati per il mio cliente. Ma non si superano le obiezioni di prima.


domenica 2 settembre 2012

L’organizzazione per i fatti suoi


di
Francesco Zanotti



… quasi a continuare, precisare il blog precedente …
Se lasciate una macchina per strada la notte, al netto di ladri o vigili zelanti, siete convinti di ritrovarla allo stesso posto intatta.
Non vi aspettate che la vostra Ferrari sia diventata, notte tempo, una scassata utilitaria e se ne è andata a spasso da sola per la città fermandosi, poi, in un posto diverso da quella dove l’avete trovata.
Se invece lasciate un amico che vi ha accompagnato a casa la sera davanti al portone non vi aspettate di ritrovarlo ancora lì davanti due anni dopo. Lo troverete in un'altra parte del mondo ed invecchiato.
La vostra organizzazione non è una macchina. E' come un vostro amico. Se la lasciate anche solo per un attimo, ve la ritrovate cambiata (invecchiata) e da un'altra parte. Non la ritrovate più.
Ma cosa vuol dire lasciare andare un’organizzazione per i fatti suoi? Vuol dire non partecipare, per guidare, ai processi di evoluzione che si sviluppano nella parte informale della organizzazione .. che è il vostro vero amico.
Se comunicate, controllate, ma non scendete tra i processi di creazione dell’organizzazione informale, allora lasciate il vostro amico ad invecchiare in solitudine.