"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 28 ottobre 2015

Castelli fatti di nulla … ma costosi

di
Francesco Zanotti

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Leggo su di giornale (si dice il peccato, ma non il peccatore)  che una ricerca avrebbe scoperto che i processi che più di altri ottengono una spinta significativa dall’attività di coaching sono i processi di creazione di valore.
Ma ci rendiamo conto che si tratta di una frase senza senso?
Innanzitutto, cosa significa “valore”? Se qualcuno tra i lettori me ne sa dare una definizione che possa permettere di misurarlo (non si può misurare una cosa se non si sa cosa sia) .. che ne so .. emigro in Papuasia.
Non vi è neanche una definizione univoca di “valore economico”. Si può intendere con questa espressione cose diversissime. Si può intendere il ROE, gli Utili, il valore delle azioni, l’EVA. Supponendo che i ricercatori si volessero fermare a livello economico, quale definizione di valore hanno adottato? E come hanno fatto a verificare se essa coincideva con quella dei rispondenti?
Se poi i ricercatori pensavano ad un valore non economico i problemi che ho sollevato diventano ancora più insuperabili.

Allora la mia domanda è: ma i giornalisti non soni io grado di capire quando riportano una notizia sensata o senza senso? E i manager quando la pianteranno di bearsi di conoscenze fatte di nulla che servono a creare costosissimi castelli di nulla?

martedì 27 ottobre 2015

E’ antiscientifico misurare e quantificare

di
Francesco Zanotti

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Non mi aspetto che qualche manager la pianti con la farsa del misurare “cose” che riguardano le persone (dal potenziale, alle competenze, a mille altre cose). Troppi sono gli intrecci tra i manager e i misuratori folli. Troppo tranquillizzanti sono le attività di misurazione: ci si tranquillizza che si sta analizzando la realtà per poi agire. Non mi aspetto, ma non si sa mai. Forse qualcuno comincerà a chiedersi se davvero gli conviene mantenere in piedi un castello di costose attività che scientificamente non hanno senso. E ovviamente sono negative.
Questa volta ci riprovo citando uno scienziato cognitivo italiano: Domenico Parisi.
Nel suo libro “Le sette nane” scrive a pag. 171 scrive:
“Ci sono fenomeni nella realtà che non posseggono i presupposti per essere contati e misurati, e quasi tutti i fenomeni della realtà studiati dalle scienze dell’uomo sono di questo tipo. Per contare e misurare occorre che la realtà che si vuole conoscere sia divisibile in entità isolabili l’una dall’altra, entità che rimangono se stesse nel tempo, almeno per un po’ di tempo, entità che individui diversi isolano allo stesso modo. E questo è possibile solo raramente nel caso del fenomeni studiati dalle scienze dell’uomo.”
Spiegando … occorre avere un modello di uomo che preveda parti isolabili, la cui somma deve fare esattamente l’uomo. Le parti devono essere indipendenti dal contesto …
Ovvio che non si può descrivere l’uomo con un modello che abbia questa caratteristiche …

Ma chi se frega: fino a che qualche top manager non ci mette il becco. Continuiamo con una farsa che permette autorappresentazioni a buon mercato ..

venerdì 23 ottobre 2015

Il caso Volkswagen. Mancanza e impossibilità del controllo

di
Francesco Zanotti

Il caso Volkswagen è la dimostrazione più evidente di una tesi che ho più volte sostenuto: il management non ha alcun controllo sull’organizzazione. E non perché è incapace, ma perché una organizzazione non può essere governata attraverso il mito del controllo.
Partiamo dal caso Volkswagen.
I fatti sono i seguenti.
Il primo è che il vecchio Amministratore Delegato (Martin Winterkorn) per difendersi ha dichiarato che “lui non ne sapeva nulla”. E’ una autoaccusa di non essere riuscito a governare la sua organizzazione.
Il secondo è che stamattina sul Sole24Ore Andrea Malan descrivendo il pasticcio dei motori della serie EA288: alla mattina erano un problema, alla sera non lo erano più. Malan osserva: “ … la vicenda di ieri non dà certo l’impressione che Vw abbia la situazione sotto controllo.”.
Qualche manager “eroico” dirà: “Certo che accadono queste cose: sono incompetenti! Se ci fossi stato io ...”.  Ecco chi lo dice si sbaglia di grosso. Il controllo è possibile solo con le macchine. Una organizzazione non è una macchina. Coma governala allora? In questo blog ne abbiamo parlato ad abundantiam


giovedì 22 ottobre 2015

Se non conosci Luhmann, scordati di gestire organizzazioni

di
Francesco Zanotti

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Luhmann (uno dei sociologi più autorevoli del secolo scorso) ha proposto una teoria sociale che si applica a tutta la società come alle organizzazioni.
Per queste ultime la sua teoria spiega che ogni gruppo organizzativo è dotato di una sua modalità di comunicazione (operazione che non ha nulla a che vedere con lo scambio di informazioni) interna che lo costituisce in rete autopoietica. Questo significa che costruisce significati suoi proprii, opachi all’esterno. Significa anche che i messaggi che giungono dall’esterno sono un “disturbo” che orienta in modi imprevedibili i comportamenti delle persone che fanno parte del gruppo. E’ escluso, quindi, che gli ordini di un capo possano essere realizzati.
E’ escluso anche che un intervento di formazione o cambiamento possa raggiungere gli obiettivi che si prefigge. Creare un gruppo formativo o di cambiamento significa attivare un sistema autopoietico che diventa datato di vita propria. Quando l’intervento finisce le persone tornano ai loro gruppi di lavoro e si portano un loro ricordo personale e imprevedibile che il gruppo considera un disturbo da metabolizzare. E escluso che essi possano mettere in pratica quello che essi hanno “appreso”,  “sviluppato” o “progettato” nei gruppi artificiali di formazione o di cambiamento.
Come governare diversamente una organizzazione? Non è domanda alla quale si possa rispondere in un post …
Per chi volesse approfondire il tema abbiamo aperto un gruppo di Facebook che descrive un progetto che abbiamo attivato per far conoscere e utilizzare il pensiero di Luhmann:


lunedì 19 ottobre 2015

Copiare quello che gli altri abbandonano per copiare le nostra Storia

di
Francesco Zanotti

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Dalla stessa fonte (La Repubblica di oggi) due contributi “opposti”. Le università americane stanno copiando la nostra storia profonda per la sua ricchezza, mentre noi stiamo scimmiottando il loro passato che loro stessi hanno giudicato povero.

E, poi, due altri contributi che confermano che la nostra storia (che vogliamo abbandonare per un americanismo abbandonato dagli stessi americani) è un riferimento mondiale.

Nell’allegato Affari&Finanza a firma di Patrizia Capua si trovano illustrati i risultati di una ricerca di AstraRicerche per Manageritalia sulla qualità della scuola italiana. Le opinioni prevalenti spingono verso una maggiore “concretezza”. Cito alcuni passi “… manca quel pezzettino in più che serve a contestualizzarle ed applicarle (le conoscenze)” dice Roberto Cocumazzo.  E continua “Non serve solo sapere, ma anche saper agire”. Poi c’è chi boccia la scuola (Marisa Montegiove, Presidente di Manager Italia Servizi) e chi la difende (Laura Bruno di Sanofi Aventis). Una grande voglia di copiare il presunto pragmatismo americano.

In “The New York Times International Weekly” David Brooks parla di “Inspiring Education” e sostiene che le grandi università americane, per tradizione orientate al saper fare, stanno “cercando vie per parlare di moralità e spiritualità”. Più “concretamente” stanno perseguendo i seguenti obiettivi: illustrare le varie opzioni morali possibili che vengono dalle tradizioni Greca, Giudaica e Cristiana, incoraggiare le esperienze trascendentali, scoprire le aree di interesse e suggerirne nuove, invitare gli studenti ad occuparsi di “Humanities”. Una grande voglia della nostra Storia.

La mia opinione è che si contrappone teoria a pratica quando la teoria è troppo povera per ispirare una pratica significativa. Le teorie manageriali sono uno sterminato campo di banalità.
Dobbiamo sviluppare radicalmente nuove teorie manageriali che contengano spiritualità e moralità.
Ed ora gli ultimi due contributi.
Il riferimento alla Grande Bellezza che deve essere obiettivo e riferimento fondamentale, come sostiene l’imprenditore cinese Wang Shi sullo stesso Affari&Finanza. E che Daniela Monti sul Corriere della Sera di venerdì 9 ottobre rivela essere il criterio fondamentale di giudizio del cervello umano, citando Karl Grammer, antropologo a Vienna.


domenica 18 ottobre 2015

Se non è colpa tua non esisti

di
Francesco Zanotti

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Quando un manager HR dichiara di avere colpa di qualcosa? Tendenzialmente mai.
Ma se questo è giustificato, allora significa che non si sa bene che ci sta a fare un manager HR. Se non hai mai colpe significa che non esisti.
Infatti, cosa governa un Responsabile HR? Sostiene di governare le persone ovviamente. Bene, che cosa genera i risultati dell’impresa? I comportamenti delle persone.
Allora se il Manager HR governa gli attori che generano i risultati, se ci sono i risultati è merito suo, se non ci sono è colpa sua. Intendiamoci sui risultati: intendo i risultati complessivi dell’impresa. Il margine operativo o la cassa dipendentemente dal posizionamento strategico (non quello competitivo che è un’altra cosa) dell’impesa.
Mi si obietterà: ma ci sono anche gli altri manager … Accetto questo punto di vista, ma questo non semplifica la vita del manager HR. Anzi, porta a chiederci: ma cosa ci sta a fare?
Se egli dichiara che anche altri manager governano le risorse umane, allora deve accettare che le governano molto di più. Quanto tempo passa il manager HR con le persone? Molto ma molto meno tempo di quanto ne passino gli altri manager. Allora effettivamente sia la colpa dei risultati negativi sia il merito di quelli positivi non è suo.
Ma se il manager HR non c’entra nulla con i risultati, che ci sta a fare in una organizzazione?
So che mi si risponderà indicando un sacco di cose che fa il manager HR. Ma così si cade dalla padella nella brace. Esaminando queste altre cose si arriva a concludere che non è inutile, è dannoso.
Eliminiamo allora i manager HR? No! aiutiamoli a costruirsi un ruolo poietico come gestori della conoscenza.


mercoledì 14 ottobre 2015

Sindacati contro Confindustria?

di
Francesco Zanotti

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Quando c'è uno scontro è difficile che la ragione stia tutta da una parte. E’ più probabile che tutt’e due le parti in conflitto debbano cambiare punto di vista.
Ecco, proviamo a proporre un nuovo punto di vista. Scopriremo che tutt’e due le parti devono fare cose nuove. Per poter guadagnare tutt’e tre (anche lo Stato) molto di più.

Qual è il ruolo dell’impresa? La risposta è semplice: produrre beni e servizi che siano capaci di aumentare la qualità della vita delle persone. Tanto più i beni (lasciamo stare, per brevità, il discorso sui servizi. Dico solo che per i servizi i ragionamenti che darò sono ancora più significativi) riescono ad aumentare la qualità della vita delle persone, tanto più l’impresa genera cassa che, poi, potrà venire distribuita ai Soci, ai Dipendenti, allo Stato, alle Comunità locali.
Qual è la situazione attuale? Che le imprese producono beni che interessano sempre meno. E a causa di questo non riescono più a produrre cassa.

Purtroppo tutti stiamo considerando questo trend inevitabile. Senza esplicitarlo, ci stiamo convincendo reciprocamente che dobbiamo dividere (tra le imprese e in ogni singola impresa tra Soci, Dipendenti, Stato e Comunità locali) una torta che sta diventando sempre più piccola. Più concretamente, la quantità di cassa che le imprese producono sarà sempre più piccola.
Quando ci si trova di fronte ad una torta che si restringe sempre di più e si considera che questo restringersi è fatalmente inevitabile, il processo di distribuzione non può che essere conflittuale.

Le strategie per affrontare una simile situazione sono illusorie o conflittuali.
Le illusioni: l’internazionalizzazione significa illudersi di trovare mercati che non sono ancora stufi di quello che produciamo.
La battaglia di tutti contro tutti … La competitività significa illudersi che si possa fare qualcosa che spiazzi i concorrenti e che loro non sanno copiare.
L’aumento di produttività è visto in modo pauperistico: è necessario che i lavoratori facciano più fatica, qualche volta anche guadagnando meno nell’attesa di improbabili future magnifiche sorti e progressive.

Ovvio che se si continua ad adottare un punto di vista fatalista, di impotenza, non ci saranno soluzioni ad un continuo aumento della conflittualità sociale.

Proviamo a cambiare punto di vista.
Innanzitutto ...