"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 30 luglio 2014

Spending Review: se Cottarelli sapesse …

di
Francesco Zanotti


Giavazzi oggi sul Corriere sostiene, in buona sostanza, che Cottarelli sta menando il can per l’aia. E lo sollecita a maggiore coraggio e decisione.
Ancora una volta: occorre non più decisione, ma più conoscenza. Una conoscenza che a Cottarelli, da quanto appare in comportamenti e dichiarazioni, è completamente sconosciuta.
Se usasse questa conoscenza …
Proviamo a dettagliare.
Una organizzazione è fatta certamente da una parte formale: ruoli, procedure et. Cottareli solo sulla organizzazione formale agisce. E cerca di ridurne i costi.
Ma l’organizzazione è fatta anche da una parte informale. Infatti, le procedure prevedono solo alcuni dei comportamenti delle persone: la maggior parte di essi non possono essere preconfigurati, ma vengono inevitabilmente scelti, contingentemente, dalle persone. Esse cercano di attuare quei comportamenti che meglio realizzano il loro progetto esistenziale, in base alle risorse cognitive di cui dispongono.
Nello scegliere i loro comportamenti le persone devo tener conto degli altri: altri progetti esistenziali, altre risorse cognitive. In sintesi, si sviluppa una organizzazione informale che è fatta da un reticolo di relazioni e genera una antropologia complessiva da cui nasce il reticolo di comportamenti reali.
La modalità regina per aumentare efficienza (servono molte meno risorse) ed efficacia (risorse inferiori ottengono risultati di servizio migliori) della PA è il governare il formarsi di questi reticolI comportamentali, sociologici ed antropologici.
Cottarelli non sta cercando in alcun modo di gestire il formarsi della organizzazione informale: cerca di agire solo sulla organizzazione formale. Allora accade che trovi resistenze forti perché, cambiando l’organizzazione formale, in realtà egli perturba, senza sapere come, i reticoli della organizzazione informale. Il risultato finale è che trova resistenza a ridurre i costi e, se anche ci riuscisse, non saprebbe in alcun modo quali effetti tutto questo avrà sulla qualità dl servizio.
Come governare l’emergere della organizzazione informale per aumentare efficienza ed efficacia?
Ne parleremo in qualche prossima occasione.




lunedì 28 luglio 2014

Le gite in bicicletta e la Mercedes

di
Francesco Zanotti


Riporto da Repubblica di oggi …
“Gli americani lo chiamano team building e è uno di quei sistemi che le aziende usano per far fare squadra ai dipendenti. Alla Mercedes avevano scelto la gita in biciletta …”
Riassumo con le mie parole: un ingegnere poco esperto di bicicletta ha causato una rovinosa caduta dove il grande capo si è rotto un braccio …
L’articoletto era nel contesto della disastrosa strategia adottata del team di Formula Uno della Mercedes nell'ultimo Gran Premio (Budapest) che dal giornale ha ricevuto il voto di: 3
La morale?

Davvero ci sono mille ragioni cognitive, psicologiche, sociologiche e antropologiche per non prendere in giro le imprese facendo loro credere che la bicicletta, i ponti tibetani o le regate possono costruire il destino strategico delle imprese. Meglio insegnare a loro conoscenze e metodologie di strategia d’impresa.

venerdì 25 luglio 2014

La perversione del delegare

di
Francesco Zanotti


Non parlo della delega di un Capo di linea ai suoi collaboratori. Parlo delle deleghe trasversali.
Le deleghe che la linea fa allo staff: la delega del cambiamento, della gestione delle risorse umane, della formazione.
Rappresenta la manifestazione più lampante del fatto che, nel profondo, si considera ancora l’organizzazione come una macchina.
Infatti si consegnano agli uomini di staff (che accettano, anzi chiedono) le persone e le organizzazioni perché diano loro una sistemata e, poi, le ritornino migliorate e funzionanti.
Come si fa con un pistone grippato: lo si manda a tornire.
Ovviamente non accade quello che si sperava.
Accade quello che scriverò nel frontespizio del libro che sto scrivendo:

Formazione, “cantieri” di cambiamento e gestione delle risorse umane
sono “specializzazioni” che rompono l’organizzazione in frammenti autoreferenziali che ne compromettono efficacia, efficienza e sviluppo …

Perché questo insistere con una mentalità ingegneristica del tutto adatta a pistoni ed ingranaggi, ma del tutto inadatta a persone ed organizzazioni?
Perché siamo ancora tutti ideologicamente schiavi di quella visione del mondo che è costituita dalla fisica classica.



martedì 22 luglio 2014

Capisco il difendersi … Ma non ti piacerebbe …

di
Francesco Zanotti


Capisco la voglia di difendersi dalla conoscenza. Se questa sembra una vetta non scalabile.
Ma, caro manager o consulente, non ti piacerebbe poter disporre di tutta la conoscenza dalla quale oggi ti difendi perché la giudichi inaccessibile?
Non ti piacerebbe poter dire a te stesso, al tuo CEO, ai tuoi clienti: sì, dispongo delle conoscenze più avanzate che esistano sui “sistemi” dei quali ho la responsabilità: uomini ed organizzazioni?
Non ti piacerebbe poter dire la stessa cosa agli head hunter a cui mandi il curriculum?
Non ti piacerebbe poter trasformare radicalmente la tua vita professionale: dalla gestione delle grane alla soddisfazione di costruire sviluppo?
Credo proprio che ti piacerebbe. Per riuscirci basta che tu chieda aiuto a chi ha fatto la fatica di esplorare tutte queste conoscenze e ne ha studiato l’applicabilità, scoprendo cose straordinarie, alla gestione degli uomini e dell’organizzazione. E’ semplicemente una divisione di compiti. Perché tu non hai il tempo di fare ricerca, questo non ti esime dal chiedere aiuto a chi la ricerca l’ha fatta.


venerdì 18 luglio 2014

I risultati economici delle aziende dipendono dai comportamenti delle persone...

...ma i manager lo sanno?
di
Luciano Martinoli


E' disponibile, nella sua versione finale, il III Rapporto sul Rating Business Plan aziende FTSE MIB e STARIn documento separato (Redigere e valutare Business Planè accessibile la descrizione del "modello" rispetto al quale si è fatto il rating, frutto del lavoro di ricerca da noi effettuato sullo stato dell'arte della Strategia d'Impresa e non solo, e il processo stesso di rating.
Questo Rating di Business Plan allora è una vera e propria Due Diligence Strategica di tali imprese. Detto in altri termini è la misura della "voglia di futuro" delle principali aziende italiane.
Quale è stato il ruolo che hanno avuto le persone in questi progetti? 
E, da qui, è possibile capire che contributo hanno dato i responsabili del personale a tale importante attività aziendale?

giovedì 17 luglio 2014

Intuizioni riflessioni ed esperienze

di
Francesco Zanotti



Immaginate un muratore che viene da voi e vi dice: ti racconto le mie intuizioni, le mie riflessioni e le mie esperienze sul calcolo strutturale.
Immaginate un ingegnere che vi dice: vi racconto le mie intuizioni, le mie riflessioni e le mie esperienze sul calcolo strutturale.
A chi dareste ascolto?
Al secondo, ovviamente. Perché? Perché immaginate che egli parta dalla conoscenza dello stato dell’arte del calcolo strutturale e vi racconti il suo contributo e le sue esperienze per migliorarlo. Perché pensate che il muratore, invece, non può essere al corrente dello stato dell’arte del calcolo strutturale
Arriviamo al management. Vi sono quasi soltanto muratori che vogliono fare gli ingegneri.
Persone che raccontano intuizioni ed esperienze, ma non partono (per loro esplicita ammissione) dallo stato dell’arte di quello che si conosce sull'uomo e su quei sistemi di uomini che sono le organizzazioni. Ma partono da proprie visioni dell’uomo e delle organizzazioni che prescindono quasi totalmente dalle conoscenze esistenti. Muratori del management che costruiscono solipsistiche ideologie personali, pretendendo che abbiano valore universale.

Pensandoci bene, devo, però, chiedere scusa ai muratori. Essi non si sognano neppure di rimanere indifferenti rispetto alla conoscenza: cercano nuova conoscenza, la studiano e la usano. Sì, i muratori investono tempo (quindi denaro) in una ricerca e studio continui che cambiano continuamente il loro mestiere.
Rimando al post di Luciano Martinoli che ha già raccontato dei muratori moderni nel post


mercoledì 16 luglio 2014

Ma la conoscenza mi spaventa!

di
Francesco Zanotti



La confessione di un manager (o di un consulente) dopo qualche bicchiere di vino in una osteria del buon tempo antico …

“Si lo so, in fondo in fondo, è una vera e propria paura esistenziale.

Fino ad oggi non mi sono mai occupato della conoscenza. Se non qualche lettura del tutto casuale o suggerita dalle mode. Nessuna di queste letture è stata fondamento alla mia carriera. La conoscenza, quindi, non è stato il fondamento della mia carriera. Conseguentemente, non so maneggiare la conoscenza.

Vagamente ho intuito che, se mi occupo di uomini e di gruppi di uomini, le conoscenze che i miei simili hanno sviluppato su uomini e gruppi di uomini (psicologia, psico-sociologia, antropologia, linguistica, filosofia) mi possono essere utili. Come potrebbe essere diversamente?
Ancora più vagamente, quasi con la curiosità che si riserva alla magia ed al mistero, ho sentito dire che anche le scienze naturali mi possono fornire modelli, linguaggi, metafore. Qualche folle mi ha parlato di fisica quantistica dicendo che, in realtà, non si tratta solo di una teoria che cerca di spiegare la realtà materiale, ma si tratta di un vero e proprio nuovo modo di pensare. Qualcuno, ancora più folle, mi ha parlato, addirittura di “matematica qualitativa” usando un nome che si rifà al greco antico: topologia.

Ho intuito, ma non ho approfondito … Le urgenze, la fatica, la difficoltà mi facevano da scudo.

Ora mi si dice che, invece, diventa essenziale la conoscenza. Essenziale per lo sviluppo dell’organizzazione che mi ha dato la responsabilità di uomini e struttura. Senza la quale continuerei con convinzioni e prassi che sono, oggi, addirittura, controproducenti.

E io come posso fare?
Contraddico le mie sensazioni profonde (mai confessate neppure a me stesso/a) sostenendo che erano follie? Contesto le mia umanità profonda?
Gioco sul fatto che tanto il CEO di questa sfida della conoscenza non sa nulla. E, quindi, si accontenta di quello che le attuali convinzioni e pratiche possono dare ... “e più non dimanda”?
E se, però, viene a scoprire che non uso le conoscenze che possono toglierlo dai guai banalmente perché non le conosco?
Oppure, accetto la sfida della conoscenza, sfida di fronte alla quale sono completamente disarmato?

Sì, riconosco che troppo spesso faccio come i bambini: mi chiudo le orecchie e urlo forte forte (magari auto incensandomi). Oppure mi adagio nei guai che qualcuno sostiene (è una scoperta alla quale si perviene usando la conoscenze che non voglio neanche ascoltare) dopo tutto mi tranquillizzino.

Sì lo ammetto (ma solo qui ed ora, a causa del vino e del sapore del buon tempo antico). Sto provando una paura esistenziale.”

Amico manager (o consulente), capisco la tua situazione: sembra senza soluzione. Solo vivere alla giornata, immaginando che non sia possibile e non si debba guardare in alto, nel profondo, cambiare il mondo (piccolo o grande) del quale ci è data la responsabilità.

Ma è solo apparenza. E’ possibile usare “intermediari della conoscenza” che, in breve tempi, ti possono rivelare come le scienze naturali ed umane possono suggerirti nuove modalità di sviluppo di persone ed organizzazioni
Certo un piccolo impegno ce lo devi mettere. Ma è non la traversata dell’Himalaya. E’ solo una passeggiata su di una piccola collinetta che, appena la si comincia, si rivela salutare.

Voglio dire, caro manager (o consulente) che, in fondo in fondo, se intraprendi questa passeggiata, lo fai prima di tutto per te stesso.  Valorizzerai la tua umanità profonda.


lunedì 14 luglio 2014

Il management 435.9 Il formatore può farsi guidare dagli uomini business?

di
Francesco Zanotti


La mia risposta è: no!
Per tante ragioni, alcune delle quali provo ad esaminare in questa scheda.
Gli uomini di business possono autorevolmente indicare quali sono le conoscenze che le persone devono avere sulla dimensione hard dei prodotti/servizi o sulle esigenze funzionali che questi prodotti e servizi possono soddisfare.

Ma quando si passa alle competenze soft, le cose cambiano radicalmente.
Quando si chiede agli uomini di business quali siano le competenze soft che ritengono importanti costoro provano a rispondere, ma non vi è la possibilità di sapere esattamente cosa intendono. Facciamo un caso molto generale: gli uomini di business dichiarano che ai capi intermedi servono “maggiori competenze di leadership”, ma non riescono a specificare di che modello di leadership stanno parlando. Innanzitutto perché non conoscono le decine di modelli di leadership esistenti. A causa di questo non si possono riferire a qualcuno di questi. Tendenzialmente si riferiscono ad un loro modello intuitivo di leadership che non sanno “operativizzare” (in che comportamenti consiste, come si apprendono questi comportamenti) e che è un distillato delle esperienze passate che, tra l’altro, non si sa se e come possano avere senso nel futuro.
Questo “desiderio imperativo” viene consegnato al formatore che non può certo formare al modello di leadership che ha in testa l’uomo che di business perché questi non lo sa esprimere.
Il formatore, allora, è costretto ad organizzare un intervento formativo che ha come “oggetto” un suo modello di leadership che, visto che i formatori non fanno ricerca, è solo un ulteriore modello, da lui sviluppato senza un riferimento a tutti gli altri modelli esistenti.
Si rischia il gioco degli equivoci: che l’uomo di Business dica (o pensi senza dirlo, il che è peggio) alla fine del corso di formazione: ma non è questo il modello di leadership che ho in testa.

A “valle” di questo discorso vi è il problema della scelta dei formatori: se il manager delle risorse umane non dispone dello stato dell’arte a livello mondiale delle conoscenze manageriali non può confrontare il patrimonio di conoscenze posseduto dal formatore con questo riferimento. Quindi, chi sceglie il formatore esterno si fonda su variabili accessorie come l’amicizia personale o la fama.


Al “fondo” di questo discorso ve ne è anche un altro più generale rilevante che riguarda l’insensatezza complessiva della formazione alle competenze di cui discutiamo in altra sede.

venerdì 11 luglio 2014

Innovazione per gli altri

di
Francesco Zanotti


Avete mai notato che i manager non accettano che si possa innovare nel loro modo di svolgere il loro ruolo?
Tutti impegnati a difendere le loro esperienze, le loro presunte abilità miracolose.
Spaventati della possibilità che una conoscenza a loro sconosciuta sia rilevante, spaventati di doversi reiventare.
E così si sommano le banalità, le finzioni.
Signori è troppa la conoscenza che dimenticate, che volete negare. Non potete pensare che tutto il patrimonio di scienze naturali ed umane non conti nulla. Che se anche non sapete nulla di tutto quello che riguarda l’uomo potete governare con successo gli uomini.
Non potete non riconoscere che solo la conoscenza a voi sconosciuta vi permetterebbe di essere protagonisti di un vero sviluppo del nostro sistema economico. Umanamente: vi permetterebbe di essere liberi.
Se la rifiutate, continuerete nella tragica finzione prometeica dell’esperienza e del talento che sta distruggendo le nostre imprese e il nostro sistema economico.

Almeno lasciate stare l’etica perché, se anche di quella ci si deve ammantare, allora, la situazione diventa realmente insopportabile. Accettate, almeno con voi stessi, di essere devoti solo a piccole furbizie per evitare ogni resa dei conti.

mercoledì 9 luglio 2014

Il management 435.9. Prima puntata

di
Francesco Zanotti

Sta diventando stufosa la storia dei management “puntati”. E’ uscito il management 2.0. Allora, poi, chi pensava di proporre qualcosa di nuovo, è stato costretto a scrivere il management 3.0 …
Saltiamo tutto a piè pari e diamoci un traguardo: il management 435.9. Speriamo di interrompere questa stucchevole rincorsa alla versione successiva: sarebbe ridicolo che qualcuno, per vendere qualche corsetto in più, ci contrapponga il management 435.10.
Poniamoci l’obiettivo di un management realmente nuovo (i management puntati di oggi sono banalità) che, però, è necessario costruire socialmente.
A me sembra che la direzione lungo la quale costruire sia stata correttamente indicata da Gary Hamel, come abbiano già scritto nel post Non siamo mica i soli. E è la strada della conoscenza.
Allora camminiamo in questa direzione.

In questo blog vorrei, di volta in volta, pubblicare contributi specifici alla ricerca di una sintesi alla costruzione della quale tutti possono dare una mano.
Inizio con un contributo dell’ultimo numero della HBR dal titolo “Its time to split HR” a firma di Ram Charan, famoso consulente internazionale.
Egli sostiene, da un lato, che gli HR manager “… non conoscono come sono le decisioni vengono prese ed hanno grandi difficoltà ad analizzare perché le persone (o pezzi di organizzazione) non raggiungono gli obiettivi loro assegnati”.”.
Il mio commento, al quale mi piacerebbe conoscere reazioni, è: ma è vero quello che dice Ram Charan? E, se è vero, che ne è del mito dell’esperienza che sostiene soprattutto i consulenti ex manager HR? Cosa vale una esperienza che non è consapevole dei meccanismi del business e non sa trovare le cause dei risultati deludenti? Non è il caso di piantarla con questo mito (da Ram Charan dichiarato falso) che serve come “scusa” per non cercare conoscenza?


Poi, Ram Charan aggiunge che occorre splittare la funzione HR in due parti. Una parte che possiamo definire “Amministrazione”, che dovrebbe allocarsi sotto il CFO. Ed una parte di sviluppo che dovrebbe avare come obiettivo quello di comprendere la dimensione sociale dell’organizzazione e il suo impatto sulle performances. Che ne pensano gli attuali HR Manager? Che strumenti hanno per valutare l’impatto della dimensione sociale dell’organizzazione sui risultati? E che ne pensano dello splittamento della funzione HR? A me sembra che questo splitamento ci sia già di fatto ci sia già nelle strutture HR italiane. E che il problema di riuscire a comprendere il ruolo e l’impatto della dimensione sociale dell’organizzazione sui risultati non possa derivare da un intervento sull’organizzazione formale (splittare funzioni), ma con l’acquisizione delle conoscenze e delle metodologie servono a comprendere la socialità di una organizzazione.

domenica 6 luglio 2014

Tradurre è ricostruire .. … altro che execution

di
Francesco Zanotti


Oggi sulla “Domenica” del Sole 24 Ore Carlo Carena presenta la “filosofia traduttiva” di Mario Luzzi.

Sbocconcello qua e là, un paio frasi. “ … Essa (la traduzione) deriva da una serie di patteggiamenti a cui vengono sottoposti il testo di partenza e quello di arrivo.”.
Ed ancora “ .. (la traduzione) è un inevitabile, barcollante prevaricazione del primo nel secondo, procurato dal tentativo, necessario, di comunicargli una nuova attualità.”,
Mi fermo … ma forse varrebbe la pena di leggere l’articolo di Carlo Carena …

Ma veniamo a noi. Ed al tema dell’execution. Grande stupidaggine.
Il testo del futuro di una impresa è il Progetto Strategico. La prima osservazione è che l’execution non può essere una realizzazione, ma è una riscrittura. Si può generalizzare: forse il più grande contributo del pensiero post moderno è stato quello di generalizzare il tema dell’ermeneutica di un testo. Noi proponiamo la realtà della inevitabile ermeneutica dei Testi Strategici.
Se, poi, pensiamo che gli attuali progetti strategici non sono neanche un testo, ma solo canovacci molto generali che le persone devono interpretare come vogliono, allora diventa chiara la insensatezza del tema dell’execution: le persone non eseguono, un progetto strategico, ma lo scrivono sui mercati con i loro comportamenti.
E’ vero che in alcune parti i progetti strategici sono precisi e si possono eseguire esattamente, quasi senza interpretazione. Ma, solo, quando si progettano cose come il buttar fuori persone. Cioè i poeti costruttori della strategia.


martedì 1 luglio 2014

Sulle spalle dei giganti

di
Francesco Zanotti

Ogni pratica deriva da un pensiero. Dal sistema di risorse cognitive di chi mette in atto quelle pratiche.
Non vi sono pratiche “neutre”.
La scelta di separare le attività di cambiamento dalle attività di gestione, successivamente, di spezzarle in mille rivoli e la fiducia nelle specializzazioni non sono inevitabili.
Derivano dal sistema di pensiero che sta a fondamento della società industriale e che ha come archetipo di riferimento la fisica classica. Purtroppo questo sistema di pensiero, che è una vera e propria visione del mondo, è adatto a gestire sistemi meccanici e non sistemi umani.
E’ una visione del mondo troppo limitata per poter parlare e governare l’umano.
Per costruire nuove pratiche, capaci di guidare le organizzazioni verso un nuovo sviluppo, è allora, necessario usare un nuovo pensiero.
Per fortuna questo pensiero è già intorno a noi.

Nel secolo scorso è emerso in ogni ambito del pensiero e dell’esperienza umana episodi di rottura del pensiero e dell’esperienza “moderna”.
Due rotture del pensiero vengono dalla fisica. La Relatività Generale ha scoperto l’importanza del palcoscenico che gli attori modificano e che influisce sugli attori. La fisica quantistica ha scoperto il ruolo creatore dell’osservatore che addirittura emerge, insieme all'osservato, dal palcoscenico.
Una rottura, in negativo, viene dalla matematica. Godel ha dimostrato che con il pensiero lineare non si potranno mai costruire teorie che sappiano descrivere coerentemente e completamente uno qualsiasi dei mondi umani. Mondi organizzativi, compresi.

Un contributo trasversale è stato fornito da quel movimento complesso ed un po’ troppo disincantato che si rifà alla metafora della complessità.
Maggiori speranze sta generando la emergente cultura sistemica che si pone come sintesi transdisciplinare dei nuovi modelli e delle nuove metafore che stanno emergendo in tutti gli ambiti di conoscenza.

Ma anche le scienze umane e le diverse esperienze artistiche del secolo scorso hanno praticato con passione ed emozione la rottura del moderno.

Mi permetto alcune citazioni per far sapere che non siamo i soli a chiedere un nuovo pensiero ed una nuova prassi.

Ecco le citazioni