"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 25 febbraio 2015

Intorno al freno e all’acceleratore …

di
Francesco Zanotti


Per coloro che guidano persone e organizzazioni.
Penso che si possa partire dall'ipotesi che per gestire un sistema occorra conoscerne le “leggi”. Altrimenti come si fa a sapere cosa fare? Bisogna sapere che schiacciando quel pedale si frena mentre schiacciando quell'altro si accelera. Drammatico è confondersi …
Bene coloro che guidano uomini ed organizzazioni devono conoscere le scienze cognitive, fino alla psicologia, per saper gestire le persone … o no?
Devono conoscere la psico-sociologia per sapere come si formano e come vivono i piccoli gruppi … o no?
Devono conoscere la sociologia (io dico: la sociologia relazionale) per farsi una idea del sistema di interazioni complessivo di una organizzazione … o no?
Devono conoscere l’antropologia per avere una visione olistica dell’organizzazione ... o no?
Devono disporre di conoscenze e metodologie di strategia d’impresa per dar senso “esterno” (che ruolo hanno nello sviluppo sociale) a uomini ed organizzazione … o no?
Ecco, credo che purtroppo tanti manager opteranno per il no.
Diranno che non è necessario saper distinguere il pedale del freno da quello dell’acceleratore …


domenica 22 febbraio 2015

La teoria del nudge e i miti manageriali

di
Francesco Zanotti


Oggi sul Sole Frabrizio Galimberti presenta la teoria del “nudge”. Si tratta di una teoria del cambiamento. Invece di imporre grandi progetti di cambiamento, usare piccoli cambiamenti strutturali per indurre cambiamenti comportamentali.
Non si tratta certo di una teoria complessiva o definitiva del cambiamento, ma è un passo nella direzione di riconoscere un ineliminabile protagonismo delle persone che non si può arginare, ma si può portare a sintesi. In questo blog abbiamo parlato più volte di sostituire il governo direttivo con pratiche di governo dei processi emergenti.
Perché ho parlato di questa teoria?
Perché voglio proporre una riflessione generale. Questo è un esempio di come una, anche iniziale, teoria sociologica faccia cambiare prospettive e offra strumenti per attivare nuove pratiche direzionali di cui abbiamo estremamente bisogno.
Accanto a questa sono infinite le conoscenze che potrebbero essere usate per riuscire a governare in modi più efficaci ed efficienti le organizzazioni.
Al loro uso, purtroppo, si oppongono i miti (collegati) dell’intuito, dell’esperienze e del talento.
A me non serve la conoscenza che riguarda quello che governo: io ci arrivo intuitivamente.
Io ho così tanta esperienza che supera ogni conoscenza.
Io ho un talento innato così rilevante che la conoscenza non mi serve.
Purtroppo sono davvero solo miti. Il coltivarli non è un buon servizio allo sviluppo delle nostre organizzazioni. Speriamo (e lavoreremo per questo) che si riesca a rompere il muro di gomma eretto con questi miti.


mercoledì 18 febbraio 2015

Dal silenzio al coraggio della partecipazione profonda

di
Francesco Zanotti


Noi ogni anno emettiamo il Rating dei Business Plan delle società degli indici FTSE MIB e Star di Borsa italiana.
La prima osservazione che emerge è che in nessuno di questi Business Plan esiste un capitolo dedicato alle risorse umane, ai progetti di cambiamento. In qualche caso di parla di partecipazione, ma si tratta di una partecipazione puramente consultiva.
La politica del silenzio.

Ma se approfondiamo ci accorgiamo che il sapore complessivo che emerge dalla “somma” dei Rating dei Business Plan delle Società degli indici FTSE MIB e STAR è di attesa (che qualcuno con un grande bacchetta magica risolva la crisi) e conservazione (la soluzione della crisi è una restaurazione del passato). Non è di voglia di costruire una nuova economia che faccia da asse portante per una nuova società.

Mettiamoci nei panni di un giovane uomo e di una giovane donna che cerchino di capire il progetto di futuro che i loro padri stanno lasciando loro in eredità e leggano questi Business Plan per capire che ruolo, che contributo possano dare. Purtroppo non vi leggono la proposta di partecipare alla costruzione di un nuovo Rinascimento.

In particolare, ci sembra che uno dei limiti più indicativi di questi Progetti di Futuro è che parlano solo qualche volta di organizzazione formale, ma mai di organizzazione informale, persone e comportamenti. Cioè: non parlano mai della carne viva di una impresa.
Perché? Due ipotesi vengono alle mente.
La prima: coloro che si occupano della carne viva dell’impresa non riescono ad esprimere il senso strategico di queste cose, tanto da costringere tutti a inserirle nei Business Plan.
La seconda: il top management è sensibile solo alla finanza ed alla forma.
Io penso che nessuna delle due sia la vera spiegazione. Sia coloro che si occupano di “carne viva” che di strategia sanno dell’importanza delle persone e della organizzazione informale. L’organizzazione informale è il contesto nel quale le persone scelgono i comportamenti. E i comportamenti delle persone sono la strategia in atto, la strategia dell’impresa.
Il vero problema è che mancano le conoscenze e le metodologie per dare senso strategico alla carne viva dell’impresa. Le attuali conoscenze manageriali sono solo banali conoscenze e metodologie di manipolazione o di fuga sognante.
Ma la soluzione è a portata di mano. Basta guardare al complesso delle scienze umane e naturali per rendersi conto che vi sono disponibili immense conoscenze che non vengono utilizzate e che potrebbero essere utilizzate.

Usando queste conoscenze si potrebbe rivoluzionare contenuti e processo di redazione dei Business Plan delle imprese.
Il coraggio della partecipazione profonda.

Così facendo costruiremo proposte per partecipare alla costruzione di un nuovo Rinascimento. 
E ne abbiamo bisogno.


sabato 14 febbraio 2015

Cosmologia e direttività

di
Francesco Zanotti


La tentazione ce l’abbiamo tutti …
Va bene la partecipazione, ma dopo. Prima sappiamo noi quali sono i quattro cambiamenti fondamentali da attuare. Poi, quando questi cambiamenti saranno in atto, potremo pensare a tutta la partecipazione che vogliamo.

Ecco, l’esperienza ci dice che non accade proprio così. Quei quattro cambiamenti, tanto più sono importanti, tanto più rischiano di scatenare resistenze etc.

Forse il mondo è cattivo? No, credo che la spiegazione possa essere un’altra.

Una prima indicazione di una nuova possibile spiegazione ci viene dal fatto che i quattro cambiamenti che vogliamo realizzare riguardano sempre la parte formale della organizzazione … Ma dobbiamo andare oltre …

Mi si permetta un piccolo interludio.
Noi siamo le nostre risorse cognitive. In particolare, siano i linguaggi ed i modelli di cui disponiamo … Se ci troviamo di fronte a resistenze irragionevoli a cambiamenti che sembrano convenienti per tutti, forse dobbiamo cambiare i nostri linguaggi e modelli di riferimento.
Noi ci proponiamo di usare le scienze naturali ed umane che si sono sviluppate nell'ultimo secolo e che oggi non vengono usate come serbatoio di nuovi linguaggi e nuovi modelli per guardare diversamente al mondo che oggi ci sembra fatto di crisi, scoprire che esso è invece popolato di mille potenzialità di nuovi mondi e progettare come realizzare qualcuno di questi nuovi mondi.

Sfruttiamo questa volta la cosmologia inflazionaria. Essa ci “rivela” che, con la direttività un po’ brutale, ci precludiamo mondi che ci sono essenziali.

Due note di cosmologia inflazionaria …
Tutti conoscono il modello del Big Bang. Ma forse non tutti sanno che esso è oramai giudicato troppo grossolano. A partire dagli anni ’80 (quindi, non ieri)  esso è stato “completato” con un approccio definito “inflazionario”.

Più o meno afferma questo: per far nascere l’universo non è più necessario che tutta la materia di cui sarà costituito sia concentrata in qualcosa di simile ad un punto che esplode, appunto, in un grande botto. Basta solo un primo seme (10 grammi) di un “campo inflazionario” (che è qualcosa tipo l’antigravità) schiacciato in un volumetto di 10⁻²⁶ cm di lato.
Questo campo inflazionario scatena un’espansione velocissima (definita, appunto, inflazionaria) dalla quale nasce l’universo, utilizzando l’energia del campo inflazionario stesso, che sembra virtualmente infinita.

Supponete ora che ci possa costruire un “contenitore” che riesca a frenare questo processo inflazionario. Che tenti di tenerlo racchiuso in quegli angusti 10⁻²⁶ cm. Ci potrebbe riuscire, ma non completamente. Il campo inflazionario “gocciolerebbe” fuori creando universi che si staccherebbero dal nostro universo senza più poter dialogare con esso.

Dalla cosmologia all'organizzazione …  Il campo inflazionario rivela la natura della organizzazione informale: delle passioni e delle conoscenze delle persone, delle loro relazioni, dei valori e delle antropologie che esse creano … E’ una energia che possiamo “sfruttare”. Ma se cerchiamo di comprimerla …
Se mettiamo in atto direttivamente cambiamenti nella organizzazione formale, tanto più sono “forti” (come il contenitore che cerca di contenere il campo inflazionario) tanto più comprimono l’organizzazione informale.
Ma questa è incontenibile: gocciola fuori dalla organizzazione formale e forma suoi propri universi di senso. Che, come accade con gli universi fisici, perdono il collegamento (di senso) con l’organizzazione formale, con il contenitore che cercava di comprimerli
Morale: cercate pure la scorciatoia dell’imporre, ma sappiate che tanto più imponete, tanto più l’organizzazione informale sguscerà fuori in una realtà a voi inaccessibile. Con la quale non dialogherete più.



lunedì 9 febbraio 2015

L’ottica del “Change” è primitiva

di
Francesco Zanotti


Sembra che se non sei nell’“ottica del Change” sei una specie di troglodita che si aggira per le organizzazioni … Magari peggio: sei uno stolto reazionario che vuole conservare l’esistente per conservare ruoli di potere che il “Change” potrebbe rimettere in discussione.
Ebbene, vorrei ridiscutere tutto questo sostenendo che l’ottica del Change è primitiva.
Essa parte dall'ipotesi che le organizzazioni tendono alla stabilità, a meno che non interviene un manager esperto che la costringe a cambiare.
Ebbene l’organizzazione ha un suo processo di evoluzione autonoma che “agisce” ogni giorno. Questo significa che, mentre noi progettiamo cambiamenti, l’organizzazione cambia per i fatti suoi in un modo che non è prevedibile.
Quello che possiamo fare è conoscere questo processo di evoluzione autonoma e governarlo …
Ma gli esperti di Change non sanno nulla di tutto questo: ragionano ancora nell'ottica della “rettifica”. Si quella che si fa con il tornio o, nel passato, con la lima. Consegnate loro persone ed organizzazioni sgangherate e le metteranno in sesto a colpi di lima: il tornio è troppo sofisticato.

Soprattutto, sapranno vincere tutte le resistenze di quelle persone che rifiutano il “change”.

venerdì 6 febbraio 2015

Pagare "a cottimo” i manager: un tanto per ogni talento sviluppato

di
Francesco Zanotti


Don Lorenzo Milani soleva dire che gli insegnanti andrebbero pagati a cottimo: un tanto per ogni alunno che superava gli esami.
Il problema non è prendere posizione nel conflitto tra egualitarismo e  elitarismo. Il dovere di una classe manageriale è quello di superare questa contrapposizione che non ha alcun fondamento scientifico.
Il paradigma dei talenti è una versione aggiornata dell’elitarismo. Ed è altrettanto banale.
Io credo che compito di una classe manageriale sia quello di sviluppare i talenti di tutte le persone. Le quali non sono ovviamente tutte uguali, ma non perché si situano in posizioni diverse in una qualche ipotetica (e scientificamente insensata) scala assoluta di merito. Invece, perché sono dotati di talenti diversi. Uguale nobiltà tra le persone nella diversità di inclinazioni, desideri, aspirazioni.
Come si fa a valorizzare i talenti di tutti? Non certo cercando di analizzarli. Ma mobilitandoli. Organizzando processi di autoprogettazione dell’organizzazione (o della strategia, per i più audaci e più interessati a risultati rilevanti). I talenti di tutti emergeranno da soli e, con la capacità di sintesi del management, si autocoordineranno in una organizzazione armoniosa, efficace ed efficiente. O per realizzare una strategia rivoluzionaria.
Anche i manager andrebbero pagati per quanto sanno mobilitare i talenti di tutti. E non perché si presume che li sappiano scovare e sviluppare.




mercoledì 4 febbraio 2015

Sciocchezze sparse: io so come funzionano le persone

di
Francesco Zanotti


Leggo non dico dove ed a firma di chi, in nome della massima “si dice il peccato, ma non il peccatore”, ma non taccio il peccato.
“Io so come funzionano le persone e lo dico ai Capi” è la pretesa di un ex Manager HR su di un qualificato gruppo Linkedin.
Denuncio la sciocchezza scientifica di questa affermazione. E lo faccio perché questa illusione che persone abbiano da qualche parte manovelle da regolare per farle funzionare come si vuole venga abbandonata un volta per tutte.
E’ una sciocchezza scientifica come possono testimoniare neuro-scienziati, psicologi di tutte le scuole, sociologi, antropologi e … ogni persona di buon senso.
Le persone non funzionano, evolvono, come tutti i sistemi complessi. Non esiste modo di conoscere l’identità profonda delle persone, tanto meno è possibile disciplinarne tutti i comportamenti.
Sfido ad un pubblico dibattito chiunque sostenga di conoscere come funzionano le persone. Credo che sia presuntuoso se non disonesto affermarlo.

Non è certo questo il modo di valorizzare la figura del Responsabile HR.

lunedì 2 febbraio 2015

Sciocchezze sparse: la job descritpion

di
Francesco Zanotti


Chi non sostiene che la job description non è importante? Più in generale, chi non sostiene che più una organizzazione è definita precisamente meglio “funziona”?
Ecco … io.
Prendiamo i contenuti standard di una job description: nome della persona, funzione della posizione, collocazione gerarchica, compiti principali e caratteristiche richieste.
Il problema è che in questo modo si riesce a descrivere solo la dimensione formale di un lavoro e in modo neanche troppo preciso.
Ma non si dice nulla della dimensione informale del lavoro che, sempre più, costituisce la parte più rilevante del lavoro complessivo della persona.

Facciamo un esempio: la funzione della posizione.
Partiamo dal constatare che sarebbe necessaria una descrizione che utilizzi un qualunque linguaggio formale: dai flow chart alle diverse tecniche reticolari, che ovviamente non vengono mai usate. Il linguaggio naturale non è adatto a descrivere precisamente, operativamente alcunché, quindi chi  spera di usarlo per definire esattamente una posizione commette una grande ingenuità scientifica.
Ma poi andiamo avanti. La funzione di una posizione ha mille sfaccettature rilevantissime che non possono essere descritte e che sono strettamente dipendenti dalla persona che le occupa. Due persone diverse nella stessa posizione possono essere stimolo e freno al resto dell’organizzazione. Possono svolgere o non svolgere funzioni che nessuno aveva previsto, ma che sono essenziali al processo produttivo o di servizio. Che senso ha pretendere di definire esattamente la funzione di una posizione?
Andiamo poi alle caratteristiche richieste alla persona che la occupa.
E’ scientificamente noto che non esiste un modello che descrive le caratteristiche rilevanti della persona umana in modo da inferire qualcosa sui comportamenti. Che cosa significa determinare le caratteristiche richieste? Si rischia di definire caratteristiche ... indefinite.
Mi immagino la pletora di lettori che non si troveranno d’accordo. Ma il disaccordo può essere sostenuto solo partendo da questa base: a me non importa nulla delle conoscenze scientifiche. Io faccio come mi pare.