"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 28 ottobre 2014

Tutto ai Capi di prima linea

di
Francesco Zanotti

La proposta è molto semplice: deleghiamo le attività di formazione, cambiamento e gestione delle risorse umane ai capi di prima linea. Fornendo loro le risorse cognitive necessarie per farlo …
Se non lo fate vi tirate addosso un sacco di guai. E certo non ottenete risultati formativi di cambiamento di gestione.

Infatti, la relazione tra il Capo e i suoi collaboratori è una relazione umana. Una relazione umana non è mai specialistica. E’ sempre, complessiva, umana appunto. Voglio dire che il Capo, anche se volesse, non potrebbe limitarsi a trasmettere ordini. Ogni giorno, insieme a guidare l’operatività, forma, gestisce il cambiamento e le potenzialità, limiti e problemi delle risorse umane.
Qualche volta, per qualche episodico lasso di tempo, le sue persone vengono affidati ad altri che (i formatori) cercano di formarle, di farle cambiare (gli esperti di change management), di gestirne potenzialità, problemi e limiti (gli esperti di risorse umane). Ma si tratta veramente di episodi che rischiamo di essere anche dannosi perché costringono le persone a seguire altri capi che avranno modalità di gestione radicalmente diverse. Quasi a far fare loro una vacanza dalla vita concreta dell’organizzazione.
Quando la vacanza finisce e le persone tornano alla organizzazione vera. Non pensate siano state trasformate in modo che il loro capo di tutti i giorni le possano gestire meglio. Si mettono a fare confronti che non possono che essere negativi. Ad esempio il capo che hanno incontrato nei corsi di formazione sembrerà loro un capo migliore. Anche perché alla fine questo capo finto sa che i suoi futuri incarichi dipendono dai loro giudizi. Visto che la misura fondamentale della qualità della formazione è ancora il gradimento che viene espresso sul docente.

Oggi certamente i Capi non si accorgono di formare, cambiare sviluppare o mortificare le persone, ma lo fanno, inevitabilmente. Allora non è meglio insegnare loro a farlo invece di coltivare l’illusione che qualcuno posso trasformare per magia le loro persone e restituirle migliori?



sabato 25 ottobre 2014

Di cosa parliamo quando parliamo di talenti (e merito)?

di
Luciano Martinoli


La rivista Harvard Business Review ha pubblicato, come ogni anno, la lista dei migliori CEO al mondo. I migliori "talenti", premiati per i loro "meriti".
Come sono stati valutati questi signori per entrare nella classifica? Quali sono i loro meriti? Tre parametri che hanno a che fare con le azioni: il ritorno per gli azionisti sul valore di borsa, sul valore rispetto al settore industriale e l'incremento della capitalizzazione globale. Dunque, in sintesi, come hanno arricchito i "soci" delle aziende che gestiscono.
Ma chi sono questi talenti?

venerdì 24 ottobre 2014

Contro il cambiamento: ma cosa cambiare?

di
Francesco Zanotti



Il problema è banale. Per cambiare qualcosa occorre sapere come è fatto.
Se in un motore volete cambiare un pistone vecchio e tutto storto dovete sapere che cosa è un pistone, dove si trova e come è fatto.

Ma cosa c’entra questo discorso, mi obietterete? I valori non sono come un pistone. Sono molto più fluidi, impalpabili, intangibili: uno nessuno e centomila, direbbe il Nostro. Non sono oggetti dai contorni precisi. Si mischiano tra di loro, possono essere definiti in mille modi … Non sono incastrabili in una definizione stabile. Sono totalmente d’accordo.

Ma se è così, cosa vuol dire l’espressione “cambiare i valori”?
Se non potete sapere quale è il sistema vigente di valori di una persona e di una organizzazione, anzi, asserite che non lo si può sapere perché i valori non sono come un pistone, come si fa a trovare il modo di cambiarli?
Ma, immaginate che in un qualche modo si possa generare un foglietto su cui sono scritti i dieci valori chiave (non sentire il ridicolo di voler fissare l’identità profonda di una persona o di organizzazione in un elenco di parole su di un foglietto?) che volete che le persone e l’organizzazione professino, come fate ad installarli nelle persone e nelle organizzazioni? Dovreste sapere dove stanno i valori di una persona, vedere se in quel posto vi sono spazi liberi per metterli, se sono compatibili con i valori esistenti …

E’ inutile continuare, più si cerca di capire il senso dell’espressione “cambiare i valori” più questa perde di senso. Fino al ridicolo. Come tutte le pratiche che hanno come oggetto di valori: analisi dei valori, comunicazione dei valori etc.


martedì 21 ottobre 2014

Contro il cambiamento: insopportabile

di
Francesco Zanotti


Una serie di post contro il cambiamento perché si tratta di una filosofia inaccettabile.
Propone che ci sia qualcuno che sappia cosa cambiare e chi, invece, ami crogiolarsi in organizzazioni sgangherate. Propone che qualcuno cambi qualcun altro. Propone che esista addirittura un metodo per cambiare le persone e i sistemi di persone, cioè le organizzazioni.
Propone che ci siano specialisti del cambiare.
Contro il cambiamento perché si tratta di una prospettiva scioccamente prometeica. Capace di creare solo caste professionali e manageriali (per altro di scarso successo e ruolo sociale) che pretendono che tutta l’organizzazione dia loro retta. Ed anche in fretta perché il cambiamento è urgente. E l’unico risultato che si ottiene è quello di generare reazioni contro questo voler cambiare gli altri. Le chiamano resistenze al cambiamento e, più sono forti, più danno identità ed importanza a chi le vuole combattere. Invece sono solo opposizioni (giuste) alla pretesa che qualcuno (senza arte né parte, cioè senza alcuno fondamento cognitivo) decida come si deve operare e vivere.
Nei prossimi post saremo concretezza a questa “battaglia”.
Comincio solo con un piccolo flash … la cosa che più si cerca di cambiare sono i valori. Quale paladino del cambiamento non sostiene che la cosa vera da cambiare siano i valori (o la cultura, se volete usare un’altra parola)? Ma ... dove si comprano i nuovi valori? Dal fruttivendolo perché li vogliamo turgidi e succosi come uno splendido pomodoro? O in una ferramenta sofisticata perché li pretendiamo precisi al micron?
Alla prossima.


martedì 14 ottobre 2014

Una generazione che deve riscattarsi

di
Francesco Zanotti


Franco Moscetti Amministratore Delegato di Amplifon l’ha detto (e non è la prima volta) chiaramente: la nostra (non solo la sua, ma anche la mia) generazione ha completamente fallito come classe dirigente. In particolare hanno fallito imprenditori, manager e consulenti di direzione. Ci saranno, forse, eccezioni, ma non culliamoci nella illusione che siamo noi quella eccezione. Quando vedete un “grande” AD di una grande banca declamare il suo credo strategico, percepite immediatamente la inevitabilità del fallimento.
Ecco, si percepisce, ma razionalizziamo: da dove viene questo fallimento e come porci rimedio? Sì come porci rimedio: siamo ancora in tempo a lasciare un’impronta positiva nella storia del nostro Paese e non passare per la generazione che ha dilapidato il patrimonio di imprese che avevano costruito i nostri padri.
E’ un invito che mi sento di rivolgerci in modo “esistenziale”, che riguarda il senso della nostra esistenza: non nascondiamoci dietro il fallimento, come se fosse stato inevitabile e se ora non ci potessimo fare nulla. Dobbiamo trovare la forza e la determinazione per reagire.
Da dove viene il fallimento, dunque? La risposta è semplice, ma crudele: disponiamo di risorse cognitive troppo povere. Che non ci permettono di capire la società, i mercati e le persone.
Come è immaginabile e giustificabile che esista un Amministratore Delegato o un imprenditore che non disponga delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa? Come è giustificabile che queste conoscenze siano sconosciute anche al suo CFO? Come è immaginabile e giustificabile che esista un Direttore Risorse umane ed Organizzazione che non conosca le dinamiche di sviluppo delle persone e delle organizzazione? Come è giustificabile che questi signori non solo non  dispongano di queste conoscenze, ma si difendano da tutti coloro che volessero, con umiltà, rendergliele disponibili. E lo facciano con scuse banali come la pressione delle urgenze, quelle urgenze derivate proprio dal provare a gestire socialità (gli stakeholders), mercati e persone senza disporre delle conoscenze per farlo?
Il fatto che disponiamo di risorse cognitive troppo povere e non vogliamo rinnovarle, ci costringe a cercare di giustificarci in una tristissima pretesa prometeica: ma io non ho bisogno di risorse cognitive nuove. La mia abilità, il mio carisma, la mia esperienza mi permettono di capire tutto e saper gestire tutto senza aggiungervi conoscenza. Ma è un tradimento verso il futuro. Perché non è vero! E’ solo una scusa per mantenere un ruolo sociale posto ben pagato, ma che non meritiamo in nessun modo.
Buttiamo all'aria tutto questo, possiamo ancora riuscirci. Cominciamo ad andare alla ricerca di quella conoscenza che, sola, ci potrà permettere di riscattare tutta una generazione. Chi non fosse d’accordo, guardi nel profondo degli occhi i propri figli. Lì troverà sia il rimprovero che la richiesta di cambiamento più profondo nei nostri confronti.



sabato 4 ottobre 2014

Resilienza è conservazione

di
Francesco Zanotti


Riportato dal Corriere di oggi e attribuito a Andrew Zolli “La resilienza è la capacità di un sistema, di una impresa o di una persona di conservare la propria integrità e il proprio scopo fondamentale di fronte ad una drastica modificazione delle circostanze.”.
Si vede subito che è conservazione: conservare la propria integrità …
Oggi non c’è bisogno di resilienza, ma di imprenditorialità.
Una definizione di imprenditorialità può essere la seguente: “Costruire una nuova identità di un sistema, di una impresa o di una persona creando l’ambiente adatto a sostenerla.”.
Non ci adatta all'ambiente, lo si crea. Non si conserva la propria identità, ma se ne fa emergere una nuova.
Una grande impresa e la sua organizzazione: è necessario diffondere una nuova imprenditorialità organizzativa perché ogni persona partecipi a far emergere una nuova organizzazione.
E’ ovvio che in questo quadro, non solo resilienza è conservazione. Ma la parola stessa “cambiamento” è conservazione. Ne parleremo.