"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 29 marzo 2016

Basta con le specializzazioni.

di
Francesco Zanotti

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Sono uno specialista (esperto) di HR, lo sono di formazione, lo sono di leadership … di quella particolare leadership …una corsa verso il basso e l’angusto senza fine.
Ovviamente lo specialista vede solo la sua specializzazione e, poiché deve vendersi per campare (consulente o manager che sia) tende a dire che la sua specializzazione è quella più importante per risolvere i problemi (uno specialista non vede mai opportunità, ma risponde a problemi). I risultati di questa “ideologia” non sono soltanto così banali da risultare ridicoli. Ma sono anche auto emarginanti: nessun top manager è interessato a una qualche artificiale (né l’uomo né la Natura sono “specializzati) specializzazione. Se seguisse la logica della specializzazione dovrebbe passare tutto il suo tempo a dare retta a specialisti che cercano di vendergli, alla fine, solo qualche corso di formazione. Ovviamente lo specialista pensa che i top manager non capiscono nulla.

Se guardate dentro queste specializzazioni scoprirete, invece, che l’atteggiamento del top management è, forse inconsapevolmente, quello giusto.
Se guardate dentro queste specializzazioni scoprirete che esse sono del tutto estranee ai progressi delle scienze umani e naturali. Abbiamo specializzazioni che intendono occuparsi dell’uomo, ma pretendono di farlo solo del pezzettino che vedono e che è tanto più angusto, tanto più l’osservatore è specializzato.

Abbiamo bisogno di manager e specialisti profondamente tuttologi. Cioè che sappiano pescar in ogni dove nella conoscenza umana per riuscire a governare molto meglio i sistemi umani.

venerdì 25 marzo 2016

A Roma: Luhmann, noi e la battaglia contro le sciocchezze

di
Francesco Zanotti

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Come il lettore può vedere, a lato di questo post vi è l’invito alla presentazione del libro di Hans George Moeller sul pensiero di Niklas Luhmann che abbiamo tradotto (Lorenzo e Luciano Martinoli) e commentato in una appendice (il sottoscritto).
Il sottotitolo potrebbe essere, davvero “Una battaglia contro le sciocchezze”.
Partendo dal pensiero di Luhmann e aggiungendo il pensiero quantistico abbiamo scoperto che tutta una serie di convinzioni su cui fondiamo teoria e prassi manageriali sono banalmente sciocchezze.
Proviamo ad elencarne alcune.
Innanzitutto il parlare di complessità sta diventando retorico e banale. Andava bene una trentina d’anni fa. Oggi dobbiamo cercare di capire quali sono le caratteristiche strutturali dei sistemi umani. Che certamente non sono semplici, ma certamente non si possono liquidare definendoli “complessi”.
Parlare e ricercare “competitività” è come urlare “fermate il mondo che voglio scendere”. Cioè: le strategie competitive sono solo strategia di conservazione.
Il “cambiamento” è una paradigma incomprensibile: come faccio a sapere come cambiare le persone e le organizzazioni se non le so descrivere? Se non so come sono?
Le analisi che pensiamo ci rivelino come è fatto il mondo esterno, mentre non possono che analizzare solo l’analizzatore.
Il mito dei talenti che è tanto scientificamente infondato quanto praticamente inconcludente, se non dannoso.
Potrei continuare, ma non voglio privare i lettori del gusto di scoprire dal vivo, durate la presentazione del libro, tutte le sciocchezze che abbiamo scoperto e che, purtroppo, fondano ancora il pensiero e la prassi manageriale mainstream.
Ovviamente poi avanziamo anche una proposta …


lunedì 21 marzo 2016

Perchè le imprese hanno sempre e solo ragione (o sempre e solo torto)?

di
Luciano Martinoli


Prendiamo ad esempio il caso del rapporto con la scuola. Sul sole24ore di oggi sono riportati i dati di una ricerca, commentata da due articoli, sul fenomeno del mismatch overeducation che affligge il nostro sistema formativo superiore e universitario. In sostanza i lavori offerti, e accettati, dai nostri giovani diplomati e laureati richiedono competenze inferiori a quelle maturate o si fanno lavori che non richiedono le conoscenze acquisite durante gli studi.
Si indicano come cause la solita recessione, che ha colpito duramente dal 2007, le università, che dovrebbero “parametrare corsi sulla domanda più che sull’offerta”, e la distanza tra scuola e imprese. Quindi alle imprese non si addebita nulla.
Propongo una lettura diametralmente opposta.

sabato 19 marzo 2016

Il top management: retorica o progetto?

di
Francesco Zanotti

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Il top management racconta sempre le magnifiche sorti e progressive della sua impresa. Salvo poi passare all’impresa concorrente cambiando completamente opinione su cosa generi magnifiche sorti e progressive.
Come potete pensare che organizzazioni e clienti si lascino affascinare da chi oggi esalta il nero e domani il bianco?
Clienti e organizzazione sanno che quelle magnifiche sorti e progressive sono esattamente come le descrive il Leopardi:
“… e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.”

Sono sorti magnifiche progressive effimere illusorie … E, quindi, non mobilitanti. Retorica e non progetto, troppo spesso.

giovedì 17 marzo 2016

Pagare tanto i top manager?

di
Francesco Zanotti

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In teoria, dipende. In pratica, no! Almeno no ai manager attuali.
Vediamo quando non bisogna pagare tanto un top manager. Non bisogna pagarlo tanto quando dichiara che lui non può fare nulla. Tutto dipende da forze esterne che deve cercare di gestire. E il gestire è solo ridurre i costi e il buttar fuori la gente. Il caso tipico è il management bancario che “la banca è in balia delle forse esterne” ne ha fatto un mito assoluto. E l’unica strategia che sa mettere in atto è davvero solo quella di buttar fuori, a ondate periodicamente susseguentesi, la gente che lavora per lui. Per buttar fuori la gente basta anche un onesto funzionario che fa diligentemente da tagliatore di teste.

Invece, si dovrebbero pagare molto manager che dicano l’opposto. Se le cose che fa la mia società attualmente non le permettono più di guadagnare tanto da remunerare gli azionisti con dividendi e aumentare la qualità e la quantità dell’occupazione, allora me ne invento altre. Se prevale l’ambiente è perché sto continuando a fare cose che non interessano più. Sono io che accetto di subire l’ambiente.

sabato 12 marzo 2016

Ma quanto conta il talento del top management?

di
Francesco Zanotti

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L’opinione di Jeffrey Pfeffer (uno dei guru della strategia) è che conta poco. Il top management è intrappolato nella sua storia. E tende a ripeterla. Quindi quando ha successo è perché la ripetizione della sua storia ha senso. Quando non ha successo significa che la ripetizione della stessa storia non ha senso. Insomma non ci sono i Fausto Coppi del management.
Il problema è che le storie passate del top management attuale trovano sempre meno orizzonti di senso. Sono sempre più solo storie passate che non si possono riproporre.
Se questo è vero, cosa può rendere molto più efficace l’azione del top management?

Il fornire loro nuove risorse cognitive perché possa uscire dalle loro storie passate e iniziare a progettare e vivere nuove storie. Le storie della società e dell’economia prossime venture.

mercoledì 9 marzo 2016

Obiettivo scienze

di
Francesco Zanotti

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Il management, cioè la disciplina che si occupa del governo, della guida di uomini e organizzazioni, si è sviluppato senza utilizzare risultati e progressi nelle scienze naturali e umane che proprio di uomini e sistemi di uomini si occupano.
Si è formato un “management mainstream” che è sostanzialmente “science free”. E questo è avvenuto non solo in Italia, ma anche a livello internazionale.
Vi sono certamente ragioni storico-pratiche perché questo isolamento si sia piano piano venuto formando e consolidando.  Ma oggi non è più accettabile.

Lo sostengono proprio i più autorevoli esperti di management.
Uno per tutti Gary Hammel.
Alla fine del suo libro “What matters now” scriveva a pag. 254: “This will require a hunt for new management principles in field as diverse as anthropology, biology, design, political science, urban planning and theology”.
E, poi, a pag. 257 “what matters now, more than ever, in that you question your assumptions, surrender your conceits, rethink your principles, and raise your insights – and you challenge the others to do the same.”.

Lo dimostra l’esperienza della crisi che non è certo caduta dal cielo.
Lo dimostra l’insoddisfazione, lasciatemi dire esistenziale, di tanti manager che non sono più così ossessionati dal loro passato, ma sentono il bisogno, esistenziale appunto, di “cieli nuovi ed una nuova terra”. E, sempre più spesso, nella loro prassi si discostano (ma con timidezza e senza riferimenti precisi) dai dettami del management mainstream.
Per dare un contributo al superamento del management mainstream, abbiamo deciso di pubblicare una newsletter per informare i manager (ma anche i consulenti) riguardo ai risultati delle scienze naturali e umane che aprono nuove (radicalmente nuove) prospettive per il “governo” di persone ed organizzazioni.


La newsletter è disponibile QUI.

venerdì 4 marzo 2016

Salario come variabile indipendente?

di
Francesco Zanotti

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E’ un’idea nata negli anni ’70 ed osteggiata dai “logico-pensanti”. Il salario non può essere indipendente, deve essere compatibile con quanto guadagna l’impresa.
Va bene accettiamo questo punto di vista, ma guardiamo avanti.
Oggi sta diventando sempre più rilevante la battaglia di prezzo. Ad essa come si risponde? Cercando di abbassare i costi, è ovvio. E per abbassare i costi è necessario che i lavoratori siano pagati meno e lavorino di più.
E così si cade nella trappola in cui siamo caduti negli anni ’70: un gigantesco conflitto sociale.
Ma è inevitabile ... la competizione occorre pur combatterla.
Ecco sta qui l’errore, grave, dei “logico pensanti”.
Il salario deve certamente essere dipendente dai ricavi. Ma questi dipendono non dalla competizione, ma dalla forza imprenditoriale dell’imprenditore e del management. Quando questa forza è bassa, allora vince la competizione. E tutti devono tirare la cinghia fino a strozzarsi.
Ma se il manager o l’imprenditore sanno inventare nuovi cieli ed una nuova terra, cioè prodotti che abbiamo una nuova ricchezza di senso, la competizione sparisce. Sempre il salario dipenderà dai ricavi. Ma questi non saranno più brutalizzati dalla competizione. Certo, poi anche la competizione comincerà a sentire parlare dei nuovi cieli e della nuova terra e, arrancando arriverà. Ma appena la vedranno apparire il manager e l’imprenditore riprenderanno la valigia progettuale e guideranno tutto verso altri cieli ed altre terre.
E, mai rinunceranno al principio che è responsabilità dell’imprenditore e del manager fare in modo che tutti coloro che affidano loro la loro vita non vengano strozzati dalla ignavia imprenditoriale che si crogiola nella competizione.


mercoledì 2 marzo 2016

Risorse umane e strategia: un rapporto da invertire

di
Francesco Zanotti

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Come da tradizione, anche quest’anno assegneremo un Rating ai Business Plan delle Società dell’Indice FTSE Mib di Borsa Italiana.
E’ l’occasione per avviare una riflessione sul ruolo delle risorse umane nel Progetto Strategico di una impresa. E del ruolo dei Responsabili di Risorse Umane ed Organizzazione nella redazione del documento che descrive il progetto strategico dell’impresa: il Business Plan.
La posizione tradizionale è di “dipendenza”. Detto diversamente: vengono dopo. Le risorse umane sono gli attori che realizzano la strategia. I Responsabili di risorse umane ed organizzazione devono far conoscere il più esattamente possibile qual è il patrimonio di risorse umane nella disponibilità dell’impresa perché il Vertice Strategico ne conosca limiti e potenzialità nello sviluppare il suo Progetto Strategico. Poi avranno un ruolo fondamentale nel comunicare e realizzare il progetto strategico.
La nostra posizione è molto diversa. E scientificamente fondata.
Innanzitutto, la qualità della progettualità strategica dipende dal sistema di risorse cognitive di cui dispone il Vertice Strategico. Gli attuali Vertici Strategici non dispongono delle più aggiornate risorse cognitive essenziali all’attività di progettazione strategica: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Questa mancanza di strumenti progettuali abbassa la qualità della progettazione strategica. Allora crediamo che debba proprio essere il management che ha come riferimento le persone che debba raccogliere e fornire al Vertice Strategico le migliori conoscenze e metodologie di strategia d’impresa disponibili a livello internazionale. Al cui sviluppo noi abbiamo dato un rilevante contributo.
Poi, seguendo proprio le indicazioni che vengono dalle migliori conoscenze e metodologie di strategia d’impresa, si scopre che il ruolo delle risorse umane, per essere efficacemente esecutivo deve, prima, essere intensamente progettuale. Detto più esplicitamente, le risorse umane devono essere le protagoniste di un processo di costruzione sociale del Progetto Strategico dell’impresa.
In sintesi, noi proponiamo non una scelta di dipendenza, ma di imprenditorialità delle risorse umane e di chi le guida.
Quale delle due posizioni sposano i lettori di questo blog?