"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

venerdì 27 giugno 2014

Pensieri (poveri) che diventano realtà (povera)

di
Francesco Zanotti


Piano piano scambiamo i nostri pensieri con la realtà. I nostri pensieri diventano la realtà.
Una area di conoscenza (ad esempio, il management) è un insieme di pensieri condivisi che sono diventati realtà.
Ma quale è la qualità di questi pensieri condivisi? Nel caso del management questi pensieri sono molto poveri. Ciononostante vengono scambiati con la realtà.
Prendiamo il concetto di competenza. Tutti lo usano. E ne danno una declinazione personale: avete mai visto due elenchi di competenze uguali? Avere mai visto due consulenti che partono dallo stesso elenco? Non accade mai. Si presentano con orgoglio con la propria visione delle competenze, il proprio elenco delle competenze e si chiede alle imprese di investire in quelle. Più investono meglio è! Se poi la gente non lavorasse per acquisire quelle competenze sarebbe ancora meglio.
Così le imprese rischiano di investire solo nei sogni di qualche consulente, perché è amico di non si sa chi.
Come ho anticipato, sono anche sogni poveri … Raccontano che le competenze siano oggetti che si possano installare nella testa della gente. Raccontano, poi, che queste competenze si concretizzeranno in comportamenti prevedibili ed in risultati altrettanto prevedibili.
Sciocchezze cognitive, psicologiche, sociologiche ed antropologiche. Troppi amministratori delegati … delegano troppo. E si ritrovano l’impresa percorsa da torme di pensieri poveri che diventano realtà povere. Rendendo povero anche lui.
La prossima volta racconterò un caso emblematico di rifiuto del confronto con altri pensieri capaci di costruire altre realtà. Molto migliori dal punto di vista dei risultati e dei costi da sostenere.




lunedì 23 giugno 2014

Lettera aperta agli ex manager …

di
Francesco Zanotti


Caro manager, io credo che tu corra il rischio di scavarti una buca sotto i piedi da solo.
Prova a seguire questo ragionamento e dimmi che ne pensi.
Oggi tu cerchi un posto di lavoro e, per trovarlo, racconti della tua esperienza. Errore esiziale. Infatti, mediamente, la tua esperienza sarà uguale a quella di mille altri. Che speranza hai di essere scelto proprio tu?
Ma non accade solo questo. Se tu continui a proporre il valore dell’esperienza, sarai giudicato in base all'esperienza. E non ti conviene molto giocare su una variabile nella quale, mediamente, non hai alcun vantaggio competitivo.

Ti suggerisco si giocare sulla variabile “conoscenza”. Oggi è disponibile una conoscenza capace di rivoluzionare il pensiero manageriale. Appropriati di questa conoscenza e torna sul mercato dicendo: “La mia esperienza, come tutte le esperienze, tende a non avere più valore in un mondo che è radicalmente diverso da quello in cui si è formata. Io ho relativizzato la mia esperienza e mi sono dotato di una nuova conoscenza che mi permette di attivare nuove prassi gestionali. Care imprese, avete bisogno di nuove prassi gestionali: guardate i guai in cui vi siete cacciati.”.

Se così farai, prima di tutto, ti sentirai meglio. Oggi è possibile costruire i mondi, i mercati e le organizzazioni che si vogliono. L’unico limite è costituto dalla conoscenza di cui si dispone. Se aumenterai (ed è possibile farlo in forma rilevantissima) la conoscenza di cui disponi, ti sentirai meglio perché sentirai una nuova potenza scorrerti nelle vene. E, certamente, riuscirai anche a scalzare le difese messe in atto da troppi vecchi manager che temono come la peste chiunque dichiari che esiste una conoscenza diversa, migliore, infinitamente migliore, di quella che fino ad oggi hanno usato. Ci riuscirai perché oramai imprenditori e top manager “sentono” che tanti vecchi tromboni, appunto, solo quello sono. Tromboni costosi e sfiatati.

E finisco con una proposta: se vuoi, se riesci a mettere insieme un gruppo di ex manager che hanno ancora voglia di cambiare il mondo, noi siamo disposti a mettervi a disposizione una conoscenza unica a livello mondiale, capace di rivoluzionare il fare impresa.
Sono nuove conoscenze strategico organizzative … costruiremo insieme nuovi mercati, nuove organizzazioni. Saremo, prima di tutto, noi persone nuove.


domenica 22 giugno 2014

Chi vuole gestire il cambiamento, non cambia mai!

di
Francesco Zanotti


Le conoscenze e le metodologie con le quali si fanno e giustificano le attività di formazione, gestione del cambiamento e gestione delle risorse umane, non cambiano da decenni.
Tanto che l’esperienza del passato pretende di diventare guida per il futuro.
Soprattutto non cambiano le modalità di gestione del cambiamento …
Non so, fissiamo una data: il 1988, un anno prima della caduta del muro di Berlino.
Quale cambio di paradigma vi è stato nella formazione, nella gestione del cambiamento e delle risorse umane da allora ad oggi?
Nel resto del mondo, invece, è cambiato quasi tutto. A cominciare da quel muro che oggi non c’è più …

Servono altri commenti per indicare la buca autoreferenziale nella quale siamo caduti, consulenti e manager, allegramente insieme?

giovedì 19 giugno 2014

Il manager che annaspa

di
Francesco Zanotti


L’organizzazione è come l’aria. Se state fermi (contemplando il proprio presunto potere) vi sembra che non esista. Che voi possiate fare quello che volete.
Ma, appena vi mettete a fare qualcosa velocemente (il cambiamento deve essere veloce, no?), vi accorgete che l’aria resiste. Provate anche solo ad agitare una mano velocemente …
L’aria non solo resiste, ma scatena anche uragani. Ed, allora proprio mentre contemplate e cercate di superare le resistenze, vi accorgete della forza autonoma dell’aria che rischia di travolgere tutto e tutti.
Narcisismo, fatica e … essere travolti. Un annaspare triste e pericoloso.
La proposta?

Per sfruttare l’energia vitale dell’organizzazione (quella che oggi è costretta a scatenare uragani per dimostrare che esiste) provate ad immaginarvela come il Vuoto Quantistico dal quale potete far emergere mille futuri. Chi sa governare lo svilupparsi autonomo del vuoto quantistico umano, cioè di quella immensa potenzialità di futuro che è ogni gruppo umano?

martedì 17 giugno 2014

Urgenze e conservazione: un binomio “vincente”

di
Francesco Zanotti


Tutti affogati nelle urgenze. Ovvio che non si può pensare a cose alte e nobili. Noi abbiamo una responsabilità: se non sistemiamo noi i guai con le persone chi lo fa?
Ecco la mia tesi è che i guai sorgono perché non si pensa alle cose alte e nobili. Se si pensasse alle cose alte e nobili si eviterebbero i guai, anzi si costruirebbe sviluppo velocemente.
Il problema, come sempre, siamo noi. Alla fine, ci fa comodo credere che siano i guai che ci impediscono di pensare. Con questa scusa evitiamo la fatica dello studio e il rischio della innovazione.
Evitiamo di scoprire quante sono le “best practices” controproducenti che, però, continuiamo a mettere in atto.
Qualche esempio.
Prassi di cambiamento che generano le resistenze al cambiamento. Ci fa più comodo dire che le resistenze sono naturali piuttosto che scoprire che siamo noi che le generiamo.
Prassi formative che costano tempo e denaro e che sono tanto più dannose quanto più sono efficaci. Ci fa comodo organizzare corsifici, soprattutto se i contenuti sono di moda. Quasi che il mestiere del manager della formazione sia simile a quello dell’impresario: mettere sul palcoscenico (in aula) qualche star.
Le normali pratiche di gestione delle risorse umane (dalla selezione, alla progettazione di sistemi incentivanti, alla motivazione) che difendiamo come normali perché abbiamo paura di scoprire che non hanno senso.

Alla faccia dell’etica del lavoro, dell’impegno e della responsabilità. 

domenica 15 giugno 2014

Che differenza c’è tra cercare un pistone per un cilindro e una persona per un ruolo?

di
Francesco Zanotti


Nessuna. Occorre avere una descrizione sia del cilindro che del ruolo. Occorre cercare e misurare sia i pistoni che i candidati. Se si fanno bene queste operazioni, allora il pistone scorrerà bene nel cilindro e il candidato funzionerà bene nell’organizzazione.
Forse la descrizione del ruolo e la misura del candidato sono meno precise… Ma, in questo caso, interviene la competenza e l’esperienza magiche del selezionatore che colma questo gap di imprecisione ...
E esattamente la stessa cosa cercare un pistone per un cilindro e una persona per un ruolo. E’ solo un problema di calibro …

Certamente il lettore, soprattutto il lettore selezionatore, mi dirà che non è vero. Ma la mia domanda è: dove sta esattamente la differenza?

giovedì 12 giugno 2014

Che bello fare il manager HR

di
Francesco Zanotti


Così mi diceva un manager HR. Bello perché non ci sono conoscenze da apprendere, non ci sono metodi da applicare, non serve aggiornamento. Sono libero di usare il mio intuito, la mia esperienza. Ogni giorno ne posso inventare una nuova …
Non ho risposto …
Ho sentito una profonda tristezza .. Forse avrei dovuto liberarlo da questa illusione … Caro amico, pensi che non ci siano conoscenze utili perché non le conosci. Proviamo a fare un elenco: dalle scienze cognitive alla psicologia, alla sociologia alla linguistica, all'antropologia. Al pensiero strategico-organizzativo. Da tutte queste conoscenze potresti ricavare metodi che ti permetterebbero di riconoscere, ad esempio, che le resistenze al cambiamento sono solo reazioni al tuo modo di gestire il cambiamento. Che ti permetterebbero di eliminare tutte le burocrazie formative. Se proprio dei risultati della tua organizzazione non ti interessa, pensa che usando tutte queste conoscenze potresti costruire una nuova sicurezza sul lavoro. Potresti addirittura salvare vite. Neanche questo ti fa pensare? Neanche questo ti fa venire voglia di chiedere: va beh, diamo almeno una occhiata a queste conoscenze?
Pensandoci bene, però, la colpa è molto più dei consulenti che aggrediscono i manager con improvvida ignoranza e stucchevole insistenza per tediarli con proposte banali, invece di rendere disponibile, in modo efficace ed efficiente, la miglior conoscenza strategica organizzativa disponibile al mondo.


martedì 10 giugno 2014

Perché non ha senso la formazione

di
Francesco Zanotti
Mi riferisco a tutte le attività che hanno l’obiettivo di fornire (far emergere nella formazione più sofisticata) competenze.
Le ragioni per cui sostengo che queste attività non hanno senso sono le seguenti.

La prima è che non si sa quali sono le competenze da fornire. Ognuno si fa il proprio modello di competenze, senza alcun fondamento scientifico. E quello usa per fare una analisi delle esigenze.
Troppe volte si scelgono le competenze che propongono gli amici, i consulenti con cui si ha consuetudine. La colpa del top management è quella di non chiedere il fondamento del modello di competenze che viene usato nella sua impresa.

La seconda è che tanto più il modello di competenze utilizzato è sofisticato, tanto meno è utile.
Nel suo recente Managing, a pag. 89, Henry Mintzberg presenta il suo elenco di competenze ideali per gestire il cambiamento. L’autorevolezza dell’Autore è fuori discussione. Il suo elenco è certamente uno dei più avanzati disponibili. Ma proprio per questo è inutilizzabile. Infatti le competenze che propone sono 13. Poiché sono tutte originali (e quelle che propongono tutti gli altri sono inutili?) e, a suo dire, decisive, occorrerebbe diffonderle tutte. Ma, come si fa? Tredici corsi per tutti e in breve tempo perché è anche urgente che queste competenze siano diffuse?

La terza ragione è che le competenze emergono (usiamo la prospettiva più avanzata) in un contesto e solo in quello hanno senso. I corsi di formazione sono un ambiente virtuale dove certamente si possono far emergere competenze. Ma le competenze che sono emerse in un ambiente virtuale solo in quello hanno senso. Detto diversamente: non possono essere trasferite nell'organizzazione reale.

Detto tutto questo … “Chi se ne frega! Io vado avanti con il mio tran-tran. Chi mai verrà a farmi queste obiezioni?” mi ha risposto un manager.
L’ho guardato con sgomento … Immaginando la tristezza e il danno aziendale del riempire aule di nulla.


venerdì 6 giugno 2014

Non siamo mica i soli …

di
Francesco Zanotti



… a pensare che è immorale non cambiare radicalmente il management, non sentirsi responsabili nel cambiarlo, non usare tutte le conoscenze possibili.
Non siamo soli a sostenere questa tesi. Per dimostrarlo citiamo un personaggio che, oggi, viene considerato uno dei massimi esperti di management: Gary Hamel. Lui ed Henry Mintzberg sono i numeri uno indiscussi.
Alla fine del suo libro What matters now (già di due anni fa) scriveva a pag. 254: “This will require a hunt for new management principles in field as diverse as anthropology, biology, design, political science, urban planning and theology”.
E, poi, a pag. 257 “what matters now, more than ever, in that you question your assumptions, surrender your conceits, rethink your principles, and raise your insights – and you challenge the others to do the same.”.
Ah … cambiare il management non significa che tutti gli altri devono idolatrare le nostre povere esperienze e darci, grazie a quelle, un posto al sole.
Noi ci siamo mossi lungo la strada indicata da Hamel. Abbiamo ottenuto risultati che nemmeno Hamel immagina possibili. Ci piacerebbe discutere di queste parole con coloro che difendono il presente in nome delle urgenze che loro stessi creano, in nome di una esperienza che riguarda una piccolissima fetta di passato che non ha certo creato un presente esaltante.


giovedì 5 giugno 2014

Ma siete sicuri che convenga insistere sul fatto che le risorse umane sono strategiche?

di
Francesco Zanotti


Eh, sì! Perchè si rischia di tirarsi la zappa sui piedi.
Innanzitutto si rischia l’imbarazzo davanti a qualcuno che chieda “Ma cosa significa che le risorse umane sono strategiche? Solo che sono importanti?”.
E poi si rischia che qualcuno faccia altre domande ancora più imbarazzanti …
Se le risorse umane sono strategiche, allora chi gestisce le risorse umane deve dare un contributo fondamentale allo sviluppo delle nostre imprese e del Paese tutto. Perchè non lo fa?
Meglio: perché non lo ha ancora fatto?
Ancora: perché la comunità degli HR non ha ancora sviluppato un progetto complessivo per lo sviluppo del nostro Sistema Paese?
Da ultimo, si rischia che, nell'attendere risposte a queste domande questo qualcuno se ne ponga un’altra. Ma coloro che parlano di strategicità delle risorse umane cosa conoscono di quella disciplina che si chiama strategia d’impresa? E’ questo il patrimonio di conoscenze attraverso il quale si capisce come e dove le risorse umane sono strategiche.
E concluda con un’ultima domanda che è un dubbio che, per ora, si tiene dentro: ma non è che l’affermare che le risorse umane sono strategiche è solo un espediente retorico per giustificare un ruolo che riesce sempre meno a giustificarsi altrimenti?


martedì 3 giugno 2014

Paura della conoscenza: una proposta

di
Francesco Zanotti


Troppi manager (e consulenti) stanno combattendo (forse inconsciamente?) una battaglia contro la conoscenza.
Infatti, è evidente che vi sono conoscenze che sono assolutamente indispensabili per governare le organizzazioni.
Le scienze cognitive servono per capire l’origine dei comportamenti delle persone.
Le scienze psicologiche e sociali per comprendere la dimensione relazionale delle organizzazioni.
La filosofia del linguaggio per capire le dinamiche comunicative.
L’antropologia e l’estetica per comprendere la dimensione simbolica delle organizzazioni.
Dobbiamo anche aggiungere le scienze della natura e la filosofia per capire le visioni del mondo possibili. Le visioni del mondo servono a comprendere e cambiare le nostre convinzioni profonde che guidano le nostre logiche di governo.
Ed è altrettanto evidente che nessuno dei manager e dei consulenti attuali dispone di questa conoscenze.
Ma il problema non è tanto la non conoscenza quanto il tentativo (certamente non etico) per dimostrare che queste conoscenze non servono!

Si cerca di sostituire la conoscenza con esperienza ed intuito. Ma si tratta di un tentativo paradossale. Anche esperienza ed intuito sono frutto di teorie. Sono frutto di teorie cognitive, psicologiche sociali, antropologiche etc personali. Come a dire: butto a mare lo sforzo di tutti coloro che hanno sviluppato queste aree di conoscenza e vi sostituisco i risultati del mio personale e limitato sforzo di razionalizzazione. Il paradosso è che in realtà non si nega la conoscenza, ma si dichiara che la conoscenza personalmente sviluppata è molto meglio di tutta la conoscenza che secoli di ricerca e sperimentazione di popolazioni di scienziati e filosofi.
Perché questo paradosso?
Perché sostanzialmente si ha paura che, se si riconosce essenziale una conoscenza che non si possiede e che viene giudicata inaccessibile, si metta in pericolo il ruolo manageriale o gli incarichi consulenziali di coloro che questa conoscenza non possiedono.

La domanda che viene da farsi è: ma questa conoscenza personale è sufficiente a garantire lo sviluppo delle nostre imprese e, allargando il discorso a tutta la classe dirigente, lo sviluppo di tutta la società? No! Il rifiuto di una conoscenza profonda, il centrare tutto sulla abilità o sensibilità personale ha creato quelle prassi collusive e conflittuali che stanno bloccando lo sviluppo di tutto.

Ma il post vuole essere di proposta. Cari manager e consulenti, non abbiate paura. E’ possibile disporre in tempo brevissimo di una sintesi finalizzata, che si conclude con una precisa proposta di una nuova modalità di governo di tutte le organizzazioni in un tempo molto breve.
Perché rifiutarsi?

Cari manager, cari consulenti, dateci una mano a combattere pro e non contro la conoscenza.

domenica 1 giugno 2014

Lettera aperta a Vittorio Colao

di
Francesco Zanotti


Egregio dottore,
ho letto in un angolo nascosto del Sole 24 Ora il resoconto di una sua intervista al Festival dell’Economia. Serve un management colto, che capisca la tecnologia e che viaggi.
Mi faccia fare qualche riflessione sul “colto”, dopo sulla tecnologia e sul viaggiare.
Le propongo una “misura” di questo essere colto. Prenda il complesso delle conoscenze strategico organizzative disponibili e verifichi quante di esse solo nella disponibilità del management. Se questa disponibilità è bassa, allora diventa urgentissimo colmare questa mancanza, non crede?
Ma l’essere “colti” non riguarda solo le conoscenze strategico-organizzative. Certo. Ed allora parliamo delle “tecnologie”. Le tecnologie digitali sono, innanzitutto, fondate sulla nuova fisica, non sulla fisica classica.  Tutti i dispositivi a stato solido sono fondati sulla fisica quantistica. Ora la fisica quantistica è il fondamento di una nuova visione del mondo che sta portando una rivoluzione proprio nelle conoscenze strategico organizzative.  Allora essere colti significa anche conoscere la rivoluzione che sta portando nella conoscenza umana l’avvento della fisica quantistica. Poi: tutti i dispositivi digitali sono macchine di Turing. Non si comprende fino in fondo la tecnologia digitale se non si conoscono struttura, prestazioni possibili e limiti della macchina di Turing.
Anche in questo caso: quanto è diffusa la conoscenza che sta al fondo delle tecnologie digitali quanto è diffusa la percezione che questa nuova conoscenza non ha solo una dimensione tecnica, ma sta rivoluzionando profondamente le scienze naturali ed umane, il modo di pensare strategia ed organizzazione? quanto ad esempio, è diffusa la consapevolezza che la fisica quantistica può essere alla base della capacità di comprendere l’origine dei comportamenti delle persone?
Ed arriviamo al viaggiare. Certo la conoscenza di tutti i popoli e le cultura della terra è importante. Ma non la si ottiene certo saltabeccando da una parte all'altra del mondo visitando aeroporti ed uffici tutti uguali

Concludo con la metafora del viaggio: la cosa più urgente è organizzare viaggi nella conoscenza …