"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

lunedì 26 novembre 2012

Agostino e l’organizzazione


di
Francesco Zanotti


Il problema che voglio affrontare è quello del ”capire” l’organizzazione. Il capire non può essere semplicemente un “leggere” oggettivo. Un paio di mille anni di ermeneutica ci hanno insegnato che il leggere è, almeno, interpretare. Anche molto di più, a dar credito alla fisica quantistica che è quel gruppo di conoscenze che permette a tutti noi di usare i computer che servono a scrivere, inviare, ricevere, “leggere” (un leggere che è sempre interpretare).
Ma fermiamoci all'interpretare.
E poniamoci il problema, credo interessante, di interpretare l’organizzazione.
Per affrontarlo … ascoltiamo Agostino, Vescovo di Ippona … Heidegger sostiene che Agostino ha costruito la prima proposta ermeneutica di “spessore filosofico” e non meramente filologico.
Agostino, sostiene che ogni testo è parola esteriore, quella fissata in un manufatto che rende, appunto, manifesto il testo. Ma è anche parola interiore. La comprensione di un testo è profonda solo se si arriva a comprendere la parola interiore che l’ha generato. Per arrivare a comprendere la parola interiore è necessario un contesto di carità. Lasciamo stare il fatto che Agostino sta cercando di comprendere lo schema teologico dell’Incarnazione. Ma arriviamo e fermiamoci all'organizzazione.
Essa è certamente costituita da un manufatto esteriore: l’organizzazione formale. Ma è anche fatta da una identità interiore: l’organizzazione informale che ne costituisce la parola profonda, originaria. che non può essere esaurita da nessun testo, da nessuna formalizzazione. E’ da questa identità interiore, dunque profonda, che scaturiscono i comportamenti delle persone che costruiscono un’altra organizzazione visibile: quella visibile ad esempio da clienti e stakeholders.
Se Agostino ha ragione, per comprendere l’identità profonda, la parola interiore, di una organizzazione occorre un contesto di carità.
Fuori di metafora (ma è davvero solo una metafora?) per comprendere (io dico: per costruire) l’organizzazione informale occorre che chi vuole comprendere, almeno, si immerga profondamente (ma l’immergersi profondamente non può che generare amore o il suo contrario: l’odio) nella organizzazione informale. E questo non può essere fatto attraverso report ricchissimi di numeri, ma privi del tutto di anima.
Occorre arrivare all’identità interiore, alla parola profonda. Quella che Steve Cummings, docente di strategia alla Wellington School of Management, definisce l’Ethos di una impresa…

lunedì 19 novembre 2012

Cattive abitudini e una proposta per superarle


di
Francesco Zanotti

Avrete tutti ascoltato qualche consulente presentare i propri metodi con enfasi, passione …
Ebbene non accade mai che in queste presentazioni si faccia riferimento allo stato dell’arte delle conoscenze strategico-organizzative. Cioè alla miglior conoscenza socialmente disponibile. Ed allora accade che si affastellino proposte su proposte che un “valutatore” (un manager che volesse comprare, per dirla esplicita) non sa come gestire, come confrontare.
Credo che sia una “pratica” da superare. I manager hanno il diritto di poter valutare una proposta rispetto allo stato dell’arte delle conoscenze strategico-organizzative esistenti.
Propongo che tutti noi consulenti ci si impegni a presentare le nostre proposte all’interno di una visione (a livello internazionale, ovviamente) dello stato dell’arte delle conoscenze strategico-organizzative. Che i manager non posso costruirsi da soli perché non fanno e non devono fare il mestiere del ricercatore. Cosa che, invece, il consulente deve fare.
Sarebbe un progresso utile a tutti, anche ai consulenti perché non credo che un manager abbia tanta voglia di comprare solo l’esperienza di qualche collega che ha smesso di fare il manager.

giovedì 15 novembre 2012

Non date obiettivi, chiedete sogni


di
Francesco Zanotti

Siamo assediati da miti, leggende metropolitane, se volete, intorno a cosa debba fare un buon manager.
Uno dei miti più deleteri è quello di fissare obiettivi. Se un manager fissa obiettivi, in realtà, impone a tutti i limiti dei suoi orizzonti (nessun uomo ha orizzonti infiniti), al di là dei quali non vede e al di là dei quali non porterà certo la sua organizzazione.
Se, poi, dopo aver definito gli obiettivi, li negozia, allora si cade dalla famosa padella nell'altrettanto famosa brace. Infatti, il processo di negoziazione genererà obiettivi ancora più ristretti di quelli (inevitabilmente ristretti) che il manager aveva definito per conto suo. Per forza: in una negoziazione occorre pur mollare qualcosa. E’ il costo della “partecipazione” …

Una via alternativa è quella di “lavorare con i sogni". Chiedete alla vostra gente di sviluppare sogni e di indicare come realizzarli. Fatevi provocare dai loro sogni. Poi mettete insieme tutti questi sogni in un disegno complessivo.

Ovviamente occorre avere un metodo per stimolare sogni e poi sintetizzarli in un sogno comune. Ma i metodi ci sono. Le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa ne sono una fonte preziosa.  Il solo problema è il coraggio di uscire da ogni pretesa autarchica, cercarli, impararli ed usarli. Imparare ed usare un metodo che non si conosce non è un disonore.

Se perseguire sogni vi troverete a raggiungere risultati che, altrimenti, non sareste certo riusciti neanche ad immaginare …

lunedì 12 novembre 2012

Cosmologia e direttività


di
Francesco Zanotti

La tentazione ce l’abbiamo tutti …
Va bene la partecipazione, ma dopo. Prima sappiamo noi quali sono i quattro cambiamenti fondamentali da attuare. Poi, quando questi cambiamenti saranno in atto, potremo pensare a tutta la partecipazione che vogliamo.

Ecco, l’esperienza ci dice che non accade proprio così. Quei quattro cambiamenti, tanto più sono importanti, tanto più rischiano di scatenare resistenze etc.

Forse il mondo è cattivo? No, credo che la spiegazione possa essere un’altra.

Una prima indicazione di una nuova possibile spiegazione ci viene dal fatto che i quattro cambiamenti che vogliamo realizzare riguardano sempre la parte formale della organizzazione… Ma dobbiamo andare oltre…

Mi si permetta un piccolo interludio.
Noi siamo le nostre risorse cognitive. In particolare, siano i linguaggi ed i modelli di cui disponiamo … Se ci troviamo di fronte a resistenze irragionevoli a cambiamenti che sembrano convenienti per tutti, forse dobbiamo cambiare i nostri linguaggi e modelli di riferimento.
Noi ci proponiamo di usare le scienze naturali ed umane che si sono sviluppate nell'ultimo secolo e che oggi non vengono usate come serbatoio di nuovi linguaggi e nuovi modelli per guardare diversamente al mondo che oggi ci sembra fatto di crisi, scoprire che esso è invece popolato di mille potenzialità di nuovi mondi e progettare come realizzare qualcuno di questi nuovi mondi.

Sfruttiamo questa volta la cosmologia inflazionaria. Essa ci “rivela” che, con la direttività un po’ brutale, ci precludiamo mondi che ci sono essenziali.

Due note di cosmologia inflazionaria …
Tutti conoscono il modello del Big Bang. Ma forse non tutti sanno che esso è oramai giudicato troppo grossolano. A partire dagli anni ’80 (quindi, non ieri) esso è stato “completato” con un approccio definito “inflazionario”.

Più o meno afferma questo: per far nascere l’universo non è più necessario che tutta la materia di cui sarà costituito sia concentrata in qualcosa di simile ad un punto che esplode, appunto, in un grande botto. Basta solo un primo seme (10 grammi) di un “campo inflazionario” (che è qualcosa tipo l’antigravità) schiacciato in un volumetto di 10⁻²⁶ cm di lato.
Questo campo inflazionario scatena un’espansione velocissima (definita, appunto, inflazionaria) dalla quale nasce l’universo, utilizzando l’energia del campo inflazionario stesso, che sembra virtualmente infinita.

Supponete ora che si posa costruire un “contenitore” che riesca a frenare questo processo inflazionario. Che tenti di tenerlo racchiuso in quegli angusti 10⁻²⁶ cm. Ci si potrebbe riuscire, ma non completamente. Il campo inflazionario “gocciolerebbe” fuori creando universi che si staccherebbero dal nostro universo senza più poter dialogare con esso.

Dalla cosmologia all’organizzazione … 

giovedì 8 novembre 2012

Talent Management... e le "capre"?


Tre domande scomode alla Direzione del Personale
 (da parte di un immaginario Amministratore Delegato)
di
Luciano Martinoli

Di ritorno da un convegno, tra l'altro ben organizzato, di tecnologia per la Gestione Risorse Umane, mi sono venuti in mente tre quesiti.
Sono temi ricorrenti nella stampa specializzata (e non) e nelle pubblicità di servizi e prodotti del settore. Anche se molti Direttori sorrideranno leggendoli, trovandoli approssimativi e distanti dalla realtà, dovranno ammettere che non possono essere solo frutto dell'immaginazione dei media o dei fornitori di tecnologia informatica. Un riscontro nella realtà, una richiesta dal mercato ci dovrà pur essere.
Per poterle meglio formulare mi sono immaginato neo Amministratore Delegato di una ipotetica azienda che avesse realizzato queste politiche di tendenza (con annessi supporti tecnologici). Perdonatemi la crudezza di alcuni passaggi, non è rivolta a nessuno e ha il solo scopo della chiarezza. Prendetela per le parole del folle che tutto dice e, nella sua follia, forse, sotto sotto, rivela anche qualche verità (a volte scomoda).
Ecco dunque di che si tratta.

mercoledì 7 novembre 2012

Per un’etica della conoscenza


di
Francesco Zanotti

Questo post vuole avviare un processo di costruzione sociale di un’etica della conoscenza a servizio di consulenti di direzione e manager. Io credo che la costruzione di un’etica della conoscenza possa avvenire, soprattutto in Italia, Paese esperto di Rinascimenti (di metodologia e pratica di Rinascimenti) e da sempre terra di mezzo tra civiltà. Il dotare la consulenza italiana di un’etica della conoscenza le darebbe un “vantaggio competitivo” a livello internazionale.

Questo post intende offrirsi come assolutamente iniziale e provvisorio appunto per cominciare a costruire un’etica della conoscenza.

Esiste uno stato dell’arte della conoscenza strategico-organizzativa e della conoscenza umana (scienze naturali ed umane) che dovrebbe costituire il background comune di tutti coloro che si propongono come consulenti di direzione.
Ogni proposta culturale o di servizio al management che opera all'interno delle imprese dovrebbe fare riferimento allo stato dell’arte, a livello internazionale, della conoscenza strategico-organizzativa. Potrebbe anche riferirsi ad una singola scuola di pensiero (credo che sia rischioso riferirsi ad un solo Autore), ma dovrebbe specificare perché trascura o contesta le altre. Ovviamente potrebbe anche proporre una nuova scuola di pensiero, ma non senza indicarne gli elementi di novità rispetto allo stato dell’arte della conoscenza. Noi ci stiamo impegnando a costruire una sintesi della cultura strategico-organizzativa a livello internazionale che possa fungere da riferimento sia per consulenti che per manager. Per i consulenti come base per andare avanti a costruire ulteriore conoscenza. Per i manager come griglia di valutazione delle proposte che ricevono.

Ogni proposta (culturale o di servizio) dovrebbe fare riferimento alla visione del mondo che la ispira. Una possibile macro-griglia di riferimento potrebbe essere la seguente: si usa una visione del mondo classica (il mondo esiste fuori di noi e indipendente da noi), post-moderna (ogni nostra costruzione mentale è interpretazione contestuale) o quantistica (noi siamo costruttori di mondi che scegliamo tra gli infiniti mondi possibili).
L’esperienza è un capolavoro personale, l’opera d’arte della vita di ogni uomo, ma non dovrebbe essere considerata una base sufficiente per una proposta di servizio.
I “mestieri” di manager e consulente sono radicalmente diversi. E difficilmente intercambiabili.
Il consulente fornisce risorse cognitive e metodologiche (fornisce conoscenza), il manager usa questa conoscenza per ottenere risultati. Meglio: per ottenerli insieme alla sua organizzazione con la quale condivide la conoscenza di riferimento (che ha scelto e che continua a rinnovare grazie al lavoro di ricerca dei consulenti) perché i risultati di un gruppo sociale (come una organizzazione) non sono mai ottenuti da un singolo individuo.
La ricerca continua è un dovere professionale di ogni consulente che dovrebbe almeno una volta l’anno produrre un rapporto che descriva il suo contributo specifico allo sviluppo della conoscenza strategico-organizzativa. Questo rapporto dovrebbe essere il metro di giudizio che su di lui si fa il mercato.

Rileggendo questi primi appunti non può non saltare all'occhio che si tratta di principi che sono già riconosciuti in ogni professione… Un fisico, un ingegnere, uno psicoanalista (così per scegliere tre professioni non certamente omogenee) condividono la convinzione che esista una conoscenza sociale di riferimento che debba costituire il background della professione e tutto il resto …

lunedì 5 novembre 2012

La mancata crescita non è un problema di sistema … ma di mancanza di conoscenza


di
Francesco Zanotti

L’avevo ritagliato … ma era rimasto nel dimenticatoio. Vale, però, la pena di riprenderlo e commentarlo. E’ un articolo del Prof. Severino Salvemini (Corsera 17 ottobre 2012) che sostiene una tesi molto simile a quella che proponiamo da tempo. Anche se manca la proposta conclusiva.
Egli sostiene che la mancata crescita non dipende da disfunzioni del sistema, come sostengono i macro-economisti … Aggiungo io: e di che altro potrebbero sostenere i macroeconomisti, visto che si occupano di macroeconomia? Le nostre “competenze” sono la nostra ricchezza, ma anche il nostro limite …
Non dipende da disfunzioni del sistema, ma da carenze di progettualità e di coraggio da parte di manager ed imprenditori.
Io sono d’accordissimo sul fatto che i fattori sistemici possono certamente dare fastidio, ma se io invento e produco oggetti tipo i-Pad, non me ne importa più di tanto di loro. Il Professore non cita Apple, ma, giustamente, imprese italiane imprenditorialmente e managerialmente eccellenti: da Zegna a Luxottica a Brembo e molte altre.
Ma credo che non ci si possa limitare ad una colpevolizzazione e ad una predica: occorre dire cosa fare.
Io credo che la variabile chiave sia la conoscenza strategico-organizzativa. Cioè le risorse di conoscenza che servono a progettare il futuro delle imprese. Quelle sviluppate empiricamente da manager ed imprenditori non bastano. Anzi, anche loro rischiano di rimanere vittima (come i macroeconomisti) delle loro risorse cognitive, delle loro “specializzazioni”. Le conoscenze strategico-organizzative sviluppate dall’accademia sono necessarie, ma non sufficienti e sono anche poco utilizzabili. E’ necessario un grande sforzo di ricerca per sviluppare nuove conoscenze strategico-organizzative e renderle disponibili a manager ed imprenditori. E’ quello che stiamo facendo. Un nostro grande progetto di ricerca ha generato una vera e propria nuova generazione di conoscenze strategico-organizzative ed i suoi risultati stanno per essere resi pubblici ..