"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

domenica 30 aprile 2017

Promozioni gerarchiche: il caso è la metodologia migliore

di
Francesco Zanotti

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I professori Cesare Garofalo, Alessandro Pluchino e Andrea Rapisarda hanno studiato il fenomeno delle “promozioni gerarchiche” e sono convinti (“hanno dimostrato” come scrive Paolo Albani sulla “Domenica” del Sole24Ora mi sembra eccessivo) che la metodologia migliore per attuarle sia il caso. Io sono convinto che abbiano ragione.

Il perché sono convinto che abbiano ragione sarà illustrato nel seminario che vedete presentato a lato di questo post: il management e il martello. Se scaricate la brochure illustrativa ve ne renderete conto. Tentando il riassunto di una tesi articolata direi questo.
Per poter selezionare, è necessario saper individuare le caratteristiche rilevanti della ”cosa” da misurare. Così si può scegliere lo strumento adatto. Altrimenti si rischia di fare sciocchezze come il volete misurare il volume di un liquido usando un metro.

Ora non esiste un modello che indichi quali siano le caratteristiche fondamentali di un essere umano che lo rendono adatto ad una certa posizione gerarchica. In realtà ogni selezionatore usa un proprio metodo delle cui validità scientifica non ha la più pallida idea. Detto fuori dai denti, alla fine, ogni selezionatore  sceglie sè stesso come criterio di riferimento. 

giovedì 27 aprile 2017

Un mondo di burattinai che perde di senso

di
Francesco Zanotti

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Anche le quinte della nostra società stanno sbiadendosi. Di più: si stanno sgretolando. Una intera ecologia di crisi sta devastando ogni dimensione della nostra vita collettiva: dai disagi esistenziali, alle crisi economiche, finanziarie, sociali, politiche, istituzionali.
Le classi dirigenti non riescono ad attivare l’emergere di una nuova società, anzi cercano di puntellare la società devastata da una ecologia di crisi.
Gli innovatori sono persone degnissime ma si limitano ad innovazioni piccole piccole. Come i burattinai trasgressivi che costruiscono solo folklore e non futuro.

Anni ’50, bassa padana. Giovanni è l’uomo degli spettacoli di marionette. Un puparo cantastorie lombardo. Egli disegna e costruisce le sue marionette, disegna e costruisce le quinte dove le marionette vivranno le loro storie. Si immagina le storie straordinarie che farà rappresentare dalle marionette  E, poi,  fa vivere queste storie muovendo le marionette e deliziando un pubblico sempre ingenuo. Alla fine prende due soldi e mille abbracci dal suo pubblico che si immedesima nelle sue storia e lo applaude perché gliele ha fatte vivere. Un pubblico che sempre è marionetta di qualche altro teatro.
E così Giovanni se ne va di paese in paese, di storia in storia, di teatrino in teatrino, di spettacolo in spettacolo tra le nebbie di quella bassa padana che è diventata le quinte della sua vita.

Ma da un po’ di tempo sta diventando tutto diverso, peggio. Non è solo nell’aria non c’è nulla di nuovo. Ma tutto sembra vecchio ...

martedì 25 aprile 2017

Esorcizzare le scienze naturali ed umane …

di
Francesco Zanotti

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Il management si occupa dell’uomo all’interno di un’organizzazione (un’ambiente formale e informale). Le scienze naturali e umane si occupano dell’uomo all’interno di sistemi formali e sociali. Cioè il management e le scienze umane e naturali si occupano della stessa cosa … Perché, allora, chi si occupa di management snobba completamente le scienze naturali e umane?

Una delle risposte che mi sono dato è la paura esorcizzata con il silenzio. Mi spiego. Il manager (ma anche il consulente) vive in un ambiente competitivo. Intendo non la competizione tra imprese, ma la competizione tra le persone per i posti manageriali. Per vincere questa competizione i manager giocano il gioco dell’essere bravi. E’ una declinazione di quella stupidità scientifica che è il discorso dei talenti. Per giocare questo gioco è un grave handicap ammettere che esiste una conoscenza rilevante (la scienze naturali ed umane) di cui non si dispone. Cercare nuove conoscenze e soprattutto studiare, magari sotto la guida di qualcuno, è un inaccettabile segno di debolezza. Soprattutto per i top management.
Ovviamente non si può sostenere esplicitamente che le scienze naturali ed umane non c’entrino. E allora si esorcizza la paura con il silenzio: non trattiamo neanche il tema della conoscenza che ci metterebbe in serio imbarazzo. Ci costringerebbe proprio ad ammettere che è necessario fare proprio quelle cose quelle cose che non è possibile accettare di fare: ricercare, studiare, farsi insegnare.
Ovviamente non si può neanche sostenere (neanche con se stessi) che il conoscere è irrilevante. E allora ecco i top manager che attivano pratiche di lettura e di studio. Ma devono riguardare aree di conoscenza che non c’entrano nulla con il proprio essere manager.
Ovviamente la paura esorcizzata con il silenzio costringe le nostre organizzazioni a non poter usare le conoscenze rese disponibili dalle scienze naturali ed umane. Con grave danno al nostro sviluppo economico e sociale.

lunedì 24 aprile 2017

Alitalia: non si può costruire sul ricatto e la rabbia

di
Francesco Zanotti

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Credo che tutti voi che in qualche modo bazzichiate nel mondo delle risorse umane e dell’organizzazione dovreste condividere questo pensiero. E ribellarvi a questa prassi. In un mondo così interdipendente (e interconnesso) il silenzio è connivenza.

Io credo sia vergognoso che il Presidente del Consiglio, con il controcanto di alcuni Ministri, minacci i lavoratori dell’Alitalia: o aderite al Piano sviluppato da impresa, banche, governo  sindacati o andate a casa tutti perché Alitalia fallisce.
E’ vergognoso perché il Piano è tecnicamente povero (sviluppato senza usare le più avanzate conoscenze e metodologie di strategia d’impresa). E’ vergognoso perché segue una tradizione di Piani tecnicamente dilettanteschi. A partire dall’Information memorandum che ha preceduto l’ingresso degli alloro “capitani coraggiosi” nel capitale di Alitalia.
E’ vergognoso perché le probabilità che abbia successo sono zero: non può funzionare un Piano accettato per ricatto e che genera rabbia.
Che fare? Avviare, invece che una consultazione fondata su minacce, un processo di progettazione “sociale” (nel senso che coinvolga tutti i lavoratori di Alitalia) di un Piano di futuro alto e forte. E forniamo ai lavoratori le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa necessarie a svolgere questo compito.

giovedì 20 aprile 2017

Giovanni e la pietra senza dei

di
Francesco Zanotti

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La pietra ha senso solo se è un pezzo di una natura popolata da migliaia di dei.

Giovanni sta camminando per la Natura e ne è parte integrante. Sente il sole e il vento sulla pelle. Calpesta le erbe e le rocce. Raccoglie, caccia ed è cacciato…
Vede i ritmi della Natura: il giorno e la notte, le stagioni. Guarda il cielo è scopre che la Natura non ha fine. La Natura fatta di mille Dei che possono essere benigni o maligni …
Poi decide che è anche un po’ lui un dio, sia pure, forse minore, e decide che quella Natura la vuole utilizzare a proprio beneficio. E raccoglie una pietra che comincia a dare forza alla sua mano …

Giovanni guarda dall’ultimo piano del suo grattacielo, ma non vede la Natura. E’ nascosta sotto la Natura artificiale che quel suo antico raccogliere la prima pietra ha iniziato a costruire…
E si sente Dio.
Giovanni dall’alto del suo grattacielo, però, inizia a vedere la sua realtà tremolare. E poi vede alcune persone che stanno iniziando ad arrotolare il paesaggio. La città era una tela dipinta. Così come la notte fatta delle lucciole artificiali della città … Giovanni si ritrova in una Natura dove non ci sono più dei minori che danzano alla vita. Tenta da raccogliere un nuova pietra, ma non ha più la forza degli dei della natura.

martedì 18 aprile 2017

RAI: giudicare i dirigenti dai risultati???

di
Francesco Zanotti

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Oggi sul Corriere Paolo Conti si scaglia contro i tentativi di addomesticare la RAI, come la politica è usa fare. E dice chiaro e forte che i “dirigenti” vanno giudicati solo dai risultati. Ecco, ma non si possono valutare i risultati.

D’accordo evitiamo la subordinazione della RAI alla politica, ma non attraverso la strada dei risultati. Purtroppo la filosofia dei risultati è impraticabile, ma anche concettualmente troppo povera. Ecco tre ragioni che certamente non esauriscono il tema, ma che non mi sembrano banali.

La prima: risultati certo, ma ... quali?  Se prendete tre persone a caso tra quelle che hanno il diritto di definire i risultati della RAI (ma chi sono quelli che non hanno diritti sulla RAI, visto che è di proprietà pubblica?), vedrete che vi faranno tre elenchi diversi di obiettivi e spesso contraddittori tra di loro. Come scegliere quelli su cui misurare i “dirigenti” RAI? A proposito perché si usa ancora la parola dirigenti quando stanno nascendo imprese senza manager?

La seconda: tanto più i risultati sono importanti tanto meno sono misurabili. Come, ad esempio, i risultati di tipo “soft” (volete chiamarli “culturali”?).

La terza: il tempo. Ma risultati in che tempi? Il tempo è fondamentale nell’innovazione profonda. Essa appare all’inizio come un flop, come i flop veri. Se non si trova il modo di capire i tempi dell’innovazione profonda ci si costringe alla conservazione e quindi allo spegnimento.

Se non si usano i risultati come fare perché la RAI non sia subordinata alla politica? Credo che i nostri lettori conoscano la riposta: si chiama Sorgente Aperta. 

domenica 16 aprile 2017

Una richiesta di aiuto: perché la nuova conoscenza viene rifiutata?

di
Francesco Zanotti

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E’ facile dimostrare che la nuova conoscenza viene rifiutata.
Questo rifiuto è tanto più intenso (e, quindi più dannoso) quanto più le persone assumono ruoli sociali importanti. Tipico il caso del top manager. Perché accade questo e come fare? Io ho qualche prima idea .. ma non so se è corretta … chiedo aiuto ai nostri “25 lettori”.  

Che la nuova conoscenza (quella rilevante, ovviamente) venga rifiutata, soprattutto dalle classi dirigenti e massime da quelle manageriali, è indiscutibile. Basta fare l’elenco delle nuove conoscenze rilevanti e si scopre che non vengono usate.
Tipico e grave è il caso della strategia d’impresa. Questa disciplina viene affrontata solo nei corsi di formazione (paradosso: ma non ai top manager) sotto forme molto blande, solo markettare e non professionali, come Oceano Blu. I top manager usano una visione edulcorata della “ideologia” di Porter. Tanto edulcorata che quasi tutti pensano che “Competitors” sia un termine che si riferisce ai “concorrenti” mentre nella ideologia porteriana si riferisce a 5 “forze” che si oppongono al fatto che l’impresa acquisisca risorse dal mercato: i concorrenti attuali, quelli potenziali, i prodotti e i servizi sostituitivi, i fornitori e i clienti stessi.
Oltre alla strategia vi è l’esempio delle scienze umane che vengono completamente trascurate quando si parla di risorse umane di organizzazione.
Ora, è ovvio che questa trascurare è dannoso. Perché il rifiuto porta ad usare le conoscenze strategiche o sull’umano che si sono costruire con la proprio esperienza e che sono ovviamente molto più povere di quelle sviluppate dalle diverse comunità di ricerca. Per inciso, la crisi che stiamo vivendo è, a mio parere, frutto dell’utilizzo di sistemi di conoscenze troppo poveri per la complessità sociale ed economica che si è andata formando.
Ora è ovvio che questo rifiuto va superato per il bene di noi tutti. Ma per farlo è necessario sapere da dove si origina. Non certo da considerazioni di interesse perché l’usare conoscenze troppo povere non permette certo di raggiungere risultati. Ed allora?
La mia risposta è che si vede la nuova conoscenza come una minaccia al proprio ruolo sociale. Questo vale soprattutto per il top management. In un tempo in cui si crede nel mito dei talenti, come fanno un uomo o una donna ammettere che devono avere qualcosa da imparare?
Propongo questa risposta, ma sento che è non completa … cosa ne pensate?
E aggiungo, qualunque sia la spiegazione, come possiamo evitare che questo rifiuto della conoscenza continui?



venerdì 14 aprile 2017

La “fake innovation”, tra consulenti e manager

di
Francesco Zanotti

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Quale consulente dichiara di non essere un innovatore? Quale manager compra conoscenze e metodologie obsolete? E’ una cacofonia di rivendicazioni di innovazione. Una cacofonia che, per usare un linguaggio di moda, possiamo definire  oggi “fake innovation”.

Pensate che stia esagerando? Allora vi propongo quanto segue. Quando sostenete che una conoscenza o una metodologia è innovativa provate a fare una verifica a due livelli.
Il primo livello, il più semplice: andate a vedere cosa propongono gli altri consulenti e cosa comprano gli altri manager. Se quello che proponete usa un linguaggio diverso, allora avete superato la prima verifica. Se usate le stesse parole (leadership, motivazione, empowerment, empatia, decisione etc.), allora già non avete superato la prima verifica.
Il secondo livello: andate a dare una occhiata alle scienze di riferimento per quanto riguarda le risorse umane e l’organizzazione. Intendo, almeno: scienze cognitive, psicologie, sociologia e antropologia. Se non state usando nulla di queste scienze, anzi vi accorgete che state proponendo e comprando qualcosa che va contro i risultati che esse hanno raggiunto, allora non avete superato questo secondo livello. Forse siete riusciti ad usare parole nuove, ma rischia che siano espressioni verbali senza sostanza.
Se non avete superato il primo livello, converrete che non state proponendo innovazione. Se non avete superato il secondo livello state proponendo o comprando “fake innovation”. Che è come dire: bufale.


mercoledì 12 aprile 2017

Licenziare: fai in modo di non doverlo fare

di
Francesco Zanotti

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Uno dei compiti più ingrati di un Responsabile HR è oggi quello di dover licenziare. Scegliere chi licenziare, comunicarglielo …
Ecco a me sembra che un Responsabile HR si dovrebbe chiedere: cosa ho fatto io per non essere costretto a licenziare?
Le risposte possibili sono due.
La prima è quella di dare la colpa al fato: la crisi et similia. Questo equivale ad affermare: io non ci potevo fare nulla. Bene, sostenere questa tesi è come sostenere che non si ha alcun ruolo nello sviluppo strategico dell’impresa. Per favore, chi lo sostiene almeno abbia il coraggio di non parlare più del ruolo strategico delle risorse umane! E si aspetti di essere sostituito da una qualche società di outplacement che, almeno, aiuta chi viene licenziato.
La seconda risposta è quella di capire cosa si può fare per non essere costretti a licenziare. Vi sono due cose da fare.
La prima cosa da fare è quella di aumentare la qualità della progettualità strategica in modo da rinnovare radicalmente l’identità strategica dell’impresa. Mi si potrebbe obiettare: ma che c’entra il Responsabile delle risorse umane? La risposta è semplice: è l’unica figura che può cercare e fornire al top management le risorse cognitive che possono permettergli di moltiplicare la sua capacità progettuale: le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa. Oggi esse non sono nella disponibilità del Top management.
La seconda cosa da fare è quella di aumentare le prestazioni dell’organizzazione. Anche in questo caso il Responsabile delle HR può aiutare a raggiungere questo obiettivo cercando le risorse cognitive necessarie: sono le conoscenze e le metodologie suggerite dalle scienze naturali ed umane che oggi sono completamente trascurate.

Ma sono due cose a cui il Responsabile HR non è né abituato né formato. Beh, ma in un periodo di passaggio da una società ad un’altra capita inevitabilmente a tutti. Non c’è per definizione nessuno imparato. Ma il compito di tutti è la ricerca continua di nuove conoscenze, nuovi ruoli ...

domenica 9 aprile 2017

Il “disastro” delle PMI come back-up occupazionale

di
Francesco Zanotti

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Ti hanno più o meno gentilmente spiegato che “non è cosa”? Cioè che non servivi più in quella grande impresa? Allora diventi consulente delle piccole e medie imprese. Un disastro peggio del venire meno del credito bancario …

Come sempre quando si parla del peccato si può anche parlare del peccatore, ma anonimamente.
Leggo (non dico dove e non dico quando) di qualcuno che, interrotto il rapporto di “managerialità” (non specifico in che area) con una multinazionale, fa la scelta di vita di trasferire il bagaglio di competenze sviluppato in quella multinazionale nel mondo delle PMI.
Per carità, è legittimo cercare un altro lavoro quando si viene buttati fuori, ma non è lecito cercare di fare danni.
Infatti, le conoscenze e le competenze sviluppate anche nella miglior “multinazionale del mondo” (concetto messo tra virgolette perché solo mitico) sono oggi da ripensare.
Due citazioni: una professionale e una di una persona dall’autorevolezza oggi universalmente riconosciuta.
La citazione professionale: “This will require a hunt for new management principles in field as diverse as anthropology, biology, design, political science, urban planning and theology” (Gary Hammel, What matters now, 2014).
Una citazione più autorevole: “Queste situazioni provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta … … Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi.” LETTERA ENCICLICA LAUDATO SI’ DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE 2015.

Allora il mio caro manager in cerca di riciclo, prima di tutto, devi ripensare il tuo passato non cercare di farlo diventare (irragionevolmente) il futuro di qualche PMI.
E, poi, le PMI hanno bisogno di nuove conoscenze e metodologie di strategia d’impresa che sono le risorse cognitive necessarie alla loro “re-impreditorializzazione”. Non di qualche brandello di presunta specializzazione.

Detto più brutalmente, non serve loro, ad esempio, che qualcuno cerchi di trasferire le best practices di gestione delle risorse umane di una multinazionale in una PMI.