"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 25 novembre 2015

Più stabile di un diamante?

di
Francesco Zanotti
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Un diamante è per sempre … in condizioni “normali” non muta mai … Poi in condizioni “estreme” ... invece sì! Si può anche trasformare in grafite …
Ma perché parlo del diamante? Per cercare una delle cose più stabili … (in realtà è in equilibrio meta-stabile).
E per provare a confrontarlo con la risorsa umana: oggi la consideriamo ancora più stabile del diamante. Conoscibile, quindi, di una conoscenza che non cambia. La si analizza (la risorsa umana) in termini di competenze potenziale, valori. Si registra da qualche parte questa descrizione e la si recupera quando la si vuole. Immaginando che rimanga sempre uguale a se stessa, almeno fino a quando non la “tagliamo”, non la “lavoriamo” con la formazione, l’empowerment …
Non prevediamo l’esistenza di nessun tipo di “condizione estrema”: SAP non ha la “casella” delle condizioni estreme. Soprattutto non pensiamo che una persona possa auto evolvere.
Pensiamo, però, sbagliato perché la risorsa umana è quasi tutto il contrario. Non ha alcuna stabilità, anzi evolve autonomamente. Quando proviamo a lavorarla, reagisce in modi del tutto imprevedibili. Se il diamante è per sempre, la persona umana non è neanche per un attimo …


domenica 22 novembre 2015

Liberare i manager con il controllo sociale

di
Francesco Zanotti

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Oggi il manager ha in mente essenzialmente il suo Capo. A lui riferisce e si riferisce. Questo rapporto rischia di degenerare nel “doppio legame” di Bateson che non è necessario spiegare ai manager che sono certamente competenti di “umanità” e delle conoscenze che sull’umano sono disponibili …
Oppure no? Forse, no. Ma senza colpe. Il fatto che esista questo doppio legame non motiva, anzi impedisce al manager di occuparsi di altro: lo assorbe completamente. La conoscenza, l’innovazione e le persone rimangono sullo sfondo, quasi disturbi.
Occorre allora liberare i manager.
Uno strumento possibile è un controllo sociale della loro attività perché si orienti alla conoscenza alla innovazione, alle persone.
Da parte dei sindacati che, però, per primi devono orientarsi alla conoscenza, alla innovazione, alle persone.
Da parte delle persone che vivono nell’organizzazione che, però, pure loro, devono orientarsi alla conoscenza, alla innovazione. Ed alla responsabilità di educazione nei confronti del management.
Da ultimo, da parte dei Soci che hanno interesse estremo al fatto che manager, sindacati e persone siano insieme orientati alla conoscenza, alla innovazione ed a un dialogo profondamente umano per costruire sviluppo.


mercoledì 18 novembre 2015

L’occupazione come “segnalatore indipendente”

di
Francesco Zanotti

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Parliamo di banca, ma poi subito dopo generalizziamo.
Il contratto del lavoro dei bancari, dice il Sole 24 Ore di oggi in un articolo a firma Cristina Casadei, parte male. Tutto in salita.
Cronachisticamente è rilevante l’attacco personale di Lando Maria Sileoni, il Capo della FABI a Lodesani che rappresenta le banche. Dice Sileoni: Lodesani ha affrontato in maniera superficiale, con poca conoscenza del settore e con poca voglia e tempo di imparare le varie problematiche.”.

Lasciando la cronaca, Sileoni ha proposto una prospettiva che rieccheggia lo slogan degli anni ’70: il salario (lo stipendio) come variabile indipendente. Rieccheggia perché oggi le affermazioni sono meno drastiche. Sileoni sostiene che gli esuberi vanno gestiti attraverso l’individuazione e il riconoscimento di nuove attività e nuove professioni. Cioè: rifiutando il concetto di “esuberi”.

Che pensare? Che Sileoni ha ragione. A patto di precisare strategicamente la sua affermazione.
L’occupazione è un segnalatore della solidità sia della Banca che di qualunque altra impresa.
Un’impresa che ha successo aumenta la qualità e la quantità dell’occupazione. La riduzione dell’occupazione e il peggioramento delle condizioni di lavoro sono un segnale della crisi di una impresa. Ogni riduzione di personale ne richiama un’altra dopo poco tempo.
L’occupazione deve diventare l’obiettivo prioritario nei Business Plan delle imprese. Solo Business Plan che aumentano qualità e quantità dell’occupazione aumenteranno anche la capacità dell’impresa di generare valore per gli azionisti.
L’occupazione diventa il segnalatore strategico fondamentale.


lunedì 16 novembre 2015

La costruzione sociale del Business Plan elimina “comunicazione” e “formazione”

di
Francesco Zanotti

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“Comunicazione” e “formazione” hanno stufato. Nella formazione e nella comunicazione si sono formare burocrazie (tecnicamente, sistemi autopoietici) manageriali e professionali che hanno come unico obiettivo quello di mantenere loro stesse.
Ma allora le imprese non devo raccontare di loro stesse e le persone non devono apprendere?
Ovviamente no. Ma possono farlo in modo diverso, non considerando più “formazione” e “comunicazione” come attività specialistiche da affidare a specialisti nell’ambito di realtà antropologiche artificiali.
La costruzione sociale del Business Plan è l’alternativa che propongo.
Alla fine, la strategia è fatta dai comportamenti (operativi e relazionali) delle persone, a tutti i livelli.
Cosa vuol dire, quindi, fare progettazione strategica? Fare in modo che i comportamenti delle persone siano coerenti e coordinati per costruire nuovi mercato, una nuova socialità ed una nuova organizzazione. Concretamente, cosa si può fare?
Oggi prevale una logica direttiva (le attività di formazione e comunicazione sono sostanzialmente attività direttive. Asimmetriche, dal punto di vista del potere, tra chi le propone, le gestisce e chi le subisce). Si fa un Business Plan e poi lo si comunica e si formano le persone per realizzarlo …  Beh “quasi” perché voglio vedere un Business Plan che descrive le attività di formazione e le finalizza a generare i nuovi comportamento che realizzeranno il Business Plan.
Ora, un Business Plan generato direttivamente non può certo prevedere i comportamenti di chi opera nell’organizzazione (stakeholder interni) e da chi opera all’esterno (stakeholder esterni). Contiene solo indicazioni generali. Ma questo significa che stakeholder interni ed esterni devono decidere in autonomia che comportamenti adottare. E, poiché le singole persone (all’interno ed all’esterno dall’organizzazione) dispongono di risorse cognitive molto diverse le une dalle altre, si assisterà ad una cacofonia di comportamenti che realizzeranno una strategia emergente che tende ad essere molto diversa da quella immaginata da chi ha scritto il Business Plan.
In alternativa: so faccia in modo che il Business Plan venga progettato socialmente da stakeholder interni ed esterni. Il top management sia fornitore di conoscenze e generatore di sintesi. Si faccia in modo che questa progettualità sociale sia continua. In questo modo ci si garantirà una sinfonia sociale invece di una cacofonia di povere sonate personali.

E non sarà necessaria alcuna comunicazione e formazione artificiali. Il processo di costruzione sociale del Business Plan sostituisce anche le attività di Stakeholder Engagement e di Investor Relations. Tutti a realizzare la stessa strategia. Possibilmente imprenditoriale.

giovedì 12 novembre 2015

Ricerca, tristezza e ingenuità.

di
Francesco Zanotti

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Ricerca
Gary Hamel è uno dei guru riconosciuti del management.
Leggendo il suo libro “What Matters now” ho trovato una affermazione che è scaturita da un nutrito gruppo di ricercatori e indica una grande direzione di ricerca “Per costruire il Management 2.0 noi .. dobbiamo sfruttare le idee di artisti, filosofi, designer, ecologisti, antropologi  teologi”.
Essa risuona con una affermazione di Papa Francesco nella sua Laudato sì: “Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi”.
L’esigenza di una ricerca, l’ipotesi di una strada di ricerca. Un percorso che come sanno i lettori di questo blog noi abbiamo già intrapreso e ci ha portato a concludere che “Formazione, cantieri di cambiamento e attività di gestione delle risorse umane sono attività specializzate che rompono l’organizzazione in frammenti autoreferenziali che ne compromettono efficacia, efficienza e sviluppo …”.
E, poi, siamo anche andati avanti a fare la proposta di un nuovo modello di management che realizza quanto Hamel e Soci hanno auspicato rendendo cimeli del passato formazione, cambiamento e gestione delle risorse umane.

Tristezza
Mentre, a questo punto, posso dire che tutto il mondo invita a percorrere la strada della ricerca e della conoscenza, in Italia trovo troppo spesso libri che si ispirano troppo pesantemente (riportare traduzioni senza dire che sono tali etc.) e poco profondamente ad autori stranieri. Non cito né peccato né peccatore perché non ho voglia fare polemiche personali.  L’ho fatto in passato.

Ingenuità
Di quei manager che acquistano conoscenze “pesantemente ispirate” pensando di comprare innovazioni originali.

Una offerta: noi mettiamo a disposizione una mappa che cerca di sintetizzare le più avanzate conoscenze non solo manageriali, ma anche nelle aree di conoscenza citate da Hamel.
Essa può essere una guida perché i manager sappiano trovare le più avanzate conoscenze e sappiano chi le ha generate.


lunedì 9 novembre 2015

Leadership significa Business Plan

di
Francesco Zanotti

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Qualche giorno fa è uscito sul Sole 24 Ore uno studio di Korn Ferry che avrebbe dovuto avere maggiore spazio.
Secondo quando riferisce il giornale, la ricerca di Korn Ferry ha dimostrato che “nonostante lo sviluppo di top manager con una visione strategica sia prioritario per tutte le aziende, solo il 17% degli intervistati ha dichiarato di avere piena fiducia nelle capacità dei leader in carica  di   dimettere in atto i cambiamenti necessari per il Business:”.
Riflettiamo sulla leadership. Se cercate per la letteratura (quella  seria scientifica) trovate decine di “modelli di leadership”. Lo studio, però, suggerisce una modalità diversa di affrontare la leadership: non cerchiamo di definire cosa è la leadership. Cerchiamo di capire cosa deve fare un leader per essere riconosciuto e guidare il processo di sviluppo dell’impresa.
A me sembra che la risposta sia chiara e fino ad ora non sia mai stata evidenziata a causa della sciocca specializzazione delle conoscenze manageriali. “Ah io mi occupo di risorse umane, non so nulla di strategia.”, dice il responsabile di HR medio. E chi non lo dice, credo che … ecco credo non dica la verità.
Proviamo, invece, a mettere insieme conoscenze strategiche, cognitive, psicologiche, antropologiche. La conclusione è una sola: il leader deve guidare la sua organizzazione alla progettazione continua e sociale di business plan alti e forti. Riuscirà, contemporaneamente, ad eliminare tutte le altre attività di gestione delle risorse umane e costruire un percorso di futuro lungo la quale l’organizzazione camminerà con entusiasmo.


venerdì 6 novembre 2015

Cosa conta il Direttore del Personale?

di
Francesco Zanotti
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Alla prova dei fatti …
Ogni tanto il Sole 24 Ore presenta la “squadra” dell’Amministratore Delegato di qualche impresa. Bene, fino ad ora, solo nel caso di Finmeccanica nella “squadra” di Vertice è inserito il Direttore del Personale: il Dott. Domenico Braccialarghe. Negli altri casi no!
Quando si trova qualche imprenditore particolarmente innovativo (Gruppo Loccioni) e si chiede al Grande Capo che ruolo assegna al Direttore del Personale, dice che, semplicemente, non ce l’ha. Perché le persone le gestisce e deve gestirle la linea, visto che stanno per quasi tutto il loro tempo lavoro nella linea.
Se si parla personalmente con qualche Direttore del Personale spesso si percepisce stanchezza, incertezza, delusione.
Io sono un grande sostenitore del ruolo del Direttore del Personale, ma credo che serva davvero una rivoluzione. E non è certo la rivoluzione delle tecnologie proposta enfaticamente nei dibattiti pubblici.

Quale altra direzione? Un direttore del personale una volta mi ha detto: il bello della nostra professione è che non ci sono conoscenze e procedure di riferimento. Ecco sta proprio lì il problema. Il Direttore del Personale si considera immune dalla conoscenza. Dovrebbe essere invece il Sacerdote della Conoscenza. Che garantisce alla sua impresa le migliori conoscenze, non tecnologiche (spetta ai tecnici) per gestire le dimensioni umana, sociale e antropologica delle imprese. Oggi queste conoscenze sono del tutto trascurate: le imprese vengono gestite come se le scienze naturali ed umane non esistessero o non dessero alcun contributo alla comprensione ed alla gestione delle loro dimensioni umana, sociale e antropologica delle imprese. E i risultati (i non risultati) si vedono.

mercoledì 4 novembre 2015

A qualcosa servirà?

di
Francesco Zanotti

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Tra i Responsabili HR più sensibili e anche tra qualche Imprenditore particolarmente attento alle persone comincia a diffondersi una espressione nel giudicare le attività di formazione: non so dire esattamente a cosa, ma a qualcosa serviranno.
Cioè si sta rompendo la convinzione, ancora difesa a spada tratta dai formatori aziendali, che esista un preciso legame tra attività di formazione e i risultati.
Facciamo qualche passo avanti lungo questa direzione. Mi rivolgo ovviamente a manager e imprenditori che cominciano a riflettere su questi temi.
Guardate, innanzitutto la vostra intuizione è corretta: è inutile provarci. Non è possibile né individuare, né misurare i risultati della formazione.
Ma dovere fare ancora un passo avanti. Tutta la conoscenza di cui all’inizio del nuovo millennio si dispone (le scienze naturali ed umane) porta ad un unica conclusione. Non solo non è possibile definire esattamente cosa genera la formazione, ma è dimostrabile scientificamente che genera danni. Ovviamente mi riferisco alle attuali attività di formazione, soprattutto quella attiva. Non sto parlando della formazione “tecnica”.

Faccio una proposta: perché non fate una verifica scientifica di tutte le attività formative per capire l’impatto che possono avere sull’organizzazione? E’ davvero triste tirarsi la zappa sui piedi spendendo soldi e tempo.

domenica 1 novembre 2015

Cambiamenti organizzativi eteroprogettati, oppure progetti di sviluppo strategico socialmente definiti

di
Francesco Zanotti

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La teoria dei creodi di C.H. Waddington suggerisce qualche nuova idea sul cambiamento. Immaginate che l’ambiente in cui si muove un sistema (una pallina) sia fatto di canaloni profondi che di tanto in tanto si biforcano. Le biforcazioni sono le potenzialità di cambiamento. Se volete far cambiare la direzione del movimento della pallina che si muove in un canalone, dovete scavare un altro canalone. E non è banale il farlo. Occorre che anche la pallina partecipi al progetto ed alla realizzazione del nuovo canalone. Nel linguaggio dell’impresa: è necessario sviluppare un nuovo progetto strategico socialmente definito.
Ma se attendete che la pallina arrivi ad un punto di biforcazione, allora potete realizzare un cambiamento con poca energia: basta dare una piccola spinta in una direzione o nell’altra per far cambiare radicalmente direzione alla pallina. Potete cambiare solo l’organizzazione, ma le potenzialità del cambiamento sono determinate dall’esterno.
Concludendo, l’alternativa è chiara.
Se volete fermarvi a cambiamenti organizzativi, allora potere farlo efficacemente, ma non determinare voi le direzioni di cambiamento.
Se volete guidare il cambiamento è necessario partire da un progetto di sviluppo strategico socialmente determinato.
Se pensate ad un progetto di cambiamento organizzativo da voi progettato, dimenticatevene. Tentando di realizzarlo disturberete solo la pallina frenandone il cammino verso i canaloni etero determinato di cambiamento. Certamente non otterrete in nessun modo il cambiamento organizzativoo che avere progettato