"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 29 marzo 2012

Il "realismo naive" della cultura manageriale

Noi tutti dobbiamo continuamente decidere quale informazione è richiesta per prendere una particolare decisione, come interpretare quella informazione per gli scopi previsti, addirittura scegliere quale dovrebbe essere lo scopo corretto, così come quale è il problema sul quale dobbiamo prendere decisioni.
"...ogni strumento di ricerca o procedura è inestricabilmente 'incastonato' ad una specifica visione del mondo e su come conoscerlo... nessuna tecnica o metodo di investigazione è autovalidante: la sua efficacia è, dal punto di vista filosofico, dipendente alla fin fine da giustificazioni epistemologiche."
ci ricorda J. Hughes nella sua Filosofia della Scienza. 
Se condividiamo questa analisi, quale è la epistemologia (ovvero il modo di arrivare alla conoscenza) dominante nella cultura manageriale?

venerdì 23 marzo 2012

Perché i managers si disinteressano della conoscenza?



Ogni ambito professionale ha un suo patrimonio di conoscenze di riferimento. Esistono progetti di ricerca che fanno evolvere questa conoscenza. Esistono riviste che rendono pubblici i risultati delle ricerche. Le innovazioni dialogano tra di loro e tendono a convergere in sintesi. 
I professionisti sono curiosi di conoscere i risultati della ricerca e voglio essere i primi ad utilizzarli.

Nel mondo del management molto di tutto questo non vale. Vi è certamente chi fa ricerca, vi sono certamente strumenti di diffusione dei risultati della ricerca. Ma non esiste un processo di sintesi sociale.
Ed i manager non sono certo affamati dei risultati della ricerca.
Ci si basa, soprattutto sull’esperienza e ci si accontenta di una “Naif Knowledge” che ruota intorno a parole valigia come “leadership”, “comunicazione”, “empowerment” e altre.

Questa indifferenza alla conoscenza si è andata consolidando negli anni. Tanto che un manager trova estremamente sgradevole anche solo sentire parlare di iniziative dove possa imparare. Sommamente il top management trova sgradevole sentir parlare di nuove conoscenze e metodologie di progettazione e valutazione strategica.

Perché tutta questa indifferenza verso la conoscenza? La risposta sta nella qualità della conoscenza che viene proposta ai managers: una conoscenza banale che puzza di voglia di venderla lontano un miglio …

Francesco Zanotti

mercoledì 21 marzo 2012

Dante ha “deciso” la Divina Commedia?


Oggi è fuori dubbio che il paradigma manageriale prevalente sia quello decisionale. La sfida del management è quella di prendere le decisioni corrette. Credo sia un paradigma da superare il prima possibile.

Uso come esempio la Divina Commedia. E’ difficile sostenere che il processo di scrittura della Divina Commedia sia stato un processo decisionale.
E’ stato un processo di immaginazione, creazione etc. E’ stato, in sintesi, un processo progettuale.
Forse qualcuno potrebbe provare a stiracchiare il concetto di decisione sostenendo che anche il lavoro progettuale è fatto di tantissime microdecisioni.
Fino allo stiracchiamento paradossale di considerare la scrittura della Divina Commedia come “somma” di moltissime, intrecciate in modo “complicato”, microdecisioni. Ma se costui provasse a percorrere questa strada, si troverebbe a costruire un sistema formale “complesso”, scoprirebbe i limiti che ad ogni discorso formale impongono i teoremi di Godel. Sarebbe un sistema formale incompleto o incoerente.

Allora usiamo il termine decisione nel suo significato più naturale di “scelta” tra alternative. Oggi chi gestisce una organizzazione non deve tanto prendere decisioni, quanto guidare un processo progettuale attraverso il quale le persone danno forma a quella organizzazione informale che è il vero determinante dei comportamenti. 

Francesco Zanotti
f.zanotti@cse-crescendo.com  francesco.zanotti@gmail.com

venerdì 16 marzo 2012

Lavativi o profeti?

Un rappresentante di un importante fondo d'investimento visita una grande fabbrica manifatturiera per valutarne l'acquisizione di una partecipazione. La visita è un susseguirsi di incontri al vertice, dove i manager delle varie funzioni illustrano le capacità, i risultati, i piani ambiziosi di sviluppo. Poi le visite ai reparti, con colloqui informali con gli operai, gli impiegati e i funzionari, e incontri con clienti e fornitori.
Al termine del tour de force l'importante ospite viene lasciato in mano ad un anziano e fidato caporeparto, prossimo alla pensione, al quale viene dato l'incarico di portarlo su una vicina collina per uno sguardo d'insieme del vasto stabilimento. Colpito dallo spettacolo della dimensione delle superfici coperte e scoperte, dal brulichio di mezzi e uomini , dal traffico di mezzi in entrata e in uscita dalle vicine arterie, il rappresentante del fondo chiede ammirato al suo anfitrione quante persone lavorassero in azienda.
"Quando fui assunto io quasi tutti. Oggi sì e no il 50%"

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

martedì 6 marzo 2012

Creare invece di prevedere

Se il futuro non si prevede ma si crea, come si fa?
Un metodo di questo tipo, qualora esistesse, potrebbe prescindere da "tutte" le persone?

"Tutti sappiamo come lanciare nuovi progetti in un mondo prevedibile: un team è messo insieme, un mercato analizzato, creata una previsione e scritto un business plan. Vengono raccolte risorse e il piano è messo in movimento. Ma come lanciare un nuovo progetto in un ambiente imprevedibile? Quale è il miglior modo di farlo in una era dove la proliferazione di dati e opinioni rende le analisi veramente decisive impossibili, quando eventi lontani hanno un immediato e inatteso impatto; e quando malesseri economici hanno reso le aziende riluttanti a fare grandi scommesse su idee non provate?"

E' questo lo stuzzicante esordio dell'articolo "New project? Don't Analyze- Act" apparso sull'ultimo Harvard Busines review.
Gli autori propongono soluzioni a partire dalla ricerca di una loro collega che ha analizzato, con uno studio approfondito, 27 "imprenditori seriali".

Il cuore della soluzione viene subito centrato: invece di prevedere il futuro (gli imprenditori) lo creano!