"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 29 dicembre 2015

Chi è l’uomo?

di
Francesco Zanotti

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Se volete guidare una macchina (doverne determinare i comportamenti) è necessario saper come funziona. E’ un guaio cercare di frenare con l’acceleratore. Non ci riesce proprio.
Ora anche per poter determinare i comportamenti degli uomini è necessario sapere come funzionano. Ma i manager sanno come funzionano gli uomini?
Ovvio che sì! Sono fatti di competenze. Allora occorre fornire loro le competenze adatte (oppure prendere quelli che ce le hanno già) e poi motivarli ad apprenderle ed usarle.
Ma che sono le competenze? Beh, è banale, dirà un manager. Ma, dopo averlo detto, gli risulterà difficile proporre una definizione. E quando ci fosse riuscito scoprirebbe che il manager suo collega ne avrebbe un’altra (forse in nessun caso, meglio di questo, vale il motto “Tot capita, tot sententiae”). E scoprirebbe che in letteratura ve ne sono decine.
Se non si sa cosa sono le competenze, come si fa a fornire e farle apprendere ed usare?

Proposta ingegnosa: si lascia tutto in mano all’amico formatore. Egli, grazie all’amicizia (speriamo solo a quella), è esentato dallo spiegare cosa sono le competenze, come le vuole insegnare, come farà si che vengono apprese ed usate. Ingegnoso no?

giovedì 24 dicembre 2015

Gli esseri umani non comunicano

di
Francesco Zanotti

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Stiamo preparando un Libro che conterrà, innanzitutto, una traduzione (a cura di Luciano Martinoli e di suo figlio Lorenzo) di un libro (Radical Luhmann di Hans Georg Moeller) che costituisce una sintesi semplificata del pensiero di Luhmann. E poi conterrà una nostra post-fazione che cercherà di andare oltre, per renderlo più utilizzabile, il pensiero del grande sociologo tedesco. Il nostro obiettivo è quello di fornire un nuovo supporto al management per governare i processi di autoevoluzione (per carità non ci parlate di quell’obbrobrio scientifico che è il Change Management)  delle organizzazioni.
Una delle tesi che caratterizza il pensiero di Luhmann è: “Gli esseri umani non comunicano e non possono comunicare - solo la comunicazione comunica.”
Allora … auguri … ne hanno bisogno … a tutti coloro che pensano che il problema sia comunicare bene, a tutti coloro che vendono e comprano corsi di comunicazione, a tutti coloro che si sforzano di comunicare all’interno ed all’esterno delle imprese. Auguri perché l’anno incipiente li porti a chiedersi se molti guai non siano generati proprio da un comunicare che ci si attende comunichi e convinca, ma che, purtroppo, non può raggiungere questo obiettivo. Auguri perchè tentino almeno di capire il punto di vista di Luhmann se davvero hanno a cuore lo sviluppo delle imprese in cui lavorano e non solo la difesa di un insieme di conoscenze obsolete, ma che sono le uniche di cui dispongono. Auguri perché non si sforzino più nella strenua difesa di banalità sbagliate con la speranza di difendere il ruolo professionale o il proprio posto di lavoro. Entrambi si salvano usando nuove conoscenze e non costringendo le imprese ad investire in attività costose e contro producenti. Le attività di comunicazione, appunto.


lunedì 21 dicembre 2015

Più “bravo” degli altri …

di
Francesco Zanotti

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Caro manager, se vuoi veramente dare una mano allo sforzo della tua impresa per diventare competitiva, devi essere il migliore di tutti. Non basta che tu sia un buon professionista. Se sei solo un buon professionista al massimo permetterai alla tua impresa di non essere peggio delle altre.
Ovviamente non ti azzardi a dire che sei il migliore di tutti.
Quindi?
Quindi devi cercare altre fonti di vantaggio competitivo sostenibile. La più rilevante è la conoscenza. Ma tu sei refrattario alla conoscenza …

Non ti resta che illuderti che sei il più bravo al mondo per cercare di non farti buttare fuori.

giovedì 17 dicembre 2015

Il manager si va, sentendosi laudare ..

di
Francesco Zanotti

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Tanto gentile e tanto onesto pare
La donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare

Come quel manager dal capello scolpito a rasoio …

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

… che sa recitare così bene i discorsi sull’importanza delle risorse umane

Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi no la prova

che tutti applaudono beati.

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: Sospira.


Ma tutti sanno che dietro il capello scolpito al rasoio c’è un nulla che non riesce a dire: aiutatemi per riuscire finalmente ad essere davvero un manager. Senza la necessità il capello scolpito a rasoio e retorica che intristiscono anche lui … O lei.

lunedì 14 dicembre 2015

Stress lavoro manageriale correlato

di
Francesco Zanotti

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Il dovere di dare all’esterno una immagine di forza e determinazione.
Il dovere di dire che non si è mai sbagliato.
Costretti a snobbare la conoscenza, quasi ad averne paura.
La ricerca di qualche occasione di autorappresentazione gratificante, in ogni dove.

A fronte di mondi organizzativi che sono luoghi di disagio profondo.
A fronte di imprese che stanno perdono la loro capacità di generare valore.
A fronte di una conoscenza che diventa sempre più intensa e finalizzata.
A fronte di una immagine interna all’azienda e fuori dall’azienda ed esterna non particolarmente gratificante.


Il risultato: una immagine di sé che va calando a fronte di uno stress quotidiano che sta crescendo.
Come a dire: riesco a giustificare sempre meno a me stesso il mio ruolo. Mentre la fatica e l’incertezza aumentano.

Questa è la vita del manager. Povero.

venerdì 11 dicembre 2015

Banca Etruria e HR

di
Francesco Zanotti

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Sono quasi certo che i responsabili HR di Banca Etruria non si sentano in alcun modo responsabili delle sorti della banca e dei guai generati ai risparmiatori. Come, d’altra parte, sono certo che nessun manager HR si senta responsabile delle eventuali crisi dell’impresa in cui lavora.

Si tratta di una convinzione che fa a pungi con altre convinzioni e desideri.
Infatti, se i manager HR non si sentono responsabili di nulla, allora non contano nulla. Ma in questo caso la domanda è: se non sono responsabili di nulla (quindi se si considerano solo operativi) perché dovrebbero essere pagati come manager? Perché sono titolari di qualche conoscenza particolare? Certamente no! Perché essere manager oggi significa rifiutare che la conoscenza abbia un ruolo. E tanto più si è ”top” tanto più questo principio vale.

Ma credo che i manager HR vogliano essere pagati come manager. E allora devono sentirsi responsabili di qualcosa. Io credo che debbano considerarsi responsabili della mancata conoscenza e di sperpero di risorse.
Nel caso particolare di Banca Etruria, i manager HR non hanno fatto nulla perché il top management disponesse di quelle conoscenze di strategia d’impresa che sono indispensabili per non accumulare quelle sofferenze che hanno generato i guai delle banca.
In più, hanno sprecato risorse in attività di formazione e di cambiamento assolutamente contro producenti.
Concludendo: se si continua a dire (e se lo si dice, ma non lo si pensa si tratta di un falso) che le persone sono la risorsa fondamentale di una banca, allora quando la banca va male significa che chi ha selezionato e gestito queste risorse ha fatto un pessimo lavoro.


martedì 8 dicembre 2015

Insensatezza scientifica di una survey

di
Francesco Zanotti

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Avranno letto almeno “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale” di Edmund Husserl? E ‘ stata pubblicata nel 1954. La risposta è: sembra di no!
Di chi sto parlando? Di una importante Società dell’indice FTSE Mib di Borsa Italiana (non cito nomi perché il mio obiettivo non è fare polemica. Il lettore non se ne dolga) che ha appena concluso (apprendo la notizia dai giornali) una delle solite survey sulle opinioni dei dipendenti.
Se avessero letto Husserl (ma anche molte altre cose) non avrebbero fatto alcuna survey.
Infatti la survey è uno dei tanti interventi che si fanno sulle organizzazioni che non producono i risultati attesi e irritano le organizzazioni in un modo imprevedibile. Interventi non solo inutili, ma anche dannosi. E, paradossalmente, più sono fatte bene e prese sul serio, più inutilità dimostrano e danni creano.
Le ragioni? Sono così tante e suggerite praticamente da ogni ambito disciplinare che sia sorprendente di come non vengano prese in considerazione.
Cito in questo post solo un ambito disciplinare: la sociologia.
Essa spiega che ogni attività organizzativa nuova crea un sistema organizzativo nuovo. Una survey crea il “Sistema della survey”, che si costituisce come “autopoietico”. Significa, tra le altre cose, che i manufatti che si creano durante la survey (tipicamente, i questionari con risposta) hanno senso solo all’interno della survey. Quando vengono portati fuori, questo significato scompare. E appare il significato assegnato loro dal “Sistema dei valutatori delle risposte”. Essi che generano il manufatto del Rapporto di ricerca, che ancora una volta, ha un senso all’interno del sistema di coloro che hanno contribuito a redigerlo. Quando il rapporto viene presentato, distribuito e letto all’esterno genera il formarsi dei più svariati gruppi di lettori all’interno dei quali il Rapporto acquista significati diversi e incomunicabili all’esterno.
E’ questo il risultato che si attendeva chi ha fatto e pagato la ricerca? Un susseguirsi di interpretazioni interne a gruppi organizzativamente artificiali perché creati apposta per fare la ricerca? No, certo. Si aspettava una immagine oggettiva dello stato del Sistema Dipendenti. Questo obiettivo non solo non è raggiungibile, ma non si capisce neanche cosa possa voler dire perché non esiste alcuno stato definito del Sistema dei dipendenti.
Invece di survey cosa sarebbe opportuno fare? Attivare processi di progettualità sociale. Ma di questo abbiamo già parlato e torneremo a parlare.


sabato 5 dicembre 2015

Creare razze organizzative

di
Francesco Zanotti

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Leggendo un bel libretto dell’antropologo Adriano Favole: “La bussola dell’antropologo” … ho pensato …
Ma il costruire una organizzazione formale significa costruire razze organizzative. Tanto più l’organizzazione formale viene presa sul serio, tanto più si innescano culture a pratiche di “razzismo organizzativo”.

I rimedi?
Riporto i suggerimenti di Favole per combattere il razzismo sociale. Ma che mi sembrano importanti anche per evitare razzismi organizzativi.
Eccoli (pag. 60), adattati uno per uno

Il primo suggerimento: spostare l’enfasi dalle culture e dalle etnie ai contesti di violenza e discriminazione. Traduzione organizzativa: non cercate di capire le persone fuori dai contesti in cui operano.

Il secondo suggerimento: trasformare le segregazioni dei campi e delle banlieues in esperimenti di convivenza. Traduzione organizzativa: creare momenti di progettualità in comune tra diversi livelli organizzativi.

Il terzo suggerimento: passare dalle logiche della assimilazione e dell’integrazione a quelle della condivisione. Traduzione organizzativa: le persone nuove che entrano in azienda non vanno inquadrate, omogeneizzate. Chiedete loro di raccontare la loro diversità

Il quarto suggerimento: vincere l’emarginazione a favore del coinvolgimento e della cittadinanza attiva. Traduzione organizzativa: riconoscete e valorizzate la “cittadinanza attiva” già in atto. Intendo dire: riconosciamo che la strategia e l’organizzazione già oggi sono costruire da comportamenti liberamente scelti dalle persone.

Sempre a dimostrare l’estremo bisogno di conoscenza. Sempre a dimostrare le stupidaggini che si fanno rifiutando la conoscenza.


giovedì 3 dicembre 2015

E’ ora di piantarla con l’esperienza

di
Francesco Zanotti

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L’esperienza porta a ripetere il passato. E, in genere, non si tratta neanche di un passato di successo. Quando sembra di aver trovato qualche campione di esperienza ci si accorge che si tratta di una esperienza che è sembrata di successo per lo spazio di un mattino. Poi ha rivelato tutti i suoi limiti.
Non abbiamo bisogno di esperienze tristemente fallimentari.
Abbiamo, invece, bisogno di teorie sempre più potenti per capire da dove emergono i comportamenti di un uomo all’interno di una organizzazione. Per capire come si possa governare questo emergere.
Per costruire tali teorie è necessario sintetizzare scienze cognitive, psicologie, approcci sociologici, antropologia. E’ necessario fare ricerca per trovare nuovi approcci al cambiamento, abolire processi formativi e tristi modalità di gestione delle risorse umane.
Non abbiamo bisogno di manager alla disperata ricerca di auto rappresentazioni grottesche che nascondono la loro incapacità di ascolto e di apprendimento dietro impegni improrogabili che è la loro stessa ignavia culturale a generare.
Cari manager abbiate il coraggio della conoscenza.

Senza falsa modestia: sono consapevole di aveer un curriculum professionale ragguardevole. Ma sono altrettanto consapevole che non importa a nessuno. Ed è giusto così. Ognuno di noi va valutato e provocato sulla conoscenza che rappresenta e costruisce. Non per un passato che non riguarda gli altri, ma solo la nostra coscienza.

mercoledì 2 dicembre 2015

Talenti o persone?

di
Francesco Zanotti
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Don Lorenzo Milani soleva dire che gli insegnanti andrebbero pagati a cottimo: un tanto per ogni alunno che superava gli esami.
Il problema non è prendere posizione nel conflitto tra equalitarismo ed elitarismo. Il dovere di una classe manageriale è quello di superare questa contrapposizione che non ha alcun fondamento scientifico.
Il paradigma dei talenti è una versione aggiornata dell’elitarismo. Ed è altrettanto banale.
Io credo che il compito di una classe manageriale sia di sviluppare i talenti di tutte le persone. Le quali non sono ovviamente tutte uguali, ma non perché si situano in posizioni diverse in una qualche ipotetica (e scientificamente insensata) scala assoluta di merito. Invece, perché sono dotati di talenti diversi. Uguale nobiltà tra le persone nella diversità di inclinazioni, desideri, aspirazioni.
Come si fa a valorizzare i talenti di tutti? Non certo cercando di analizzarli. Ma mobilitandoli. Organizzando processi di auto progettazione dell’organizzazione (o della strategia, per i più audaci e più interessati a risultati rilevanti). I talenti di tutti emergeranno da soli e, con la capacità di sintesi del management, si autocoordineranno in una organizzazione armoniosa, efficace ed efficiente. O per realizzare una strategia rivoluzionaria.
Anche i manager andrebbero pagati per quanto sanno mobilitare i talenti di tutti. E non perché si presume che li sappiano scovare e sviluppare.