Ovviamente bazzichiamo da molto nei mondi dell’organizzazione e delle risorse umane. E, a mano a mano che passa il tempo, aumenta la sensazione che vi sia un atteggiamento stranissimo verso la conoscenza.
Leggevo ieri sera del “Caso Bogdanov”: due fratelli russi, fisico teorico l’uno, matematico l’altro, che lavorano a Parigi presso l’Institute International de Physique Matematique. Essi sono diventati, da un giorno all’altro, star mediatiche perché hanno proposto una nuova teoria sull’ “Istante Zero dello spazio tempo” che cerca di spiegare la vera origine dell’Universo. Prima pagina del New York Times, rimbalzata in moltissimi giornali del globo, ospiti fissi di una serie di trasmissioni alla tv francese …
Perché ho citato questa vicenda?
Per illustrare un tipo di conoscenza nella quale è ritenuto possibile il progresso. Anzi è ricercato il progresso, perché si fa ricerca. E tutti attendono i risultati che la ricerca produce. Vale per la fisica, ma anche per la matematica: si pensi ai problemi del millennio per i quali è disponibile un milione di dollari (per ogni problema) per chi ne trovi la soluzione. Vale ovviamente per la biologia (chi non ha sentito parlare di Craig Venter e del sequenziamento del genoma umano?), per le neuroscienze …
Non vale, però, per il management. Il management è considerata un’area di conoscenza che ha raggiunto la pace dei sensi: non sono possibili progressi. Il massimo della conoscenza è quella che ogni manager acquisisce con la propria esperienza. Poi esiste la formazione manageriale, ma vale oramai solo per i quadri o per i neo dirigenti o gli “alti potenziali”.
A noi questa situazione sembra incredibile perché, da un lato, è evidente che servono nuove conoscenze sul funzionamento e lo sviluppo di persone, organizzazioni, sistemi umani in genere. Proviamo a citare le aree dove questa esigenza è più forte. Le resistenze al cambiamento sembrano naturali e insuperabili, mentre sono generate dal processo di cambiamento stessi. Non si conosce nulla della modalità attraverso le quali si forma quella che una volta si chiamava organizzazione informale. Lo dimostra il caso FIAT dove si pensa che basti essere più direttivi per aumentare la produttività e non si sa nulla delle gigantesche inefficienze ed inefficace generate dalla dimensione informale dell’organizzazione.
Tutti pensano che il crescente disagio di manager e del personale a tutti i livelli sia generato da un cattivissimo ambiente esterno che rende la competizione sempre più feroce mentre è generato dalla stessa non conoscenza di cui dicevamo prima dei processi di sviluppo delle persone e delle relazioni nella organizzazioni.
Si organizzano attività di formazione che considerano le competenze come oggetti a- contestuali da trasferire nella mente dei discenti. E, quando sono oggetti complicati, si usano metodi attivi per addomesticarli. Dimenticando che le competenze sono solo frutto di processi emergenti contingenti. E i metodi attivi, forse, riescono a farle emergere, ma in ambienti virtuali e, quindi, non possono essere usate negli ambienti reali. Il risultato è il vanificare investimenti in formazione , che se pur in calo, sono sempre consistenti. Da ultimo citiamo forse il fatto più emblematico: la formazione non coinvolge in nessun modo il top management.
Da un altro lato, è evidente che esistono mille conoscenze utilizzabili per risolvere questi problemi. Citiamo solo la meccanica quantistica e la teoria dei sistemi auto poietici che permettono di riconoscere che persone ed organizzazione hanno una loro dinamica autonoma di sviluppo e ne suggeriscono le modalità di governo. Inoltre danno chiare indicazioni su come creare vere e proprie comunità di cambiamento che possono raggiungere risultati impensabili in tutte le principali sfide di cambiamento.
Per superare questa situazione abbiamo condotto nel passato un grande progetto di ricerca che ci ha permesso di raggiungere i risultati che abbiamo succintamente presentato sopra: le comunità di cambiamento. Rendiamo disponibili i risultati di questo progetto a tutti coloro che non hanno paura dell’innovazione profonda.
Ovviamente i nostri risultati sono tutt’altro che definitivi. Allora abbiamo pensato di lanciare un grande progetto di ricerca pubblico al quale invitiamo tutti a partecipare.
Esso è descritto nel documento “In cammino verso una nuova società” che è disponibile sul blog.
Francesco Zanotti
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