di
Francesco Zanotti
Vogliamo dedicare qualche
post per rispondere ad alcune riflessioni che qualche lettore ci ha inviato sul
libro che sto scrivendo.
Il primo post è
dedicato alle riflessioni di “Ale Donadio” che nascono da una visione del mondo
specifica: la visione postmoderna.
Semplificando (anche
troppo) si tratta di quella visione che si oppone all'oggettivismo (realismo) della
visione classica del mondo. E propone il valore della soggettività. In
particolare, evidenzia il fenomeno dell’ermeneutica. Ancora una volta in parole
povere: le visioni che le persone si formano del mondo sono frutto di una
interpretazione personale che impedisce di fare affermazioni di verità
assolute. Uno dei punti più estremi di questa visione del mondo è la
decostruzione, ricostruzione del mondo di Derrida.
In campo manageriale
Ale la usa per descrivere l’impresa come
sistema adattivo complesso e per fare proposte “liquide”: il surfing
manageriale.
Ora la prima cosa da
dire è che negli ultimi anni si è affacciata una controffensiva del realismo:
guarda che esiste un mondo fuori di noi che è conoscibile oggettivamente.
Quindi siamo,
filosoficamente, come sempre nel campo delle sette pertiche: due visioni che si
contrappongono e si combattono.
Quale scegliere? La
mia risposta nasce da una esigenza: le imprese devono aumentare e velocemente
la loro capacità di produrre cassa: altrimenti chiudono e la querelle se il
management deve affidarsi ad una visione classico realistica del mondo o ad una
visione postmoderna si interrompe subito perché ogni contendente è costretto a
starsene a casa sua.
Ora, la domanda che mi
pongo è: per aumentare la capacità di produrre cassa intensamente e subito che
contributo dà la proposta di governo del surfing? Riesco ad andare da una
banca e dimostrargli che, se i suoi manager surfeggiano, riescono a valutare
meglio le imprese, costruiscono nuovi sistemi di rating, riescono a dare un
contributo progettuale alle piccole e medie imprese, riescono a mettere ordine
nel guazzabuglio dei processi di ristrutturazione delle grandi imprese, troppo
spesso mascherati attraverso emissioni obbligazionarie? Oppure ancora: riesco
ad andare da una compagnia di assicurazione e dirgli che surfeggiando riesce a
guidare questo paese a definire un modello di stato sociale che finalmente
metta un punto fermo, condiviso e non autoritario, alla diatriba tra pubblico e
privato? Oppure, ancora, riesco ad andare da una Utility e la convinco che,
sempre se i suoi manager surfeggiano, riescono ad uscire da un’altra diatriba
tra pubblico e privato, magari disegnandosi un ruolo di hub di sviluppo di una
ecologia di piccole imprese che rivoluzionano il mercato della produzione e
della distribuzione dell’energia?
Riconosco che
l’ermeneutica è un fenomeno reale, che il surfeggiare è molto elegante e dolce,
ma, per poterlo proporre come soluzione per governare la costruzione dello
sviluppo prossimo venturo completa, è necessario che chi la propone riesca a colmare
il gap con la strategia e con i flussi di cassa: altrimenti il top management
delle imprese non mi/lo/ci sta a sentire. Oppure compra qualche corsetto di
formazione dove magari ci divertiamo e ci pagano pure, ma certo non diamo un
contributo intenso e immediato, come è necessario, alla costruzione di un nuovo
sistema economico e di una nuova società.
Con questo voglio buttare
a mare il pensiero postmoderno e sposare un pensiero realista? No! Voglio dire
che è necessario aggiungere una nuova visione del mondo: quella quantistica. Usare in forma sinergica queste tre visioni e
costruire una proposta di governo che le contenga tutte e tre.
Cosa sia la visione
quantistica del mondo, come possa ispirare una nuova forma di governo che non
butta nulla del pensiero postmoderno, ma lo considera solo necessario e non
sufficiente, che si fa carico dei flussi di cassa e di far vedere come davvero
si riescono a guidare banche, assicurazioni, utilities e tutti gli altri attori
economici a gestire le issue vitali che le coinvolgono, rimando al testo complessivo
del libro.
Ale troverà forse
sorprendenti alcune conclusioni che cito solo perché nel libro ne parlo o ne
parlerò nella seconda versione che è quasi pronta. Le conclusioni sono le
seguenti.
Se, in questo momento
storico, l’organizzazion viene considerato
come sistema adattivo, allora i flussi di cassa ce li scordiamo: rischia che
sia costretta a surfeggiare sulle dune di un deserto (economico e sociale),
invece che sulle onde di un oceano aperto.
Se la comunicazione è
come la intendono Shannon e, in fondo, anche la pragmatica della comunicazione,
allora quella non è la comunicazione che avviene all'interno e all'esterno di
una organizzazione. Suggerisco di leggere Luhmann per approfondimenti.
La cultura
organizzativa non so cosa sia. E, anche quando lo sapessi, non potrei
osservarla.
La partecipazione è da
prendere con le molle: prima di attivare partecipazione occorre prepararla
agendo sui sistemi cognitivi delle persone. La nostra “Sorgente Aperta” costituisce una proposta in
tal senso.
Conclusione, metà postmoderna e metà quantistica. Il pensiero postmoderno ha contribuito alla fine
della dittatura del pensiero unico, delle ideologie. Ma poi ci ha lasciato
senza forza. Credo che sia il momento non di ricostruire nuove ideologie, ma di
scrivere grandi storie collettive per poi realizzarle. Non saranno certo le
uniche possibili, ma devono esistere perché non possiamo accettare di subire il
futuro.
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