"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 16 agosto 2011

Misurare o mobilitare le persone? Una visione quantistica dell’organizzazione

di
Francesco Zanotti

La fisica quantistica e il misurare che non misura, ma costruisce (paragrafo scritto con il supporto del Prof. Ignazio Licata)


La tradizionale conoscenza scientifica considera l’operazione di misura come una guida infallibile, l’unico riferimento sicuro per la progettualità. Ma la fisica quantistica ci rivela che questa idea del misurare è fallace. L’uomo non misura il mondo, lo costruisce. I manager non misurano l’organizzazione o il mercato, ma lo costruiscono.

Il misurare che sembra una guida infallibile …

Lo sguardo sembra più flebile di una goccia: non “cavat lapidem”. Lo sguardo ci porta solo l’immagine di come è la pietra. Cioè ci dice come è il mondo. Basta che sia uno sguardo onesto, non appannato ma accurato, ficcante.
Guardare è un termine generico. Forse è meglio sostituirlo con un altro, più “sociale”, condivisibile: misurare. Misurare è un guardare per attribuire un valore che sia da tutti condiviso. Quando misuriamo i parametri che descrivono un manufatto che abbiamo prodotto, se l’operazione di misura è corretta ed evitiamo interferenze, ricaviamo la vera immagine di quel manufatto. Ricaviamo la stessa immagine che ricaverà il nostro cliente misurandolo con la stessa correttezza nostra.

Questa filosofia dello sguardo flebile, della misura “neutra” ci sembra l’unica possibile. Infatti: come si fa a decidere cosa fare se non si sa quale sia la vera realtà con la quale si ha a che fare?
Ci sembra così tanto l’unica possibile che la applichiamo non solo alla dura realtà materiale, ma anche alla realtà umana, organizzativa e sociale. Forse, invece di “misurare”, parliamo di analizzare, ma è concettualmente la stessa cosa: andiamo alla ricerca di immagini oggettive ed espresse in numeri della realtà umana organizzativa e sociale. Ed allora, analizziamo, cioè guardiamo per attribuire un valore, misuriamo le competenze delle persone, le esigenze dei consumatori, i valori, i sistemi di interesse, la conoscenza, la cultura e il clima.

Per essere sicuri del risultato, perché la realtà umana organizzativa e sociale sia guardata, analizzata nel modo più efficace possibile, la facciamo misurare da “esperti”. Andando ovviamente alla ricerca di un esperto per ogni tipologia di “umano”: l’esperto di competenze, di mercato, di valori, di cultura e di clima.

Un misurare, invece, che confonde, mette a disagio ...


Misuriamo le realtà umane, organizzative sociali ... forse è meglio dire: misuravamo. In realtà, misuriamo, anzi, facciamo misurare sempre meno. Perché i risultati che otteniamo da queste attività di misurazione sono sempre meno soddisfacenti.

Vediamone le ragioni. Innanzitutto, partiamo, apparentemente, con il piede sbagliato: scegliamo gli esperti misuratori in base all’esperienza o, peggio, alla fiducia. Ma questo non è coerente con la ricerca della misura migliore. Sarebbe come scegliere chi ha misurato più volte la lunghezza di un tavolo, senza chiedersi se il suo strumento di misura è il più accurato, ma solo se l’ha già usato in precedenza o no. Oppure sarebbe come affidare la misura ad un amico, senza chiedersi che metro usa e se l’ha già usato. Con questo non voglio dire che dovremmo sottovalutare cose come l’esperienza e la fiducia. Solo che questo tipo di griglia non è coerente con il paradigma della misura. Allora: o non le usiamo più o … cambiamo il paradigma della misura. Questa incompatibilità tra la “ideologia” della misura che ci sembra inevitabile e la “voglia” (inevitabilità cognitiva) di usare parametri più umani come l’esperienza e la fiducia inizia a costruire disagio.

Poi il disagio assume mille altre forme.

Quando ascoltiamo (o leggiamo) i risultati delle analisi “competenti” fatte sulle persone, sull’organizzazione, sul mercato o sulla società scopriamo che non ci soddisfano mai completamente. Anzi, scopriamo che interpretiamo i dati, cioè i risultati delle analisi in modo diverso gli uni dagli altri. Ed in modo diverso dai ricercatori. Quando, poi, ascoltiamo le conseguenze, cioè le cose che occorrerebbe fare a causa dei risultati dell’analisi, il disagio aumenta. E le cose che ci suggeriscono di fare, non le facciamo mai.

Il disagio si ripete qualunque sia il “tipo” di realtà umana che guardiamo.
E come se, quando c’è di mezzo la realtà umana, lo sguardo scavasse (e molto velocemente e profondamente) la pietra. Ed ogni sguardo la scavasse a modo suo.
Ed allora?

Il messaggio della fisica quantistica: un misurare che costruisce mondi

Allora dobbiamo riflettere meglio su cosa significa guardare, “misurare”. Immediatamente facciamo una scoperta “sconvolgente”: la fisica (ma anche le scienze umane che non vogliono scimmiottare la fisica dell” ‘800) ci insegna che esiste anche un misurare che scava inevitabilmente la pietra. Uno sguardo che, invece di portarci una immagine della realtà, contribuisce a creare questa realtà.

“La forma dell’acqua” titolava Camilleri un suo romanzo. Provate a chiedervi “Che forma ha l’acqua?”. Scoprirete che la forma non è una proprietà dell’acqua. Nasce dalla relazione tra l’acqua e il recipiente che la contiene. Detto diversamente: è il misurare l’acqua che gli da forma.

Allora il primo passo da fare è approfondire il concetto di misurare, dare uno sguardo ai diversi possibili concetti di “misurare”.

Misura come corrispondenza
Il concetto di misura è passato dalle scienze fisiche a quelle sociali in modo acritico, allontanandosi sempre più dal senso stesso dell'operazione di misura che è intimamente legata al "come" e "cosa" misurare.
Intendendo la misura come un parametro quantitativo che entra in una nostra proposizione sullo stato del mondo, è facile vedere da questa semplice indicazione come il processo di misura è l'ultimo atto di una lunga catena di scelte sintetizzate dalla nostra proposizione, scelte connesse al range osservativo, alle ipotesi fatte sulla natura del fenomeno, e sul modo in cui raccogliere informazioni su di esso.

Il concetto "classico" di misura
Esso deriva dal modo di presentare la fisica classica, di stampo newtoniano, che viene astrattamente descritta come un mondo totalmente predicibile e determinista, a patto di avere la capacità del "demone di Laplace", ossia tenere a mente la posizione e la velocità di ogni particella dell'universo. Questi dati, immessi nelle formule (e nei computer) permettono poi di fare previsioni accurate quanto si vuole sul passato, il presente ed il futuro dell'universo! Si tratta naturalmente di una presentazione molto astratta, basata sull'identificazione tout court tra la matematica di una teoria fisica e la sua prassi sperimentale.

Un concetto "classico" troppo astratto
Se si scende nel terreno della prassi sperimentale la fisica classica appare assai meno "pulita", ed afflitta da ogni tipo di problema di scala e di scelta strumentale: innanzitutto non esiste la particella newtoniana, hybris di massa puntiforme; poi ogni misura non è mai un numero reale, ma un intervallo di numeri razionali, la misura più o meno l'errore dello strumento. In questo senso la successiva "scoperta" del caos e della complessità dei sistemi dinamici appare come una rettifica alle semplificazioni nel modo di pensare la dinamica newtoniana con l'aggiunta delle dinamiche non lineari.

Il concetto "quantistico" di misura
Ma la natura contestuale di ogni misura ha dovuto aspettare il complesso dibattito sui fondamenti della MQ per mostrarsi in tutta la sua forza: in questo ambito, con il famoso "principio di indeterminazione di Heisenberg", si è per la prima volta preso atto che il risultato di una misura non riguarda un mondo esterno a noi, "lì", stazionario o turbolento che sia, ma un osservatore nel mondo le cui scelte di descrizione del sistema in esame, il range scelto, l'obiettivo prefissato sono componenti essenziali di quello che potremmo chiamare il formarsi del dato.
Considerazioni facilmente estendibili al mondo dei processi biologici, cognitivi e socio-economici, in ordine di complessità. In queste aree è possibile osservare l'emergenza di forme impredicibili, con modificazioni sostanziali del sistema, dei componenti di esso e persino della loro natura. E' chiaro dunque che l'operazione di misura, in contesti come questi, è profondamente legata ad una comprensione concettuale non soltanto di come le cose cambiano ma di come la nostra azione stessa partecipa al cambiamento. 

Contestualità della Misura nei Sistemi Complessi
In particolare, le scelte sul tipo di informazione da raccogliere su un sistema, ed il modo in cui lo facciamo, escludono in genere altri aspetti del sistema stesso. La contestualità, lungi dunque dall'essere un aspetto eccentrico e peculiare della MQ, è una caratteristica generale del rapporto osservatore-osservato nei sistemi complessi: ogni guadagno informativo in una direzione porta ad una perdita di informazione in una direzione correlata e complementare.

La teoria quantistica dei campi come teoria della relazione ambiente-sistema
Nel mondo fisico tutte le osservazioni precedenti hanno portato a considerare gli attori di un sistema (dalle particelle ai condensati) come fenomeni emergenti da due tipi di campi quantistici che interagiscono tra di loro: i campi fermionici ed i campi bosonici. La teoria che descrive questo approccio è la teoria quantistica dei campi. E’ ipotizzabile che essa posso ispirare una nuova comprensione dell’emergere di imprese, attori sociali, politici etc. anche se la loro successiva evoluzione dovrà forse richiedere l’utilizzo di una teoria a più alto livello per comprendere il formarsi di strutture complesse (meta-strutture). Potrebbe essere la teoria dei sistemi auto poietici.


Il management “quantistico” delle organizzazioni

La realtà umana organizzativa e sociale è come la forma dell’acqua, così sensibile che il nostro sguardo inevitabilmente la trasforma. Le gocce di acqua sono talmente protagoniste che, addirittura, costruiscono il recipiente che le contiene.
Che implicazioni ha questa scoperta? Quella di cambiare radicalmente la modalità di gestione delle realtà umane, persone ed imprese comprese.

L’organizzazione come attore “vivente”

Le persone nell’organizzazione, contrariamente a quanto si pensa, hanno un elevato grado di autonomia che tende a crescere poiché a loro si richiedono prestazioni produttive sempre più sofisticate. Ad esempio: non solo costruire manufatti, ma anche costruire una descrizione degli stessi manufatti. La “somma” di queste autonomie produce quella che ci sembra giusto definire organizzazione spontanea. La teoria quantistica dei campi potrebbe spiegare i meccanismi di formazione di questa organizzazione spontanea.

Questa organizzazione spontanea non sta ferma, ma evolve continuamente

I problemi di un Governo del cambiamento di tipo “direttivo”

Già da questa prima descrizione appare una prima insensatezza delle tecniche tradizionali di governo. Secondo queste tecniche il momento del progetto è staccato dal momento della implementazione: l’alta dirigenza progetta un cambiamento e poi i manager e gli operativi lo implementano. Questo modo di procedere è insensato per le seguenti ragioni. Quando l’alta dirigenza cerca di farsi una immagine dell’organizzazione (analisi del clima o delle esigenze di formazione) in realtà avvia un processo di cambiamento dell’organizzazione spontanea. Il risultato non è una immagine oggettiva dello stato dell’organizzazione, ma è la risposta della organizzazione spontanea, autonoma allo stimolo costituito dalla indagine. Come un risuonare (accoppiamento strutturale) allo stimolo dell’Alta Dirigenza che vuole “misurare”. Un risuonare che altera gli equilibri interni. Misurando, cambio, ma non possa sapere come. Quando leggo un rapporto sul clima o sulle esigenze di formazione, leggo una storia costruita apposta dall’organizzazione spontanea per rispondere allo stimolo della indagine, della misura. In sintesi, la progettazione parte da una visione del tutto artificiale dell’organizzazione.

La progettazione, allora, parte da un terreno non solo paludoso, ma anche artificiale. Il risultato che raggiunge è altrettanto artificiale. Di più: non è una visione di come si vuole l’organizzazione futura, ma è come un raccontare quello che si vede davanti allo specchio. L’alta dirigenza progetta l’organizzazione che rispecchia la propria immagine di sé. Per essere concreti, descrive l’organizzazione che ritiene più adatta a mantenere il proprio ruolo di alta dirigenza. Ovviamente non può essere un progetto completo perché non può arrivare a prevedere i comportamenti. E’ un progetto che può riguardare solo la parte formale dell’organizzazione.

Allora, quando l’alta dirigenza butta nell’organizzazione questo progetto di cambiamento, che cosa fa in realtà? Attiva un processo di progettazione sociale, dove l’organizzazione spontanea “colma” il gap tra l’organizzazione formale e i comportamenti. Il modo il cui il gap viene colmato dipende dallo stato dell’organizzazione informale al momento della comunicazione del cambiamento.

Il cambiamento che accade dipende anche dalla qualità del processo di creazione sociale che, se viene lasciato a se stesso, come oggi avviene, è molto disordinato.

Governare, cioè fare emergere il cambiamento

La modalità attuale di governo del cambiamento crea una nuova organizzazione che non accontenta nessuno. Sembra insensato all’alta dirigenza che scambia questa insensatezza sistemicamente generata dal metodo di governo come resistenza al cambiamento. Genera fatica e scontento nella base che viene coinvolta in una progettazione carica di tensioni che porta ad un risultato che scontenta l’alta dirigenza.

La soluzione sta in una nuova modalità di gestione del cambiamento, una nuova modalità di governo, di management. Essa si pone come obiettivo lo stimolare, il guidare l’emergere di una nuova organizzazione spontanea che produca una nuova organizzazione formale capace di raggiungere gli obiettivi complessivi dell’impresa e soddisfare quella voglia di auto realizzazione delle persone che sta emergendo sempre più prepotentemente.

Ovviamente il discorso fatto non vale solo per l’interno dell’organizzazione, ma vale anche per il cambiamento strategico e per il cambiamento sociale. Cambiano i protagonisti, ma anch’essi usano oggi lo stesso metodo di governo direttivo che, in sostanza, impedisce di governare.


Nessun commento:

Posta un commento