di
Francesco Zanotti
Forse non ce ne siamo mai accorti, ma la cultura manageriale usa sostanzialmente una visione metrica degli “ambienti” che studia.
E’ la visione meno adatta per questo tipo di ambienti!
Innanzitutto per una ragione “complessiva”: porta ad una visione quantitativa dell’organizzazione, della strategia e dell’ambiente in cui vivono le imprese che, a sua volta, porta ad una prassi di governo “calcolatoria” (la pianificazione e il controllo) del tutto inadeguata ad affrontare la sfida del cambiamento “profondo”.
Ma, poi, anche per una ragione più specifica: porta ad infilarsi in ragionamenti che sarebbero stati anche brillanti se non si fosse tentato di intrupparli, a forza, in una visione metrica.
Obiettivo di questo post non è quello di esplorare, nella profondità e nei dettagli che sarebbero doverosi, la ragione complessiva.
Ma di proporre un esempio curioso della ragione più specifica. Rimandando a nostri lavori più complessivi ogni approfondimento.
Il caso specifico:
le competenze psico-antropologiche sono “oggetti” metrici o topologici?
Nel libro (di straordinario spessore emozionale ed operativo) intitolato “Arte di ascoltare e mondi possibili” di Marianella Sclavi, l’Autrice propone tre competenze chiave per costruire collettivamente nuovi mondi possibili:
• ascolto attivo
• autoconsapevolezza emozionale
• gestione creativa dei conflitti
L’autrice sostiene che queste tre competenze sono tutte e tre indispensabili e correlate.
Per dare concretezza scientifica a questa ipotesi usa (come accade generalmente ed inopportunamente, nel mondo delle scienze umane) un linguaggio metrico. Infatti, propone tre equazioni che devono essere soddisfatte contemporaneamente. Propone, insomma, un sistema di tre equazioni:
• ascolto attivo = autoconsapevolezza emozionale + gestione creativa dei conflitti
• autoconsapevolezza emozionale = Ascolto attivo + gestione creativa dei conflitti
• gestione creativa dei conflitti = Ascolto attivo + autoconsapevolezza emozionale
Per capire la portata di questa scelta “metrica”, scriviamo in modo più simbolico le equazioni.
Se poniamo:
• ascolto attivo = a
• autoconsapevolezza emozionale = b
• gestione creativa dei conflitti = c
allora il sistema di equazioni diventa:
• a = b + c
• b = a + c
• c = a + b
Perché questo sistema abbia senso, perché si possa parlare di equazioni, a, b e c devono rappresentare quantità numeriche. Devono essere quantità “misurabili”. Possiamo avanzare tranquillamente l’ipotesi che si tratti di numeri naturali: è inutile andare a scomodare oggetti più complessi come i numeri reali.
Dopo avere formalizzato questo sistema di equazioni, proviamo a risolverlo. E’ banale scoprire che le uniche soluzioni sono:
• a = b = c = 0
• a = b = c = ∞
Evidentemente, si tratta di soluzioni senza senso pratico.
Credo proprio che il vero messaggio che propongano queste soluzioni è quello dell’incompatibilità tra il mondo delle competenze e il mondo della metrica.
Proviamo allora a cambiare il linguaggio: da metrico a topologico. In questo caso, a, b, c sono insiemi aperti. Le “equazioni” si trasformano in:
• a = b U c
• b = a U c
• c = a U b
Questo “sistema” di “equazioni” (non si può più parlare, se si vuole essere rigorosi di “sistema” e di “equazioni”) ha una soluzione più sensata:
a ≡ b ≡ c
Essa può essere interpretata in un modo che risulta gestionalmente significativo: le tre competenze hanno una uguale valenza, tanto che sono “sovrapponibili”. Ma si può andare anche molto oltre nel ragionare. Provo ad accennare a questo "oltre" nel contesto di un caso più generale.
Il caso generale:
le competenze manageriali sono “oggetti” metrici o topologici?
Le competenze possono essere considerate come “insiemi aperti” che, come tali, non hanno un confine ben definito, e vivono in quel mare di insiemi aperti che è lo spazio topologico di competenze che si possono autonomamente unire, intersecare in mille modi. Vi sono tanti spazi di competenze tanti quanti sono gli individui. Questi spazi evolvono autonomamente e vanno a costituire uno spazio topologico sociale di competenze. Lo sviluppo di un sistema di competenze è l’attivazione di un processo di “emersione” di nuove combinazioni di aperti.
Oggi, invece, l’insieme delle competenze viene assimilato (senza esserne consapevoli) ad uno spazio vettoriale lineare. Le competenze sono oggetti ben definiti ed indipendenti che si possono sommare senza che l’operazione di somma le alteri in alcun modo. Per gestire la crescita del patrimonio di competenze di una persona, si cerca di misurare il “vettore” che rappresenta la somma delle sue competenze e se ne misura il gap con il vettore ideale (che esiste). Scoperto il gap, si cerca di colmarlo (tralasciano di riflettere sulla tristezza del considerare le persone sostanzialmente titolari di gap) con una operazione di trasferimento che aggiunge al vettore personale quelle componenti che più lo fanno avvicinare al vettore ideale.
Oggi la formazione sta declinando. La ragione? Mi sembra la seguente: considerando l’insieme delle competenze come spazio vettoriale lineare, si attiva la prassi dell’analisi e del corso, che causa costi eccessivi e scarsa efficacia.
Nei nostri Paper si trova una illustrazione più dettagliata di questi discorsi.
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