"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

venerdì 4 febbraio 2011

Non la usiamo, non sappiamo bene cosa sia, ma la insegniamo … costosissimamente


A cosa mi riferisco? Alla “cultura” manageriale.


Io credo che nessuno sappia bene cosa sia, ma viene insegnata (vedere dati ricerca consulenza in Italia di Harvard Business Review) e, poi, non usata.
Situazione evidentemente patologica.
A mio avviso  l’unico aspetto sano è che una cosa (la cultura manageriale) che non si sa bene cosa sia non venga usata … Ovviamente questa situazione va superata da tutti coloro che hanno genuino interesse allo sviluppo delle imprese in cui operano ed alla funzione sociale che svolgono.
Per superarla, occorre partire da una nuova cultura d’impresa. Noi stiamo sviluppando una prima versione di questa nuova cultura d’impresa partendo dalla meccanica quantistica. Da essa può nascere una nuova prassi manageriale che va dalla progettazione strategica alla gestione dei processi di cambiamento. Come corollario dell’esistenza di una nuova cultura manageriale, è necessario abolire tutta la formazione attuale …

Provo ad illustrare questa tesi …



Cominciamo dalla affermazione che le imprese insegnano la cultura manageriale. E’ una realtà indiscutibile. Prendete una qualunque impresa strutturata, soprattutto se di dimensione internazionale, e vedrete che essa somministra cataloghi completi di corsi di formazione che hanno l’obiettivo di diffondere la cultura manageriale in ogni angolo dell’organizzazione.
Se la insegnano vuole dire che la ritengono utile … o no? Ecco … no!
Le imprese la insegnano, ma non la ritengono utile perché’ non la usano.

La insegnano … In realtà, ne insegnano solo una parte …

Infatti, la cultura manageriale è fatta di tante isole di conoscenze. Non esiste un corpus completo e coerente. Alcune di queste isole non vengono né insegnate né usate. Altre vengono insegnate, ma non usate.

Esistono conoscenze (modelli e metafore) di strategia d’impresa. Esse servono a descrivere la struttura strategica dell’impresa, a individuarne il posizionamento competitivo, definire Piani industriali (o strategici o Business Plan che dir si voglia)  e mille altre cose. Queste conoscenze non vengono insegnate (se non nei corsi universitari) e non vengono usate. Basta che prendiate un” serio” libro di strategia (non una brochure lunga stampata in proprio da qualche consulente di terza fila) e lo confrontiate con i piani industriale redatti anche delle più quotate banche internazionali e vedrete che delle conoscenze di strategia d’impresa che questo libro propone  ne vengono usate  solo un piccolo spicchio.
E neanche il più avanzato.
I produttori di strategia e piani strategici più avanzati sono rimasti al Porter degli ani ’80.
Esistono conoscenze di controllo. Ma anche queste non vengono né usate, né insegnate. Prendete solo quella specifica tecnica di controllo che si chiama “Activity Based Costing”. Nessuno la usa integralmente. Anche perché, non individuando le unità di ricavo fondamentali, come si fa ad allocare significativamente i costi?
Come queste, molte altre conoscenze  non vengono né insegnate, né usate. Ancora un esempio: pensate ad un Consiglio di Amministrazione che deve valutare un Piano di fusione. Bene non troverete nessun accenno né alla dimensione antropologica, né alla dimensione sociale, né  a quella cognitiva ed emozionale delle due organizzazioni che si fondono. Insomma: come organizzare una matrimonio e valutare la sua probabilità di successo ragionando sul numero di piede di sposo e sposa.

Esistono, poi, le competenze manageriali vere e proprie (dalla leadership, alla negoziazione, alla comunicazione). Queste vengono insegnate al massimo agli impiegati ad alto potenziali, ma non ai managers dei primi livelli.. I managers di alto livello sono immaginati averle acquisite per opera dello Spirito Santo. Ma anche queste che vengono insegnate non vengono usate. Di peggio: al di là del fatto sono valide o meno, non posso essere usate proprio perché sono insegnate. Queste competenze  sono solo contestuali. Emergono in una contesto e hanno senso (sono usabili) solo in quel contesto. Quando qualcuno si immagina di trasferirle in un altro contesto accade che nel nuovo contesto le trovino incomprensibili ed  inapplicabili. Insomma: buttare soldi generando frustrazioni.

Come uscire da questa situazione? Partendo dalla saggezza dei top managers e, soprattutto, degli imprenditori. Intendo dire che, se tutti questi Signori non si curano della cultura manageriale, sia quella che conoscono, sia quella che non conoscono, è perché intuiscono che essa non può funzionare. Ed hanno ragione!

La cultura manageriale attuale è fondata su di una visione dell’impresa di tipo fondamentalmente meccanicista. Inadatta a comprendere le dinamiche sia interne che esterne all’impresa. Partendo dalla nuova visione del mondo che sta emergendo da tutte le scienze, sia naturali che umane, ed in particolare dalla meccanica quantistica, stiamo sviluppando una radicalmente diversa cultura manageriale.

Allora proponiamo che tutte le imprese inizino ad esplorare questa nuova cultura manageriale. I top managers si accorgeranno che essa conferma i loro sospetti che la cultura manageriale attuale è inadatta alla gestione complessiva d’impresa. E troveranno strumenti che potranno moltiplicare quelle “competenze manageriali naturali che la loro esperienza ha permesso loro di sviluppare.

Francesco Zanotti

2 commenti:

  1. Dall'intervista a Margaret Wheatley
    http://www.scottlondon.com/interviews/wheatley.html

    I had a realization that in my profession — which was vaguely labeled "organizational change," "organizational development," or "management consulting" in general — none of us knew how organizations change. When I talked to other consultants, I noticed that if we had an organizational change effort that was successful, it felt like a miracle to us.

    I realized with a great start one day that we weren't even geared up for success. It didn't matter that we didn't know how to change organizations. We were all professionals who didn't hope to achieve what we were selling or suggesting to clients. The field was really moribund.

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  2. Come la scienza può soltanto, in ultima analisi, darci la misura dei nostri mezzi di investigazione, e non una risposta definitiva sulla realtà e sulla natura, allo stesso modo la cosiddetta cultura manageriale “tradizionale” ci offre materia d’investigazione per definire i suoi stessi limiti. Eppure ci rifiutiamo di accettarli, ci ripugna anche solamente il pensiero che metodi e modelli tradizionali siano inefficaci e inadeguati.
    L’affermazione che le “imprese insegnano la cultura manageriale” è quindi, in certa misura, falsa.
    L’impresa odierna, ancorata saldamente al materialismo del risultato immediato, tratta la formazione come un “male necessario”, qualcosa che, nella migliore delle ipotesi, si deve fare perché più o meno lo fanno tutti e, nella peggiore, la si fa perché nel mondo imprenditoriale la formazione manageriale dà una sorta di aura, di blasone: diventa un veicolo di marketing che porta (e qui il cerchio si chiude) al risultato immediato.
    Nelle multinazionali si “contano” le ore di formazione, pubblicizzando poi il dato come garanzia di professionalità ed esponendolo come vessillo di prestigio. Ciò lascia trasparire una visione grossolanamente quantitativa della cultura manageriale e, più in generale, della formazione. D’altro canto, se consideriamo che la maggioranza degli imprenditori ha una visione quantitativa dell’impresa stessa, ciò non dovrebbe sorprendere.
    Il punto non è che le imprese non “la ritengono utile perché non la usano”, ma che non la usano perché non la ritengono utile. Un’osservazione banale: quali sono i primi costi che l’impresa taglia quando si trova in momenti di crisi o difficoltà? Il “personale” e la “formazione”. Se ci si pensa bene, qui si trova il paradosso della cultura manageriale, che taglia dove dovrebbe seminare, stermina le galline preservando le poche uova rimaste.
    E questo prova che la visione meccanicistica è ancora il paradigma predominante che domina l’impresa e affligge il management. E che ha contribuito a far sì che questa crisi (o almeno quella parte di crisi “reale”, vale a dire quella parte non opportunamente promossa e veicolata) non sia ancora stata superata. In sintesi, stiamo affrontando un contesto economico, sociale, umanistico e scientifico del tutto nuovo, con idee, strumenti e modelli ormai inadeguati. Paradossalmente, il cambiamento ha sorpreso proprio noi essere umani che siamo, per natura, esseri cangianti.
    La scienza classica ci ha insegnato che tutto è in qualche modo prevedibile e misurabile, e, di conseguenza, controllabile. Ma la Natura ci sta richiamando verso le sue leggi. Dobbiamo imparare ad ascoltarle, anche nel nostro ruolo di manager.

    MASSIMILIANO MANOCCHIA

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