"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 24 febbraio 2011

La Leadership confusa e malintesa... col sospetto della manipolazione.


L'inserto Job24 del sole24ore di ieri riporta la classifica mondiale di Hay Group delle migliori aziende per la Leadership.

Il segreto delle imprese di successo- inizia l'articolo- una dirigenza e una leadership aziendale forte e preparata.
Cosa significa?
...coinvolgere i dirigenti locali nella definizione delle decisioni prese nelle sedi centrali...
e ancora
...le società si aspettano che tutti i dipendenti portino all'interno dell'organizzazione valore, idee e novità...
ma come si fa a realizzarlo su "tutti" se poi si enfatizza l'importanza dei "leader" e dei "talenti" ?
Tutto mi suona come vuoti slogan di chi non sa più che dire o, peggio, sento puzza di mistificazione e manipolazione, una mano di vernice fresca per coprire il solito vecchio ritornello: solo i bravi mi interessano, tutti gli altri o diventano come loro o è carne da macello, pedalare e stare zitti!

Per fare chiarezza e portare un po' d'aria fresca sull'argomento, sono andato a riprendere un articolo apparso sul Financial Time del 2006 (ma nel "Management" non si fanno mai passi avanti? Nessuno dei manager che hanno realizzato questi programmi di leadership ha mai letto cose del genere in 5 anni?) del Prof. Henry Mintzberg che supera questa concezione antica e devastante dell'organizzazione di "successo" per introdurre considerazioni più sane e pacate, ma sopratutto più funzionali ed efficaci nelle complessità del mondo di oggi (di qualsiasi latitudine come i recenti fatti di cronaca nel Nord Africa ci testimoniano).


Siamo ossessionati dalla leadership.
Il suo scopo dovrebbe essere quello di rafforzare le persone (empower), ma in effetti le indebolisce. Concentrandosi su una singola persona, anche nel contesto di altre, la leadership diventa parte della sindrome dell’individualità che sta distruggendo il mondo,  indebolendo le organizzazioni e più in generale le comunità.

Ovviamente la leadership è importante, e può fare la differenza, ma che tipo di leadership conta davvero? E’ la leadership eroica, così comunemente ritratta dalla stampa? E’ il cavaliere bianco con  il cavallo bianco che arriva per salvare l’oggi, cambiando ogni cosa in un batter d’occhio, anche se è arrivato soltanto ieri?  Che conosce a malapena l’organizzazione, la sua storia o la sua cultura? E’ dimostrato che questa è la miglior formula per un disastro.

Il mondo è stato conquistato da una nuova aristocrazia: la leadership dissociata da cosa essa si suppone sia. Forse è il momento per considerare leader/manager ordinariamente semplici.
Il problema serio è il “macro” management, manager che siedono al “top” e che pronunciano le loro grandi visioni, grandi strategie e astratti standard di performance mentre tutti gli altri si suppone che si diano da fare  per “l’implementazione” .  
Ne abbiamo troppa di questa leadership, una leadership su di giri, focalizzata sull’individuo, indipendente dal contesto, così popolare nelle classi degli MBA e nella stampa. Nessun leader è mai stato creato in aula.
La leadership cresce nel contesto, dove guadagna la sua più importante caratteristica: la leggittimità. 

Il più delle volte al giorno d’oggi abbiamo leadership illeggittima, selezionata da chi sta fuori e imposta a chi sta dentro. Un consiglio di amministrazione, fatto principalmente di esterni, viene affascinato da un candidato la cui pratica di management è a loro ignota.  
La vera leadership è guadagnata internamente, nell’unità, nell’organizzazione, nella comunità, o anche nella nazione, che non solo accetta la guida di alcune persone, ma le cerca e le sostiene con entusiasmo. Quante aziende o paesi oggi possono dichiarare di essere guidate da persone con queto tipo di leggittimità? Quanti attuali capi di stato sono stati investiti da una schiacciante popolarità come, ad esempio, Nelson Mandela in Sud Africa?


Ma anche questo ingigantisce la questione della leadership. 
Le persone ovviamente cercano leaders ma spesso si confondono mischiando “leader” con “leadership”.  In altre parole esiste la necessità di avere molto di più di ciò che è stato chiamato “leadership distribuita”, ovvero  il ruolo fluido, condiviso da varie persone in un gruppo secondo le loro capacità e il cambiamento delle condizioni. E’ come lavorano i gruppi di Linux e Wikipedia!


Ma chiamare anche questo “leadership” non è appropriato, perchè la sua efficacia non è nè in capo ad un individuo nè nel processo collettivo sociale, ma nella comunità.
Ogni volta che usiamo la parola leadership, pertanto, dobbiamo metterci in testa che isola un individuo trattando tutti gli altri come “follower”. E’ questo il tipo di mondo che vogliamo: una massa di follower? Questo farà le nostre società e istituzioni un posto migliore?

La nostra ossessione di leadership, di qualunque tipo, ci porta a costruire organizzazioni totalmente dipendenti da iniziative individuali, non permettendo loro di funzionare come comunità. Così quando falliscono malediciamo il leader e ne cerchiamo uno migliore. Come tossicodipendenti ogni volta abbiamo bisogno di una dose maggiore.
Non è tempo di pensare le nostre organizzazioni come comunità di cooperazione, e così facendo mettere la leadership nel suo posto: di fianco ad altri importanti processi sociali?


Sbarazziamoci del culto della leadership (e della sua misurazione! N.d.T.), battendoci contro la nostra crescente ossessione di individualità, non per creare un nuovo culto intorno alla leadership distribuita, ma per riconoscere che il troppo uso della parola leadership fa pendere verso l’individuo e allontana dalla comunità. Non solo abbiamo bisogno di migliore leadership, abbiamo anche bisogno di minor leadership.

E se mettessimo in discussione ogni singolo discorso, programma, articolo e libro che usa la parola “leadership”  non dando uguale attenzione alla “community-ship” in una forma o in un’altra? Potrebbe avere profonde implicazioni, non solo per l’efficacia delle nostre organizzazioni, ma anche per la democrazia delle nostre società.
( e che insegnamento in tal senso ci sta venendo in questi giorni dai nostri dirimpettai del Mediterrano! N.d.T.)




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