"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 31 maggio 2011

Carri, Cavalli, organizzazione aziendale e il problema della cultura


Nel solo mese di Giugno sono previste diverse conferenze e seminari nell’ambito della gestione delle persone. Passiamo da “L’impugnazione dei licenziamenti” al “Forum Formazione e Sviluppo”,  dall’ “Azienda come Polifonia” a “Semplificazione e Competitività”.
Non è sempre chiaro, anzi sempre più spesso oscuro, i propositi degli organizzatori di tali eventi, quali modelli abbiano in mente e cosa vogliano proporre. Tolti i temi tecnici di utilizzo immediato, ma limitato, che strumenti si vogliono presentare? E per fare cosa?
Per affrontare il tema dietro questi interrogativi, consentitemi una metafora.

Supponiamo di voler raggiungere uno scopo: trasportare merci.
Per realizzarlo abbiamo predisposto un carro trainato da cavalli. Il carro servirà a caricare le merci e ospitare il conducente, i cavalli forniranno le forza motrice per trascinare il carro e raggiungere così lo scopo. 
Supponiamo adesso di voler apportare dei miglioramenti: aumentare il carico, percorrere strade sconnesse, inerpicarsi su salite e discese, aumentare il comfort del conducente, eccetera.
Interverremo sul carro, apportando modifiche, calcolando e progettando le migliorie necessarie.


Ottenuto il miglior carro possibile per le nostre esigenze, ci rendiamo conto che abbiamo problemi con i cavalli: sembrano stanchi, ogni tanto qualcuno si imbizzarisce, mangiano poco. 
Che “migliorie” potremmo apportare ai cavalli?
Sarà possibile seguire lo stesso approccio “progettuale” che abbiamo usato con il carro?
Evidentemente no, per un motivo profondo ma semplice: il carro lo abbiamo fatto noi, il cavallo no.  Il carro è una macchina, la bestia non lo è, anche se talvolta qualcuno tenta di “assimilarlo” ad essa.

Se usiamo questa metafora per descrivere l’organizzazione aziendale, possiamo ben riconoscere che è composta dalle stesse due parti: una formale, progettata da noi, con procedure, regole e uno “scopo” che è la ragione d’esistenza stessa: il supporto al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

L’altra parte invece, il cavallo, non è formale (chiamiamola “informale” per complemento ad essa o “spontanea” perché non è progettata da qualcuno) ed è costituita dalle persone e i loro comportamenti.

Il carro, la parte formale, da solo non va da nessuna parte, è un oggetto inanimato fermo in un angolo e incapace  di raggiungere  lo scopo per il quale è stato costruito. Fatto un organigramma, delle procedure, dei manuali che le descrivono in dettaglio, non si può dire che il tutto sia un’organizzazione se non realizzata da una comunità di persone.

I cavalli invece, cioè le persone, sono il motore e sono liberi di comportarsi come meglio gli pare. Non hanno uno scopo se non quello di mantenere la propria identità  che non è legata al carro, ovvero fuori dell’azienda. Corrono, scorazzano, possono anche trasportare merci se gli aggrada, anche se in quantità minore, e possiedono tutta una serie di proprietà sconosciute ed inapplicabili al carro: nascono, si sviluppano, si riproducono, interagiscono con l’ambiente, apprendono, e alla fine muoiono. E lo fanno senza nessun intervento esterno, a volte anche a dispetto di esso.

Allora se un organizzazione aziendale è l’accoppiata di un carro, le procedure e l’organizzazione formale, e di cavalli, le persone, e se le competenze per agire sul carro sono di tipo ingegneristico, come si agisce sulla parte “cavallo” dell’organizzazione aziendale (quella informale)?
Di certo non considerandola una macchina, sarebbe inutile e pericoloso. E nemmeno cercando di traslare i concetti e gli strumenti di un campo nell’altro. Se per il carro ha senso tagliare i mozzi delle ruote per evitare che sporgano, non posso pensare di tagliare le zampe del cavallo se mi servisse più basso. Posso irrobustire il piano di carico del carro, ma non posso ingigantire il dorso del cavallo per sopportare un imbracatura più ingombrante.
In poche parole sul carro, che ho progettato io, posso apportare modifiche, sul cavallo, che non ho fatto io, assolutamente no. Intervenire su di esso sgnifica adottare strategia ben lontane dalla cultura “meccanica”.
Oggi la cultura prevalente del management, essendo esclusivamente di tipo ingegneristico, è concentrata sulla parte formale. Per la parte informale si apre un bivio: da un lato si continua a cercare il modo di “ridurre” il cavallo ad una macchina, dall’altro si rinuncia lasciando l’iniziativa di governo all’esperienza dei singoli (o alle suggestioni del guru di turno con bassa o nulla probabilità di successo e replicabilità).

Mentre i seminari “tecnici” affrontano i temi del “carro”, pare che tutti gli altri cadano nella tentazione della “riduzione” o della “suggestione” sterile.
A mio avviso bisogna affrontare il problema da un punto di vista “sistemico” nuovo, a partire dalla rinuncia dei postulati del vecchio.
La soluzione del problema parte da una nuova cultura, che esiste da tempo, unico mezzo per dotarsi di prospettive diverse.

Abbiamo tempo per questo investimento o preferiamo continuare a cercare di “semplificare” il cavallo nella speranza di ottenere qualcosa?


Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

1 commento:

  1. Ho trovato questa metafora estremamente potente, ed un forte stimolante a riflessioni ulteriori che spero si potranno progressivamente approfondire su questo blog.

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