Sul New York times Magazine di qualche settimana fa, riportato sull’Internazionale del 13 Maggio, è apparso un articolo sul lavoro di Geoffrey West, fisico teorico americano.
Lo scienziato è da circa un ventennio che si occupa dello studio delle città, alla ricerca di “leggi”, o tendenze, che ne possano spiegare i comportamenti e le cause di sviluppo o declino.
Sinceramente sono sempre molto scettico nel considerare tali approcci riduzionistici a tematiche complesse come quelle relative agli esseri umani. L’idea che ci possano essere formule che spiegano i comportamenti umani è figlia della visione meccanica, e vetero scientifica, del mondo in cui siamo immersi totalmente, i media in prima linea. Lascio dunque ” la colpa” di questo taglio sensazionalistico, ahinoi così comune, all’entusiasmo ignorante, o strumentale, del giornalista più che allo scienziato la cui opera al momento mi è ignota .
E’ interessante però nel finale l’accenno ad un nuovo interesse di West dopo le città: le grandi aziende.
Dopo una prima osservazione ovvia, ma sulla quale converrebbe soffermarsi (“le città non muoiono quasi mai mentre le aziende sono effimere”), applica la relazione che ha scoperto sulle città sull’indice di sviluppo alle aziende. Con una scoperta sorprendente: mentre nelle prime all’aumentare della popolazione l’indice di sviluppo aumenta in modo “superlineare”, nelle seconde, dopo una certa soglia, diminuisce. Cioè se il numero dei dipendenti aumenta, la quota di profitti pro-capite cala.
Dopo una prima osservazione ovvia, ma sulla quale converrebbe soffermarsi (“le città non muoiono quasi mai mentre le aziende sono effimere”), applica la relazione che ha scoperto sulle città sull’indice di sviluppo alle aziende. Con una scoperta sorprendente: mentre nelle prime all’aumentare della popolazione l’indice di sviluppo aumenta in modo “superlineare”, nelle seconde, dopo una certa soglia, diminuisce. Cioè se il numero dei dipendenti aumenta, la quota di profitti pro-capite cala.
La spiegazione ce la dà lo stesso West: “A differenza delle imprese, che sono governate dall’alto, le città sono luoghi indisciplinati che sfuggono ai desideri dei politici e degli amministratori. Le città sono ingestibili ed è proprio questo che le rende così vive”.
Una constatazione dell’inefficacia del modello “comando e controllo” e uno stimolo a trovarne ed applicarne altri. Sono i manager consci di questo? Hanno gli strumenti culturali per valutarne altri? Li stanno ricercando?
La vita dell’azienda dipende dalla sua vitalità, che viene rappresentata dai parametri economici, non viceversa (i parametri economici sono effetto non causa della vitalità).
Agire su questa vitalità significa trovare e applicare nuovi stili che stimolino la creatività, la capacità di creare valore, che poi si manifesta in produttività.
Dunque, seguendo il modello di West, non c’è bisogno di leadership alla vecchia maniera ma di “communitiship” che stimoli e sviluppi le “comunità” aziendali rinunciando a gestirle comprendendone le cause dei comportamenti ma “accontendandosi” dei risultati ottenuti.
Ancora una volta un segnale di una nuova direzione da intraprendere verso la quale vi sono già delle proposte concrete.
Ignorarle significa mettere a rischio la vitalità delle imprese e dei posti di lavoro, anche dei manager.
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
Recentemente uno documentario su Sky mi aveva introdotto al meraviglioso mondo di West.
RispondiEliminaPer chi fosse stato incuriosito dai suoi avori suggerisco di dare uno sguardo a http://www.youtube.com/watch?v=BIU-xSoSKFw (attenzione è in tre parti)
dove le considerazioni in merito alle "leggi" che governano organismi biologici, città e Corporation (il punto di nostro interesse) sono analizzate in dettaglio