Il sole24ore di oggi riporta l'ennesima, triste, inutile classifica nell'ambito delle persone: questa volta si parla di "talenti".
La società Heidrick & Struggles ha stilato una classifica, secondo parametri da lei scelti e, per definizione, tutti discutibili, grazie alla quale mette in fila 60 paesi del mondo secondo la capacità di produrre talenti per le aziende. L'Italia è messa maluccio, come la Grecia.
E' evidente che il paradigma con il quale questa società di consulenza, come tantissime altre, guarda all'impresa è quella della macchina: migliori sono i singoli pezzi, almeno i più importanti, e meglio funzionerà l'insieme.
Chiunque stia in azienda sa che così non è. I talenti, intesi come "componenti" dalle "prestazioni" eccezionali in qualsiasi contesto non esistono.
Tutte le persone sono "talenti", a patto che trovino il contesto giusto per esprimerlo.
La "prestazione", termine più adeguato ad un motore che ad un insieme di persone, è fattore legato alla capacità di creare una coesione tra i singoli elementi che permetta di erogare qualcosa che è ben di più della somma delle unità che ne fanno parte.
Un'illuminante esempio, qualora ce ne sia necessità, viene dal mondo dello sport e proprio dal paese così vituperato in questi giorni: la Grecia.
Ricordate gli europei del 2004 in Portogallo?
Vi parteciparono ovviamente le migliori squadre continentali, compagini i cui singoli elementi valevano milioni di euro sul mercato. La squadra greca, nel suo insieme, forse non valeva un singolo campione dell'Inghilterra, della Spagna, della Francia o dell'Italia.
Dunque non era composta di "talenti". Cosa accadde lo sapete tutti: vinse quel torneo sbattendo fuori addirittura quella Francia campione del mondo e campione europeo uscente.
Servirono i "talenti" ai cugini di oltralpe? Evidentemente no.
Servirebbero molto invece alle aziende strumenti per comprendere come far diventare la loro organizzazione come la nazionale di calcio Greca del 2004: eccellente con ciò che si ha.
Altre che classifiche...
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
P.S. Mi piace ricordare di quel torneo anche un episodio molto emblematico. Nelle semifinali Portogallo e Inghilterra si giocarono il passaggio al turno successivo ai rigori. Il portiere portoghese, Ricardo, dopo aver parato l'ultimo tiro ad un "talento" inglese , esaltato e motivato dal gesto decide di tirare lui steso il rigore segnandolo e assicurando la vittoria alla sua squadra.
Chi è sul campo sa sempre come e cosa fare.
Le aziende hanno gli strumenti per comprenderlo e permetterlo?
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