Ancora una volta si parla, anzi si celebra e con molta pompa, il mito della specializzazione. Addirittura celebrandolo come la prossima "big idea" dalle pagine dell'Harvard Business Review di questo mese. E' patrimonio di moltissime discipline ormai, dalla fisica alla biologia, dalla matematica alle neuroscienze, per non parlare delle arti e delle materie umanistiche, il superamento del riduzionismo (faccio a "pezzi" un problema, risolvo ogni pezzo e, ricomponendo il tutto, ho il problema risolto) come pratica di conoscenza e governo della realtà. Questo approccio ha portato enormi benefici e si è dimostrato efficacie in un ampio range di attività, ma, sempre più spesso, chiunque abbia varcato quei confini ne ha scoperto l'inefficacia: vi è un limite oltre il quale il riduzionismo non funziona più e appare come una grossolana e ingenua semplificazione.
Vi sono inoltre problemi pratici riscontrabili nella specializzazione in tutti i settori: dalla medicina, all'informatica, dalla fisica all'ingegneria, dalla giurisprudenza all'economia. Lo specializzato, andando sempre più in profondità alla ricerca del "tutto del nulla", perde di vista lo scopo principale della specializzazione, che si trasforma in un'isola che ha perso memoria e senso del suo esistere in funzione del contesto. Il suo ambito, sempre più ristretto, ma profondo, diventa l'universo sufficiente a se stesso nel quale vive e prospera, considerando una minaccia chiunque osi metterlo in discussione. Dunque specializzazione, e i suoi eccessi, non solo inutile ma anche dannosa.
Il peccato però più grave dell'inno alla specializzazione è che offre uno sconsolato e triste scenario del mondo in cui tutto è noto, nulla è da inventare ma solo da gestire.
Viviamo in un mondo dove il massimo impegno pare sia "amministrare": economia, scienza, arte, idee. Non sono previsti fatti intrinsecamente nuovi. Un sistema che ha come prospettiva quello di mantenersi, riferendosi solo a se stesso, non si svilupperà, incapace di leggere l'ambiente e capire emergenze e cambiamenti strutturali.
Ho preso in prestito le parole del Prof. Minati, presidente dell'AIRS e caro amico, perchè ritengo siano di grande efficacia per descrivere lo stato nel quale ci ostiniamo a rimanere, nelle aziende e nella società tutta.
Uscirne è esercizio da praticare solo con gli strumenti della conoscenza, onde evitare di ricadere ogni volta nel "buco" cognitivo dal quale vogliamo fuggire. Quella conoscenza, che altre discipline hanno già elaborato e che può essere di grande stimolo e aiuto alla teoria e pratica del governo dei sistemi umani, aziende comprese, è però assente dalle prestigiose riviste del settore. E' vitale, per i dirigenti che hanno responsabilità di governo e sentono la necessità di vera innovazione, pretenderne l'accesso e la fruibilità nei loro contesti.
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
Vi sono inoltre problemi pratici riscontrabili nella specializzazione in tutti i settori: dalla medicina, all'informatica, dalla fisica all'ingegneria, dalla giurisprudenza all'economia. Lo specializzato, andando sempre più in profondità alla ricerca del "tutto del nulla", perde di vista lo scopo principale della specializzazione, che si trasforma in un'isola che ha perso memoria e senso del suo esistere in funzione del contesto. Il suo ambito, sempre più ristretto, ma profondo, diventa l'universo sufficiente a se stesso nel quale vive e prospera, considerando una minaccia chiunque osi metterlo in discussione. Dunque specializzazione, e i suoi eccessi, non solo inutile ma anche dannosa.
Il peccato però più grave dell'inno alla specializzazione è che offre uno sconsolato e triste scenario del mondo in cui tutto è noto, nulla è da inventare ma solo da gestire.
Viviamo in un mondo dove il massimo impegno pare sia "amministrare": economia, scienza, arte, idee. Non sono previsti fatti intrinsecamente nuovi. Un sistema che ha come prospettiva quello di mantenersi, riferendosi solo a se stesso, non si svilupperà, incapace di leggere l'ambiente e capire emergenze e cambiamenti strutturali.
Ho preso in prestito le parole del Prof. Minati, presidente dell'AIRS e caro amico, perchè ritengo siano di grande efficacia per descrivere lo stato nel quale ci ostiniamo a rimanere, nelle aziende e nella società tutta.
Uscirne è esercizio da praticare solo con gli strumenti della conoscenza, onde evitare di ricadere ogni volta nel "buco" cognitivo dal quale vogliamo fuggire. Quella conoscenza, che altre discipline hanno già elaborato e che può essere di grande stimolo e aiuto alla teoria e pratica del governo dei sistemi umani, aziende comprese, è però assente dalle prestigiose riviste del settore. E' vitale, per i dirigenti che hanno responsabilità di governo e sentono la necessità di vera innovazione, pretenderne l'accesso e la fruibilità nei loro contesti.
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
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