Egr. Dott. Sassoon
Ho letto con sorpresa e interesse il suo editoriale sull'ultimo Harvard Business Review dal titolo "L'azienda guidata dai valori".
La sorpresa deriva dalla novità, nel titolo e nelle argomentazioni, di questa affermazione che testimonia ancora una volta un comune sentimento: l'azienda ha come suo scopo primario quello di fare soldi. Dunque è arrivato il momento, per poter continuare a perseguire comunque prioritariamente l'obiettivo economico, affiancare scopi secondari, funzionali a quello primario, per mitigare i guasti percepiti dalla collettività.
Non gliene faccio addebito, lei si limita a riportare il sentimento della maggior parte dell'attuale classe dirigente in tutti i settori della società civile occidentale, dunque non solo il mondo delle aziende, ma proprio per l'urgenza che lei richiama alla fine, non sarebbe ora di sollecitare un profondo cambio di prospettiva?
L'azienda non è un corpo estraneo alla società e all'ambiente. Non lavoriamo su Marte, mangiandoci le risorse di quel pianeta e scaricandone in loco i rifiuti dopo aver sfruttato le comunità marziane, per poi tornare la sera sulla Terra, sereno e felice giardino dove viviamo prosperi e felici. E la Terra, come i media ci ricordano quotidianamente, non ha dimensioni infinite.
Le aziende vivono e crescono in mezzo alle comunità, utilizzandone le risorse ma godendo del loro supporto se capaci di sviluppo e prosperità locale. E' sempre stato così e lo è ancora per quelle aziende in giro per il mondo, come lei ricorda, non condotte da cavalieri col cavallo e spada sguainata ma "da normalissimi manager e imprenditori ben coscienti dell’esigenza di produrre profitti in un quadro più ampio di obiettivi".
Ecco, la "normalità" di queste persone non è nella coscienza di "produrre profitti in un quadro più ampio di obiettivi" ma dalla loro volontà di essere a servizio della comunità (le persone sono là fuori, pronte a decretare il successo di un prodotto o il suo fallimento, l'elezione di un governo o l'altro), sia realizzando un sogno incarnato in un prodotto o servizio che affascini e renda più bello e giusto il mondo che viviamo, sia fornendo onestamente ciò di cui abbisogniamo quotidianamente.
Insomma le aziende esistono per servire i clienti, e da quì ne traggono il giusto profitto, e non per fare profitto, a scapito dei clienti!
E se fosse vera la seconda ipotesi, oltre ad esserci un pericoloso scambio tra causa ed effetto, perchè io e lei dovremmo comprare un prodotto semplicemente per far raggiungere gli obiettivi di profitto a dei signori che manco conosciamo?
Allora non pensa che sia ora di fornire ai suoi lettori degli strumenti culturali, anche offrendo un dibattito aperto a tutti, che consenta loro di superare l'artificiale cesura tra obiettivi di profitto e "valori", per considerare finalmente l'azienda come un tutt'uno e a servizio della comunità alla quale è in ogni caso intimamente legata (clienti innanzitutto, ma anche dipendenti, fornitori, partner)?
E non trova anche che sia ora di liberare quelle enormi risorse cognitive, che sono in ognuno di noi che lavora, invitando la classe dirigente aziendale a cambiare ruolo?
Mostrare, ad esempio, come smettere di pensare di essere depositari di presunte scienze e capacità infuse, a cui viene chiesto di "comandare e controllare", e divenire fornitori di stimoli e linguaggi per le persone nell'organizzazione, affinchè siano in grado di rappresentare la loro creatività, e ideatori di sintesi, che rappresentino tutte le istanze arricchendole e guidandone l'esecuzione.
I clienti, i fornitori, i partner e sopratutto i dipendenti sanno riconoscere cosa è una buona azienda e cosa no, gli unici che ne discutono sono la classe dirigente e i loro strumenti di comunicazione.
Ignoranza causata da chiusura autoreferenzialedi una categoria di persone, anticamera della sua scomparsa, o protervia finalizzata a salvaguardare ingiustificati privilegi di casta?
La prego non prenda questo mio ultimo interrogativo come gratuita provocazione, ma come sincero contributo a stimolare un serio dibattito prima che possa accadere il peggio, che quelle richieste spesso infondate e
irricevibili,e accuse spesso male concepite e ancor peggio indirizzate che lei pur richiama nel suo editoriale, diventino la forza inarrestabile di quelle masse di indignati che già affollano le nostre piazze, stufe di sterili dibattiti e semplicistiche soluzioni, che ricordano le proposte di Maria Antonietta di Francia, e ansiose di cambiare le loro vite senza prospettive perchè sentono di esserne stati tutti derubati da pochi, e sempre meno, "eletti".
l.martinoli@cse-crescendo.com
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