"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 1 marzo 2011

Sintesi di una discussione su "Impresa Diversa"



Partecipo al blog del gruppo “Impresa diversa” su Linkedin. Qualche settimana fa ho riproposto in quel luogo virtuale il tema della "cultura" manageriale e si è sviluppato un dibattito. Tento di enucleare alcuni temi di discussione che mi sono sembrati centrali sia perché affrontati da più persone sia per loro specifica importanza. I temi sono sostanzialmente tre. Il primo riguarda la teoria dei sistemi, il secondo la specificità della singola organizzazione, il terzo riguarda il significato dell’espressione cultura manageriale.

Per ognuno di essi tento una sintesi del dibattito, esprimo mie riflessioni e avanzo qualche stilla di proposta.
  

La teoria dei sistemi, la conoscenza sistemica

Credo si tratti di un terreno minato da tante illusioni che rischiano di esploderci in mano. Una grande esplosione di delusione. Credo, però, si tratti anche di un terreno fiorito di mille opportunità che oggi rischiamo di usare solo come “spezia” in qualche piatto … formativo. Quindi rischiamo di rovinarle.

Mi spiego. Non sono contro la teoria dei sistemi. Anzi, insieme ad alcuni amici, tra i quali il Prof. Gianfranco Minati, Presidente dell’Associazione Italiana per la ricerca sui Sistemi, stiamo tentando di costruire un rilevante progresso costituito dalla “Sistemica Quantistica”.
Sono un fervente adepto (e ricercatore) della “sistemica” e a mano a mano che le mie ricerche procedono, mi rendo conto che la ragione della disillusione sta nella insufficienza della attuale teoria dei sistemi.

Le tante discipline ed autori citati nei diversi interventi sono solo stille di teoria dei sistemi  che non si sono ancora coagulate in una teoria applicabile. Non l’hanno raggiunta dal punto di vista scientifico. Non l’hanno raggiunta dal punto di vista applicativo.

Dal punto di vista scientifico non si stanno usando alcuni capisaldi del pensiero scientifico come la meccanica quantistica e i teoremi di indecidibilità che costituiscono il “fondamento” della teoria dei sistemi auto poietici. Di quest’ultima teoria se ne usa la versione originale di Maturana e Varela. Peggio la si considera da un punto di vista “ontologico” (chiedendosi, ad esempio, se ma l’organizzazione è un sistema autopoietico o no?)invece di considerarla un utile modello per sistemi caratterizzati (come tutti i sistemi umani) da autoreferenza. Cioè da operazioni che svolgono all’interno del sistema.

Una frase che ho trovato e che mi sembra rappresenti bene questa incertezza teorica è la seguente: “Un'organizzazione è un sistema vivente che funziona esattamente come una persona”.
Non credo sia possibile costruire un isomorfismo tra sistema vivente, persona ed organizzazione. Sono tutt’e tre sistemi complessi, cioè non computabili, ma sono di categorie diverse. Considerarli isomorfi costruisce solo genericità. Poi un sistema complesso (questa affermazione vale per tutti e tre i tipi di sistemi complessi) non è caratterizzato da processi di funzionamento, ma da processi evolutivi che vengono costruiti dalle operazioni autopoietiche fondamentali dei tre sistemi. Nikclas Luhmann è l’autore che può fornire dettagli di questa mie affermazioni, anche se la sua poderosa costruzione teorica non è certo il punto di approdo ultimo.

Da un punto di vista applicativo, ci si limita ad usare concetti vaghi come la learning organization dando al processo di learning un significato molto qualitativo e spesso assolutamente personale. Tanto che la metafora della learning organization diventa  uno strumento retorico: una occasione per affermare alcuni valori che ci sembrano dimenticati. In alcune derive, che sconfinano nel patologico, la si usa come strumento di autorappresentazione e di rivincita verso i pessimi top managers che ci hanno buttato fuori da qualche ruolo manageriale o non comprano i nostri corsi di formazione dove parliamo di autopoiesi.

Dimentichiamo anche che un sistema complesso non apprende, ma crea conoscenza che ha significato solo al suo interno. Perché le relazioni con l’esterno sono di tipo “accoppiamento strutturale” che significa: apertura da un punto di vista “energetico”, ma chiusura dal punto di vista dello scambio di significato.

Sempre da un punto di vista applicativo ci si dimentica, ad esempio, della sfida della strategia d’impresa. Si immagina che, per affrontare il futuro, possa bastare la metafora del cambiamento organizzativo, lasciando inalterata la struttura strategica dell’impresa (la sua vision, la sua mission, le sue unità di business, il suo ruolo e significato sociale, politico culturale). Cosicché si porta acqua al retrogrado mulino di chi vede i vertici aziendali come “nemici” egoisti che badano solo al profitto schiacciando le persone. E si arriva a perseguire assurdi strategici come “l’organizzazione come la tua casa ”. Intendo, l’assurdo strategico di voler cambiare l’organizzazione solo all’interno e non la sua proposta imprenditoriale al mondo. L’inventore di questa espressione (l’organizzazione come la tua casa) è Pino Varchetta. Ad una sua conferenza ho fatto una obiezione: “Ma se una impresa fa, ad esempio, scarpe sfigate con costi impossibili, non può far sì che la sua organizzazione possa diventare la casa di qualcuno continuando a produrre scarpe sfigate. Si sarà costretti a chiuderla.” Ovviamente Varchetta non ha saputo rispondere alla mia obiezione ed ha convenuto che organizzazioni con questo tipo di proposte imprenditoriali non diverranno mai la casa di alcuno. Il problema oggi è che tutte le imprese devono ridisegnare la loro proposta imprenditoriale. E non possono farlo usando la metafora della learning organization perché una impresa non impara dall’ambiente (dal mercato), ma li crea: ambiente e mercato. Il generare una nuova proposta imprenditoriale è un processo di creazione sociale di conoscenza che non può semanticamente essere schiacciato nell’espressione “Learning Organization”.

Non posso che chiudere la discussione di questo primo tema con una proposta.  Invece di adagiarci nelle debolissime metafore attuali, usandole come etichette per dimostrare quanto si è bravi e aggiornati, perché non aumentiamo la massa dei ricercatori che hanno voglia di partecipare a costruire una nuova teoria dei sistemi? Sul nostro blog balbettantipoietici.blogspot.com si può trovare il documento che descrive il nostro progetto di ricerca al quale tutti possono partecipare dando il loro contributo alle domande (oggi senza risposte)  che il progetto stesso propone alla riflessione.

La specificità di ogni organizzazione

Questa discussione risuona periodicamente alle orecchie di tutti quelli che cercano un  confronto sociale alle proprie idee.

Le tesi che vengono sostenute si collocano in un continuum ad un estremo del quale vi è una visione ingegneristica (un metodo di dettaglio valido in assoluto) ed all’altro estremo si colloca il rifiuto di ogni metodo.
Io credo che ambedue gli estremi siano esiziali per lo sviluppo sia di una sistema economico che delle professioni del consulente e del manager.
In realtà, questi due estremi rappresentano  due modi di porsi nei confronti del mondo e, nello specifico, delle imprese.  E sono ambedue trappole.

Se si crede nella disponibilità di un metodo soddisfacente ed unico, si elimina il contributo umano e si affida il management al calcolo. Ovviamente è una stupidaggine perché un sistema umano, come una impresa, non è calcolabile.

Se si rifiuta ogni metodo si innesca una strana competizione: in assenza di  metodi  valgono solo l’esperienza e la bravura. Ma quale diventa il contributo che si può dare ad un manager? Nessuno se è più bravo ed ha più esperienze di noi. Quello di sostituirlo se pensiamo sia meno bravo e meno esperienziato. Il primo contributo è nullo. Il secondo è inaccettabile. Si scatena così un rifiuto all’aiuto che noi consulenti attribuiamo a chiusura mentale e che, invece, è solo frutto di una proposta inaccettabile.

Ma anche una posizione intermedia (metà metodo, metà esperienza e bravura) non risolve il problema.

Occorre una proposta strutturalmente terza. Che riesca anche ad andare incontro alle profonde incertezze attuali di manager e consulenti.

La proposta terza è quella di considerare il metodo come linguaggio.
Il consulente non può continuare a considerarsi un risolutore di problemi.
La prima ragione è che oggi non dobbiamo risolvere problemi, ma costruire nuove strade.
La seconda è che la soluzione dei problemi o la costruzione di nuove strade deve essere fatto dal manager. Ma chi è il consulente, allora?
Come ho già anticipato, ed ora approfondisco, non può essere quello che analizza ed individua i problemi, perché non esistono viste oggettive. E quella del consulente vale quella di chiunque altro: sono viste costruite nel proprio cervello. Questo discorso vale soprattutto per quel consulente che vuole sostenere la superiorità del suo punto di vista a causa della sua superiore esperienza. Questo modo di presentarsi (auto rappresentarsi) è scientificamente infondato e si pone un obiettivo che genera rifiuto. Comunica al cliente manager (peggio ancora se si tratta di un cliente imprenditore) che deve lasciare spazio al consulente perché ha maggiore esperienze di lui.
Il consulente, invece, è colui che deve fornire nuovi modelli, metafore , schemi mentali. Faccio esempi:
·         Modelli strutturali. Ad esempio, quali sono le dimensioni rilevanti dell’ambiente esterno di una impresa
·         Modelli di evoluzione. Ad esempi, quale è il processo di evoluzione autonoma di una impresa nel suo ambiente competitivo? In questo caso il nostro lavoro di ricerca ci ha portato a conclusioni strane: la competizione non è un portato del libero mercato, ma del modo in cui si affronta il libero mercato. La competizione è fatta da chi compete.
·         Modelli di governo di questi processi di evoluzione spontanea


Cultura manageriale o cultura d’impresa?

Gli “oggetti” da prendere in considerazione sono due. Il primo è la cultura specifica di ogni organizzazione. La sua visione dell’ambiente in cui vive, del business in cui opera, dell’organizzazione. Si esprime nei piani strategici, nelle procedure, nei valori, nei miti etc. Credo che questo primo “oggetto” potrebbe chiamarsi cultura d’impresa, ma si può usare tranquillamente un altro nome: basta indicare esattamente quello che si vuole.Vi è poi un secondo oggetto da considerare che sono tutti i modelli e le metafore che descrivono la struttura, i processi di evoluzione e i processi di funzionamento del sistema impresa. Si tratta di un oggetto che evolve attraverso i processi di ricerca e costituisce il linguaggio attraverso il quale ogni organizzazione può costruire le sue storie. Questo insieme di modelli e metafore credo possa essere definito “cultura manageriale”.
Se si usano cultura d’impresa e cultura manageriale (o qualunque altra coppia di nomi si volesse usare per i due oggetti che ho cercato di descrivere) si potrebbe dire che la cultura manageriale è una risorsa (un linguaggio) attraverso la quale ogni impresa può costruire la sua cultura specifica.
Propongo un solo esempio. I modelli e le metafore di quel corpus teorico che è la strategie d’impresa serve ad una impresa per costruire la proprio specifica strategia.
Voglio provare ad essere chiari anche rischiando banalità. La cultura manageriale è come il calcolo strutturale (la metodologia degli elementi finiti, ad esempio). La cultura d’impresa è come l’ala dell’areo che viene progettata usando la metodologia degli elementi finiti.

Questa chiarificazione mi permette di evidenziare quello che secondo me è il problema di fondo. La cultura manageriale attuale è troppo povera. Ad esempio, non sfrutta certo le potenzialità della teroia dei sistemi. Tanto meno della nascente “sistemica quantistica”. Di questa ”conoscenza” (pensandoci bene forse è meglio parlare di conoscenza manageriale), già poverella di suo, le nostre imprese ne usano solo un piccolissimo sottoinsieme che sta perpetuandosi nei decenni.

Allora concludo ripetendomi, sperando che la ripetizione rafforzi.
Partecipate al nostro progetto di ricerca per costruire un nuovo sistema di conoscenze riguardanti l’impresa. Cosicché le imprese possano rivoluzionare radicalmente le loro specifiche culture. La risorsa da cui partire per portare a termine questo progetto di ricerca è costituito dai nuovi modelli e dalle nuove metafore che stanno nascendo nelle scienze naturali ed umane e che si stanno sintetizzando nella “sistemica”. Noi ne proponiamo una nuova versione che definiamo sistemica quantistica. In sintesi una nuova sistemica quantistica come linguaggio nuovo per parlare di strategia di organizzazione e di persone.
Per chi fosse interessato, e ritenesse l'argomento importante, vi invitiamo il 21 Marzo presso i nostri uffici in via Aurispa 7 alle 15 per una chiacchierata sul tema.

Francesco Zanotti


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