"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
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giovedì 10 febbraio 2011

Nokia, la leadership (stupida e inefficace) che imperversa e la "community-ship" che manca


Si parla da un po’ di abbandonare certi modelli di governo delle aziende, basate sulla leadership del “macho” manager, ma le grandi aziende, e non solo quelle, continuano a perseguirli.

Un recente esempio, di cui seguiremo gli sviluppi, viene dalla Nokia.
Il sole24ore ha riportato ieri la notizia di un memorandum del CEO Stephen Elop inviato ai dipendenti .
Elop è giunto in quella posizione qualche mese fa, reclutato da Microsoft, per porre rimedio ai problemi dell’azienda finlandese: perdite di quote di mercato nella fascia alta, causati dall’avanzata dell’Iphone di Apple, erosione nella fascia bassa, dovuta ai cinesi.
L’immagine che ha usato nel suo messaggio è semplice ed efficace, paragonando Nokia ad una piattaforma petrolifera del Mare del Nord che brucia per un incendio. Chi ci lavora, per salvarsi, deve fare ciò che non avrebbe mai pensato di fare: gettarsi nell’acqua gelida.
Il messaggio è chiaro e richiama in maniera forte la necessità di cambiare totalmente atteggiamento. Vista la situazione, l’analisi e il richiamo sono corretti, anche doverosi.
Che strade intende percorrere Elop per realizare questo “lancio nell’acqua gelida”?
Solo domani, 11 Febbraio, svelerà i suoi piani a Londra alla comunità degli investitori, ma già questa sua intenzione fa capire molte cose


Nokia impiega più di 123.000 persone, immagino tutte, o una buona parte, utili se non indispensabili per far andare avanti l’azienda. Se lo sono, ognuno di loro avrà la sua testa, la sua sensibilità, la sua intelligenza, insomma la sua identità, dunque non saranno robot che attendono di essere programmati. Elop pensa di far tutto da solo con il “suo” piano? Basteranno i cinque, otto, venti top manager che intende sostituire con persone, a suo giudizio, più adatte a realizzarlo? E gli altri 123.000, con tutta la buona volontà e intenzione di eseguire, saranno in grado di farlo nel dettaglio, se dettagliato sarà il piano?
Ma supponiamo anche che tale piano sia fatto benissimo, che spieghi ogni comportamento da tenere nei minimi particolari, quanto ci vorrà per renderlo disponibile e attuarlo su un’organizzazione di più di centomila persone sparsa nei quattro angoli della terra? Due anni? Tre? E nel frattempo il mercato e i concorrenti aspetteranno che Nokia abbia terminato il processo? E la Nokia stessa potrà fermarsi per realizzare tale piano?
Non penso.
Ecco allora che appare evidente l’importanza di vedere l’organizzazione non come un hardware a cui fornire un software, e il top managment “sviluppatore di tale codice”, ma un organismo con proprie energie che va aiutato a esprimerle nella giusta direzione, dunque un management a “supporto” di essa.
Non è questione che riguarda l’etica, la democrazia o caritatevoli principi di rispetto degli altri, è semplicemente questione di efficacia. La metafora di governo come "comando e controllo" è morta e sepolta. Andava bene per organizzazioni a cui si chiedeva di fare e non anche di pensare, come è sempre più necessario oggi. Era adeguata quando i tempi erano lenti, le mosse del mercato e dei concorrenti prevedibili, i prodotti e servizi banali, semplici da realizzare.
E' questo il tempo che viviamo?
Non credo, dunque è ora di adottare metodi diversi, perchè la realtà è diversa, e in questo nuovo mondo sono le comunità, la comprensione dei loro meccanismi reali, e non formali, di formazione e sviluppo che vanno compresi.
C'è bisogno di un management basato meno sulla "leadership" e più sulla "community-ship".
Se ci fosse meno leadership e più “community-ship”, meno leader “ghe pensi mi” e più manager capaci di sviluppare le comunità, le organizzazioni sarebbero più efficaci perché le persone lavorerebbero meglio e non sarebbero costrette a gettarsi nelle acque gelide del Mare del Nord perché avrebbero evitato l’incendio per tempo.  

4 commenti:

  1. vivo una esperienza in una prestigiosa società di servizi che sta attraversando da 4-5 anni un profonda crisi che si è , ovviamente, aggravata negli ultimi 2..e proprio quello che suggerite potrebbe essere meglio di quello che è stato fatto ovvero burocratizzazione, accentramento, deresponsabilizzazione, non coinvolgimento..imbrigliamento delle capacità di innovazione e delle conoscenze...addirittura in una società di servizi che, di fatto, vende e propone conoscenza e relazione. ovvero persone.
    generalizzando dal caso specifico, la crisi o almeno le difficoltà si vedevano da tempo, ma la forza della tradizione, del brand, della sicurezza data dal passato ha ingessato tutto.
    e così anche le spinte di cambiamento sono state bloccate come fossero lesa maestà o infangassero la tradizione, ed ora siamo qui...chissà per quanto, forse poco...tra debiti, cause pendenti, cassa integrazioni, clima interno distrutto, il mercato non ci rivolge più la parola, se non attraverso gli amici…ma si può costruire il futuro su qualche rapporto di amicizia?
    Le persone hanno tentato percorsi nuovi ma sono state bloccate, ora, sono demoralizzate.
    il cambiamento deve iniziare prima delle difficoltà...perché quando questo arrivano mancano risorse economiche ed emotive!

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  2. Trovo il concetto di “community-ship” perfettamente adeguato alla realtà che stiamo vivendo. E del tutto inapplicato. Vorrei portare un punto di vista ‘psicologico’ al tema, quindi non solo manageriale.
    Per passare da un management di leadership a un management di “community-ship” occorre fare i conti con qualcosa che si chiama “Ego”. Ora, senza entrare nel merito di come e quanto esso si manifesti, credo sia sufficiente pensare al concetto di “attaccamento alla poltrona”, sottostante all’etichetta “leader”.
    Non dobbiamo mai dimenticare l’impatto che le parole hanno sulla nostra neurologia (e quindi sulla nostra personalità): chi si sente ‘leader’ (indipendentemente dai criteri mediante i quali gli è stata affibbiata l’etichetta) nutre in ogni caso, seppur con diverse sfumature e livelli di gradazione che vanno dal generico e patetico paternalismo fino addirittura al superomismo, il proprio Ego. E questo stesso Ego viene avvertito (e subito), e investe di sé tutti i livelli aziendali, al punto che il sistema azienda diventa spesso un “sistema Ego”, vale a dire un sistema per veicolare l’Ego di chi la dirige.
    Va da sé che i concetti di ‘leader’ e ‘community’, in certa misura, si escludano a vicenda.
    Non solo Elop pensa di essere in grado di far “tutto da solo”, ma deve pensarlo. E deve pensarlo perché deve dimostrare qualcosa a chi gli ha offerto milioni di euro per rilanciare Nokia. Che figura farebbe se uno qualunque dei 123000 dipendenti se ne uscisse con un’idea formidabile? Che ruolo avrebbe, a quel punto, all’interno del sistema azienda? Come potrebbe il Consiglio d’amministrazione giustificarne i compensi?
    Lungi da me mettere in discussione capacità e competenze di Elop; intendo semplicemente suggerire che se il sistema impresa vuole arrivare ad applicare il concetto di community-ship (come è auspicabile, dal momento che, personalmente, lo ritengo il solo sistema vincente in un futuro nemmeno troppo remoto) occorre che esso cominci a trasformarsi dall’interno, a capire – riferendomi a Nokia – che le 123000 teste sono tutte pensanti e possono portare 123000 contributi, 123000 idee, 123000 soluzioni o spunti o anche soltanto parti di soluzione.
    Oggi, un numero così imponente di dipendenti (spesso ritenuto parte del problema) è un fenomenale patrimonio di individualità, se si ha la capacità di metterlo in moto senza considerarlo (e gestirlo come se fosse) semplicemente una massa di ingranaggi costosi ma necessari per mandare avanti l’operatività.
    Infine, occorre cambiare la metafora dominante di azienda come esercito e mercato come campo di battaglia. Perché così ci sarà un solo obiettivo, sconfiggere il nemico, e si trascurerà l’obiettivo fondamentale che rende vincente un’azienda: creare valore per sé e per il mercato.

    MASSIMILIANO MANOCCHIA

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  3. Sono perfettamente daccordo con Massimiliano. Tra l'altro ha introdotto la variabile "persona" (mi piace più che "psicologica") che spesso si tende a ignorare, mentre invece muove e ispira tutti i nostri comportamenti. La leadership, quella vera, è legittimata dal contesto, non dallo status. Ovvio che il capo tende a fare il "macho", ma in un contesto come questo attuale rischia ormai di essere inefficace. Dunque leader non è più colui che ha status ma colui che riesce a far accadere le cose. E' dalla legittimazione nel contesto in cui si opera da cui deriva lo status di leader, non il contrario. Da questo punto di vista non vedo contrapposizione.

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  4. Incredibile che si erano sviluppate lì. Noi siamo ancora determinati a sentire molto su di esso. Siamo in grado di sorprenderci, quello che non c'è niente sviluppato.

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