"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 22 settembre 2011

Fare il manager è una professione?

Jeffrey Pfeffer, professore alla Standford Graduate School of Business, pone questo serissimo interrogativo  sul numero di settembre di Harvard Business Review.
Partiamo da qualche definizione di base.
Professione: attività esercitata in modo continuativo a scopo di guadagno e che deve possedere i seguenti requisiti di specificità:
  • Un corpus sistematico di conoscenze, con conseguente rapporto tra docenti e professionisti;
  • Rivestire funzioni centrali per la società;
  • Un codice deontologico, volto ad abilitare il controllo e la trasparenza sociale.
Manager: una persona che nell'azienda  ha la responsabilità di guida della gestione aziendale verso il perseguimento di obiettivi, attraverso l'assunzione di decisioni sull'impiego delle risorse disponibili e, in particolare, delle risorse umane.

Dunque il Manager, di qualsiasi tipo, ha responsabilità di guida e decisione sull'impiego delle risorse, IN PARTICOLARE, quelle UMANE.
Per essere un professionista però deve far riferimento a un corpus sistematico di conoscenze.
Quale è tale corpus?
Se, come tutte le attività umane, queste conoscenze, una volta identificate, evolvono, come fa a rimanere aggiornato (come ad esempio fanno altre categorie di professionisti, quali medici, avvocati, commercialisti, ingegneri, ecc.)?

Una risposta a queste banali domande, tragicamente, sembra non esistere.



In genere le conoscenze di gestione aziendale sono limitate a quelle amministrative e finanziarie, poco si parla (e si pratica)ad esempio di strumenti di strategia. Per quelle riguardanti le "risorse umane" (che pessimo modo di indirizzare le persone!) poi siamo all'anno zero, tanto è vero che il compito viene relegato a funzioni specialistiche,le direzioni HR appunto, che anche loro soffrono dello stesso identico problema (realizzando tra l'altro in questo modo la tragedia di Cyrano de Bergerac chiamato a dare parole efficaci all'amore di Cristiano de Neuvillette per la bella Rossana. A che punto siamo ridotti?)

Pfeffer però va anche più a fondo al problema attaccando le "fonti" del corpus di conoscenze: le università e le riviste scientifiche del settore. Esperti professionisti (la voce dell'esperienza, i famosi casi di cui sono affamate le business school) "erodono" il rigore necessario alla formazione di basi intellettuali della formazione al business. 
Le redazioni delle riviste invece ignorano le ricerche pregresse (o le conoscenze complementari N.d.A.) e minano alla radice il concetto di accumulazione del sapere.
Dunque è questo il motivo per il quale i manager non leggono e non fanno formazione specifica?
Ma senza conoscenza come fanno a fare il loro lavoro? Come possono affrontare le sfide senza conoscenze scientifiche? Non è forse questa la causa dello stato in cui versa tutta la società occidentale?
Mi piace concludere come ha fatto Pfeffer nel suo articolo, e gli rubo il finale: Prima che il management possa essere considerato una professione, chi lo pratica dovrà considerarsi parte di uno scopo superiore (gli ultimi due punti della definizione citata all'inizio N.d.A.).Ma è stato necessario ben più che un fine più alto per far progredire la medicina al di là dell'empirismo dei cialatani. E' stata necessaria la scienza e le sue applicazioni pratiche. In un mondo afflitto da problemi complessi, dobbiamo avere maggiori garanzie che anche i manager ricorrano a conoscenze più grandi di quelle che già possiedono.




P.S. Una proposta concreta in questa direzione seminario Fisica Quantistica e Sviluppo Imprenditoriale
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com



Nessun commento:

Posta un commento