E' notizia di oggi (sole24ore) la partenza della fase 2 del progetto sicurezza nelle imprese della Confindustria.
Si tratta di un'attività sicuramente meritoria a cui va il nostro plauso ma che corre il rischio di dare una vista monodimensionale del problema (così come daltronde fanno analogamente campagne d'informazione sviluppate dalle istituzioni più disparate: dalla Presidenza della Repubblica a quella del Consiglio).
A ben guardare queste attività, pare che la sicurezza sia una responsabilità unica dell'azienda. Sono loro i "cattivi" che per risparmiare sui costi mettono a repentaglio l'incolumità e la vita dei loro dipendenti, e solo attraverso la conversione e il pentimento di questi personaggi si potrà risolvere il problema. Poichè, inoltre, questi cattivi, sono pure imprenditori ai quali interessa solo il vil denaro (è per risparmiare infatti che creano le condizioni di rischio) ecco allora che basta fargli capire che conviene e il problema è risolto!
Pur ammettendo che ci possa essere una buona percentuale di costoro (il mondo è bello perchè è vario), siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Chi sa già che la sicurezza conviene, perchè ci arriva da solo a concepire l'antieconomicità dell'insicurezza (oltre che l'irresponsabilità) e ha già predisposto tutto quanto era in suo potere, ha visto abbattere magicamente il numero di incidenti, gravi e meno, in azienda?
Purtroppo no, e vediamo perchè.
L'azienda, notoriamente, è fatta di persone. Queste, altrettanto notoriamente, ma tendiamo a dimenticarlo, non sono macchine che ubbidiscono ciecamente a comandi e tendono a fare anche di testa loro (comportamento, tra l'altro, sempre più richiesto). La disponibilità di mezzi, procedure, apparati ed equipaggiamenti atti a tutelare la sicurezza è senz'altro condizione necessaria, ma non sufficiente a garantirla perchè oltre alla volontà dell'azienda, e all'armamentario che può rendere disponibile, ci sono le persone con le quali fare i conti.
Ebbene, liberi di non crederci, ma chi vive nelle grandi aziende lo sa, le persone non si comportano in maniera automatica anche se c'è in ballo la loro incolumità fisica. In mezzo ci sono mille motivazioni, comportamenti, valori, positivi e negativi, che influenzano le persone e i gruppi informali che costituiscono. Non c'è ovviamente la volontà di farsi male, ma quella di trasgredire le regole, per protesta o per risparmiar tempo, certamente sì. Nessuno vuole morire al lavoro, ma un clima conflittuale tra le persone aumenta i rischi. E' importante tutelare la propria salute, ma le questioni di principio nei confronti dell'azienda, che ordina e prescrive, anche se per il nostro bene, prendono a volte il sopravvento.
Allora che fare?
Una volta che l'azienda (organizzazione formale) ha fornito gli strumenti della sicurezza sono le persone (organizzazione informale) che devono costituire "comunità" che la costruiscono in modo da usarli efficacemente. La costituzione di tali comunità, poi, non deve essere nè manipolatoria nè, cosa più difficile, scivolare nel personale e nella sfera psicologica di ognuno.
Ci vuole insomma un metodo, organico ed efficace, che faccia leva sulla maturità di tutte le persone adulte che lavorano in azienda ed è responsabilità di quest'ultima cercarlo al fine di sviluppare tali comunità (in modo prioritario, non subordinandolo ad altri obiettivi aziendali altrimenti nessuno ci crede più) in maniera seria e permanente. Dunque ancora una volta, anche sulla sicurezza delle persone, queste sembrano essere ignorate o perchè assimilate a rotelline di un più grande ingranaggio o perchè non si sa bene cosa fare con loro. Semplice ignoranza (nel senso di ignorare) la prima, più grave e colpevole la seconda in quanto le persone SONO l'azienda.
Luciano Martinoli
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