"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
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mercoledì 8 febbraio 2012

Due proposte per un organizzazione "prospera"

"Se darete ai vostri dipendenti la possibilità di imparare e crescere, essi prospereranno e allo stesso modo farà l'organizzazione per la quale lavorano".

Questo è l'ammiccante sottotitolo di un articolo dell'ultimo numero di Harvard Business Review (in italiano qui ) dal titolo "Creare Performance Sostenibile".
Non c'è bisogno di snocciolare le statistiche e le percentuali riportate nell'articolo, frutto di un lavoro di ricerca durato sette anni, per comprendere quanto vera sia l'affermazione. Merita invece un approfondimento la "ricetta" suggerita dagli autori per realizzarla; in particolare un punto, chiave e centrale per qualsiasi azione di management: Condividere le Informazioni.

"Fare il vostro lavoro in un vuoto di informazioni è noioso e non eccitante; non c'è ragione di cercare soluzioni innovative se non potete vedere il loro impatto su base più ampia. Le persone possono contribuire più efficacemente quando capiscono come il loro lavoro sia coerente con la missione e la strategia dell'organizzazione." 

Bello ma... come si fa?

La questione sollevata è molto più profonda di come appare, sia nel merito che nel metodo. Inoltre indirizza il tema chiave del ruolo dell' HR, e del management di qualsiasi livello, per il business dell'azienda, al di là delle funzioni ovvie e delle definizioni di facciata, troppo spesso autoriferite e vuote di reale significato per il resto dell'organizzazione.

L'articolo riporta i casi di alcune aziende che hanno "aperto i libri" e li hanno condivisi con tutti i dipendenti. Operazione che trova  ostacoli più psicologici che pratici e, in ogni caso, ovvia se parliamo di una grande azienda quotata in borsa. La difficoltà però non è quella di mostrare numeri, a volte incomprensibili e che parlano di ciò che è accaduto, ma nel comunicare la strategia d'impresa all'intera organizzazione, ignorando, come spesso accade, che esiste una disciplina che fornisce linguaggi e strumenti per descriverla e forte di mezzo secolo di esperienza.
Ecco allora una prima proposta: perchè le funzioni HR non si appropriano di questi linguaggi per aiutare sia il management della propria organizzazione a descrivere compiutamente le strategie dell'azienda, sia i dipendenti a comprenderla?
Sarebbe un primo importantissimo passo nel costruire una comune piattaforma di riferimento attraverso la quale dialogare. Un ponte che finalmente colleghi, permettendo di intendersi, l'organizzazione tutta, indipendentemente dalle gerarchie e dalle funzioni, in uno sforzo di considerare, finalmente, l'organizzazione come una comunità di persone adulte e responsabili che condividono lo stesso scopo e sono desiderose di dare, per il suo perseguimento, il loro migliore, onesto, scevro da incomprensioni, contributo.

L'articolo prosegue e tocca un altro argomento chiave. 
Durante una presentazione al personale di una catena di ristoranti, ad un  consulente venne chiesto se fosse realistico aspettarsi che tutti i dipendenti capissero la strategia e la finanza. Il consulente rispose invitando un giovanissimo aiuto cameriere ad esprimere con sue parole la visione dell'azienda e come il ristorante dove lavorava aveva contribuito in quella settimana. Il giovane, senza batter ciglio, lo spiegò a modo suo e identificò correttamente le azioni, a lui visibili o sotto il suo controllo, che avevano contribuito a realizzarla.
Ecco allora la seconda, più irrituale ma, proprio per questo, più feconda proposta: e se le strategie, il piano d'impresa fossero un processo emergente? Ovvero:se il business plan fosse scritto da tutti i dipendenti?
Pensate ai piani, di qualsiasi tipo, definiti spesso dopo un'attività di "analisi" che ha avuto la stessa efficacia di una fotografia di un cane che corre allo scopo di documentare, dopo settimane, dove è il cane (che nel frattempo chissà dove è andato). Poi pensate alla "comunicazione", fatta con il più o meno esplicito intendimento di "trasferire informazioni", che dovrebbe portare ad adottare nuovi comportamenti, a realizzare un "cambiamento". Ricordate gli scetticismi, le resistenze, gli ostacoli mossi dalle persone in maniera immotivata, sollevati apparentemente solo per il gusto di impedire che qualcosa accadesse ma, a ben pensare, mostravano solo l'unico modo di affermare la loro esistenza in un processo che li vedeva come oggetti, computer al quale veniva sottoposto un programma da eseguire. E poi pensate a quanto è stato ottenuto adottando questo metodo e, in proporzione, quali sono stati gli sforzi e le risorse profuse per il misero, laddove esistente, risultato.
Ora immaginate invece un'organizzazione mobilitata, con metodo definito e rigoroso, a partecipare alla definizione del destino dell'azienda, del loro destino. Immaginate le persone, alle quali sarà stato sgombrato il campo da intenti manipolatori, sia prima che durante che dopo sopratutto con comportamenti coerenti del management, ansiose e desiderose di acquisire metodi e linguaggi potenti per esprimere la propria voglia di progettualità, di autorealizzazione, pur mantenendo il loro ruolo, per quanto piccolo, nell'azienda. Immaginate un management capace di fare sintesi "al rialzo", comprendendo tutte le posizioni e sciogliendo le contrapposizioni all'interno di essa, e non "al ribasso", scegliendo solo le posizioni comuni nelle quali poi nessuno si ritroverà più. Ma sopratutto sia capace di produrre qualcosa che emozioni chi ha partecipato, che lo entusiasmi perchè vede il suo contributo rafforzato da quello degli altri.
Un tale piano, allora, verrà sicuramente realizzato, perchè chi lo deve realizzare lo ha scritto e, dunque, lo ha deciso. Nessuna comunicazione, nessuna "implementazione" sarà più necessaria.
Tale piano inoltre, se pubblicizzato all'esterno non solo nei contenuti ma anche nelle modalità di realizzazione, sarà considerato credibile ed eseguibile e non il solito atto burocratico ad uso delle vuote ritualità del ristretto cerchio di specialisti (banche, analisti, ecc.).
Perchè è il processo che da un senso e significato al risultato, non il risultato in se. 

Irrealizzabile? Solo se lo abbiamo deciso tale. La situazione attuale, in qualsiasi  settore, a qualsiasi latitudine, impone di considerare per la prima volta il ruolo attivo di un soggetto troppo spesso strumentalizzato, ma al quale sempre di più si chiede di "fare la differenza": l'organizzazione con le sue persone. E' ora, dunque, che si esprima, e il regista di questo nuovo film, dopo essersi opportunamente attrezzato, può essere solo la funzione HR. 

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo

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