"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
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mercoledì 23 gennaio 2013

Ma la conoscenza è importante o no?




Intervista a Andrea Orlandini
di Luciano Martinoli e Maria Chiara Di Luzio 


Ancora un contributo sul tema della conoscenza, questa volta più focalizzato in virtù di ciò che è stato già detto e che è stato sottoposto al nostro interlocutore: il Dott. Andrea Orlandini, Direttore Risorse Umane e Organizzazione del gruppo Sisal, l’azienda italiana leader nel mercato dei giochi a pronostico. E’ inoltre presidente del gruppo regionale lombardo AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale).

Martinoli
Conoscenza importante o no: che idea si è fatto del dibattito che abbiamo già avviato e reso pubblico?

Orlandini
Dalla lettura delle interviste precedenti mi sembra ci sia stata una polarizzazione sugli estremi. A mio avviso ci sono due punti di vista da considerare: quella degli studiosi e quella dei manager. Ognuno deve svolgere il suo mestiere, e non bisogna confondere le due dimensioni che devono restare separate. Lo studioso studia le teorie, il manager l’applicabilità di soluzioni congeniali all'azienda.
Parte della conoscenza che un manager acquisisce deriva dall'esperienza pratica, e si renderebbe quindi necessario e profittevole trovare una via di mezzo. Anche perché, pur volendo, un manager non ha il tempo necessario per studiare il di più che gli consenta una visione di sintesi, per non passare da un opposto, lo studio di conoscenze approfondito, e l’altro, l’eventuale banalizzazione in slogan dei processi strategici e di gestione organizzativa. La soluzione dovrebbe essere un processo di divulgazione.

Martinoli
Non pensa che bisognerebbe render disponibile una sorta di “tecnologia” anche per questi temi? Una conoscenza applicativa che incapsuli quella teorica, non rendendone indispensabile necessariamente la sua conoscenza?

Orlandini
La tecnologia viene vista come uno strumento mentre quello che servirebbe è un percorso d’apprendimento di ciò che mi serve, mediato da chi è in grado di fornire questo collegamento. Ci vuole un’intermediazione tra la cultura astratta e ciò che realmente serve in ambito aziendale. Per riassumerla con uno slogan: un imparare in modo intelligente. La maggior parte delle società di consulenza ti fornisce marginalmente la fonte del modello che ti propone, e il manager l’unica cosa che considera è se gli serve o meno. Aver un intermediario della conoscenza può essere un servizio utile, poiché congiunge la capacità di aggiornare in modo intelligente e nel contempo fornisce anche eventuali spazi di applicabilità delle proprie posizioni del conoscere. Attenzione però che il puro studio teorico è lavoro dello studioso, ma il rischio che si corre è che un eccessivo concentrarsi solo sulla teoria conduca ad una forma di astrazione non collimante con la realtà e senza senso di  applicabilità.

Di Luzio
Nella nostra ricerca ci siamo concentrati sulle “risorse cognitive” e sul rischio che esse, se non sono sviluppate, si spengono in ideologie…

Orlandini
Le risorse cognitive sono il nostro software e convengo con l’idea che sia necessario un ampliamento di queste, poiché un fossilizzarsi in esse porterebbe più che a una forma di ideologizzazione, ad uno spegnersi in assunzioni sterili. Il problema dell’ampliamento delle risorse cognitive è saper capire e individuare come usarle nella realtà. I consulenti a volte propongono un modello unico di applicazione, ma le aziende cambiano ad una velocità impressionante, quindi non ci si può innamorare di un modello e proporlo ad un’azienda che è destinata a mutare continuamente. Purtroppo questo è anche il risultato di un’onda lunga del passato, degli anni ’80, quando ci fu una ‘sbornia sviluppina’ nella quale le funzioni risorse umane si sono smarrite nella fase d’innamoramento di se stesse, una sindrome di narciso che chiedeva modelli e suggestioni fini e se stesse. Ora si sta tornando a chiedersi quale sia l’equilibrio e il ritorno di tali investimenti.

Di Luzio
Mi dà una sua opinione sulla “mappa” che abbiamo proposto per posizionare le varie scuole di pensiero in ambito organizzativo

Orlandini
E’ interessante ma tengo a precisare che l’importante per ogni organizzazione è sapere quanto e come sia funzionale alle proprie esigenze ciò che viene loro presentato. La vostra matrice potrebbe essere un cruscotto che mi dice dove sono, e magari dove potrei arrivare in relazione ai miei piani futuri. Molto più utile rispetto a conoscere il posizionamento di teorie di cui, in alcuni casi, ignoro anche l’esistenza e non mi serviranno mai.

Martinoli
Nella mappa viene indicata la dimensione “informale”…

Orlandini
Convengo che la dimensione informale sia una parte dell’organizzazione che sfugge, un’area che potremmo definire latente o ‘di svelamento’. Se devo pensare al suo legame con i comportamenti penso al modo in cui le persone fanno le cose. Leggendo la vostra mappa sono portato a pensare che le persone sono i loro comportamenti. Il legame tra la dimensione formale e informale è a mio avviso indirizzabile, essendo consapevole che è parte di una complessità di fronte alla quale non ci  si deve arrendere. La complessità può essere spacchettata in unità più semplici, ma non è sempre detto che la semplicità sia meno difficile della complessità. Comunque sostengo che la dimensione informale sia percepibile, non descrivibile in un organigramma, ma un bravo manager ne coglie la sua essenza.

Martinoli
L’ultimo numero del trimestrale dell’AIDP affronta il tema della valutazione e delle persone, una pratica che nella nostra matrice posizioniamo come “classica”…

Orlandini
Il concetto di misurazione abbinato alle persone è un ossimoro: la persona non è misurabile, ma è indispensabile dare delle indicazioni qualitative su ciò che sta facendo, dire se una cosa va bene o male e per farlo sono necessari dei parametri di riferimento, diversamente non farei il manager. Non si può pensare di misurare le persone con il metro ma non si può non ‘misurare’ le persone. Sarà una misurazione imperfetta e anche soggettiva ma pur sempre una misurazione necessaria ai fini aziendali.

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