Intervista a Andrea Orlandini
di Luciano Martinoli e Maria Chiara Di Luzio
di Luciano Martinoli e Maria Chiara Di Luzio
Ancora un contributo sul tema
della conoscenza, questa volta più focalizzato in virtù di ciò che è stato già
detto e che è stato sottoposto al nostro interlocutore: il Dott. Andrea
Orlandini, Direttore Risorse Umane e Organizzazione del gruppo Sisal, l’azienda italiana leader
nel mercato dei giochi a pronostico. E’ inoltre presidente del gruppo regionale
lombardo AIDP (Associazione Italiana per la
Direzione del Personale).
Martinoli
Conoscenza importante o no:
che idea si è fatto del dibattito che abbiamo già avviato e reso pubblico?
Orlandini
Dalla lettura delle interviste
precedenti mi sembra ci sia stata una polarizzazione sugli estremi. A mio
avviso ci sono due punti di vista da considerare: quella degli studiosi e
quella dei manager. Ognuno deve svolgere il suo mestiere, e non bisogna
confondere le due dimensioni che devono restare separate. Lo studioso studia le
teorie, il manager l’applicabilità di soluzioni congeniali all'azienda.
Parte della conoscenza che un
manager acquisisce deriva dall'esperienza pratica, e si renderebbe quindi
necessario e profittevole trovare una via di mezzo. Anche perché, pur volendo,
un manager non ha il tempo necessario per studiare il di più che gli consenta
una visione di sintesi, per non passare da un opposto, lo studio di conoscenze
approfondito, e l’altro, l’eventuale banalizzazione in slogan dei processi
strategici e di gestione organizzativa. La soluzione dovrebbe essere un
processo di divulgazione.
Martinoli
Non pensa che bisognerebbe render disponibile una sorta di “tecnologia” anche per questi temi? Una conoscenza applicativa che incapsuli quella teorica, non rendendone indispensabile necessariamente la sua conoscenza?
Non pensa che bisognerebbe render disponibile una sorta di “tecnologia” anche per questi temi? Una conoscenza applicativa che incapsuli quella teorica, non rendendone indispensabile necessariamente la sua conoscenza?
Orlandini
La
tecnologia viene vista come uno strumento mentre quello che servirebbe è un
percorso d’apprendimento di ciò che mi serve, mediato da chi è in grado di fornire
questo collegamento. Ci vuole un’intermediazione tra la cultura astratta e ciò
che realmente serve in ambito aziendale. Per riassumerla con uno slogan: un
imparare in modo intelligente. La maggior parte delle società di consulenza ti
fornisce marginalmente la fonte del modello che ti propone, e il manager
l’unica cosa che considera è se gli serve o meno. Aver un intermediario della
conoscenza può essere un servizio utile, poiché congiunge la capacità di
aggiornare in modo intelligente e nel contempo fornisce anche eventuali spazi
di applicabilità delle proprie posizioni del conoscere. Attenzione però che il
puro studio teorico è lavoro dello studioso, ma il rischio che si corre è che
un eccessivo concentrarsi solo sulla teoria conduca ad una forma di astrazione
non collimante con la realtà e senza senso di
applicabilità.
Di Luzio
Nella nostra ricerca ci siamo concentrati sulle “risorse cognitive” e sul rischio che esse, se non sono sviluppate, si spengono in ideologie…
Nella nostra ricerca ci siamo concentrati sulle “risorse cognitive” e sul rischio che esse, se non sono sviluppate, si spengono in ideologie…
Orlandini
Le risorse cognitive sono il
nostro software e convengo con l’idea che sia necessario un ampliamento di queste,
poiché un fossilizzarsi in esse porterebbe più che a una forma di
ideologizzazione, ad uno spegnersi in assunzioni sterili. Il problema
dell’ampliamento delle risorse cognitive è saper capire e individuare come
usarle nella realtà. I consulenti a volte propongono un
modello unico di applicazione, ma le aziende cambiano ad una velocità
impressionante, quindi non ci si può innamorare di un modello e proporlo ad
un’azienda che è destinata a mutare continuamente. Purtroppo questo è anche il
risultato di un’onda lunga del passato, degli anni ’80, quando ci fu una ‘sbornia
sviluppina’ nella quale le funzioni risorse umane si sono smarrite nella fase
d’innamoramento di se stesse, una sindrome di narciso che chiedeva modelli e
suggestioni fini e se stesse. Ora si sta tornando a chiedersi quale sia
l’equilibrio e il ritorno di tali investimenti.
Di Luzio
Mi dà una sua opinione
sulla “mappa” che abbiamo proposto per
posizionare le varie scuole di pensiero in ambito organizzativo
Orlandini
E’ interessante ma tengo a
precisare che l’importante per ogni organizzazione è sapere quanto e come sia
funzionale alle proprie esigenze ciò che viene loro presentato. La vostra matrice
potrebbe essere un cruscotto che mi dice dove sono, e magari dove potrei
arrivare in relazione ai miei piani futuri. Molto più utile rispetto a
conoscere il posizionamento di teorie di cui, in alcuni casi, ignoro anche
l’esistenza e non mi serviranno mai.
Martinoli
Nella mappa viene indicata la
dimensione “informale”…
Orlandini
Convengo che la dimensione
informale sia una parte dell’organizzazione che sfugge, un’area che potremmo
definire latente o ‘di svelamento’. Se devo pensare al suo legame con i
comportamenti penso al modo in cui le persone fanno le cose. Leggendo la vostra
mappa sono portato a pensare che le persone sono i loro comportamenti. Il
legame tra la dimensione formale e informale è a mio avviso indirizzabile,
essendo consapevole che è parte di una complessità di fronte alla quale non
ci si deve arrendere. La complessità può
essere spacchettata in unità più semplici, ma non è sempre detto che la
semplicità sia meno difficile della complessità. Comunque sostengo che la
dimensione informale sia percepibile, non descrivibile in un organigramma, ma
un bravo manager ne coglie la sua essenza.
Martinoli
L’ultimo numero del
trimestrale dell’AIDP affronta il tema della valutazione e delle persone, una
pratica che nella nostra matrice posizioniamo come “classica”…
Orlandini
Il concetto di misurazione
abbinato alle persone è un ossimoro: la persona non è misurabile, ma è
indispensabile dare delle indicazioni qualitative su ciò che sta facendo, dire
se una cosa va bene o male e per farlo sono necessari dei parametri di
riferimento, diversamente non farei il manager. Non si può pensare di misurare
le persone con il metro ma non si può non ‘misurare’ le persone. Sarà una
misurazione imperfetta e anche soggettiva ma pur sempre una misurazione
necessaria ai fini aziendali.
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