"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 23 maggio 2012

"Novazione" e "Innovazione", una questione di sostanza

Due articoli apparsi su Harvard Business Review di questo mese, entrambi a firma Ron Ashkenas, focalizzano molto bene il tema sempre più dibattuto dell'innovazione.
Il primo articolo, dal titolo molto esplicito "I Manager non vogliono davvero innovare", analizza le motivazioni reali per cui questo accade: Focalizzazione sul breve, Paura di cannibalizzare il business corrente, Orientamento a processi di lento miglioramento dell'esistente (per esempio Six Sigma).
Tutto questo porta, con un efficace battuta dell'autore, a far dire ai manager: "Io voglio che tu innovi, ma solo dopo aver fatto il tuo lavoro". Dunque fare innovazione profonda non fa parte del lavoro delle persone.
Una palese contraddizione con gli intenti iniziali.

Il secondo articolo, "E' tempo di ripensare il miglioramento continuo", analizza proprio la terza causa della resistenza al miglioramento. Six Sigma, Kaizen, Lean e loro variazioni possono essere pericolose per le capacità di innovazione dell'organizzazione.

"Più si lega un'azienda alla gestione della qualità totale, più si inibiscono innovazioni profonde"

Avanzo allora una proposta linguistica, che si porta dietro dei precisi significati.
Chiamerò novazione, termine tecnico molto noto in ambito giuridico, la capacità di far del nuovo, creare innovazione radicale, quello che il mondo anglosassone indica come breakthrough innovation.
La innovazione invece è la novazione all'interno di qualcosa, indicata dal prefisso "in", un miglioramento dell'esistente. Se volete, usando termini informatici, un processo teso a realizzare versioni successive (2.0, 3.0, ecc.) della stessa attività, prodotto, processo... ma sempre quello.

Io penso, a partire dai lucidi stimoli di Ashkenas e da quanto i termini siano abusati e confusi, che si parli, e si intenda, troppo spesso di innovazione e poco di reale novazione.
E si fa anche confusione tra le due.
La differenza non è linguistica ma di sostanza.
Una innovazione è raggiungibile "algoritmicamente", con un processo razionale e disciplinato, prescrittivo, top-down, gerarchico, pianificabile a tavolino, misurabile, incrementale. Ha i confini definiti, si sa dove può iniziare e finire, e procede per piccoli costanti passi.
La novazione, al contrario, è imprevedibile, bottom-up, sociale, non misurabile ma capace di miglioramenti stravolgenti, improvvisa e senza garanzie, nè sul come nè sul quando, possa accadere. Può "colpire" ovunque, dove meno la si aspetta, e procede per grandi balzi in direzioni inaspettate.

Orbene, sappiamo come poter fare innovazione (TQC, Six Sigma, Kaizen, ecc.), ma come creare novazione?
A mio giudizio non come suggerisce l'autore: non bastano un paio di regolette e qualche dritta. La novazione, a differenza dell'innovazione non si crea ma bisogna realizzare le condizioni affinchè emerga. E può emergere dai posti più impensati dell'organizzazione, dunque è un fenomeno sociale. Dunque una profonda differenza di approccio tra le due. Bisogna allora riconoscere le dimensioni profondamente umane delle persone (la novazione solo da loro può essere generata) che prendono forme inconscie nella organizzazione informale e dare corpo a quella Communityship, antitesi della sempre più datata ed inefficace Leadership, che è la reale richiesta ai capi per mettere finalmente al lavoro la dimensione sociale delle organizzazioni.

Forse però una delle principali differenze tra la  novazione e l'innovazione è che la prima è imprenditoriale mentre la seconda è manageriale.
Abbiamo bisogno di entrambe, ma oggi pare che stiamo eccedendo nella seconda, forse perchè non abbiamo la più pallida idea di cosa sia la prima e sappiamo fare solo la seconda.
La classe dirigente del nuovo millennio dovrà emergere dall'incontro di queste due caratteristiche allo scopo di liberare le enormi capacità di progettazione delle comunità che è chiamata a governare.
Il nuovo "manager", se si chiamerà ancora così, sarà un individuo diverso da quello di oggi, ma è urgente che lo diventi al più presto. Le conoscenze per farlo già sono disponibili.

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

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