"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

sabato 23 giugno 2012

Turing e il management "classico".


Il 23 Giugno del 1912, esattamente cento anni fa, nasceva in Inghilterra Alan Turing, grande matematico, figura geniale e multiforme della cultura moderna.
Il suo pensiero non è stato soltanto fondamentale per la nascita dei computer, come si affanna a ripetere da qualche giorno certa stampa superficiale (e anche ignorante?) ma è anche paradigmatica del blocco cognitivo a cui sembriamo soggiacere tutti, ipnotizzati dalla concezione riduzionistica della realtà alla quale Turing diede un impulso sì notevole, ma anche definitivo fissandone i limiti.
Turing visse in quel periodo di grandissimo fermento culturale tra le due guerre mondiali del secolo scorso. La teoria della computabilità, a cui diede mirabilmente corpo con  la sua "Macchina di Turing", metaforico ed affascinante modello teorico di "Macchina Universale", trovò finalmente forma compiuta, raccogliendo sotto un unico "ombrello concettuale", che avrebbe mostrato tutta la sua potenza con la diffusione dei computer, il pensiero scientifico da Galilei in poi.
Riduzionismo, determinismo, linearità, oggettività, verificabilità, e tanto altro ancora, trovarono finalmente posto in un unico, elegante e funzionale schema, accelerando la capacità di "efficacia" di tale approccio in moltissimi ambiti. Il successo che questo approccio ha determinato, dimostrato dall'efficacia in molti contesti dell'uso del computer, ha fatto erroneamente pensare che potesse essere esteso a tutta la realtà, e laddove tale efficacia non sia stata raggiunta, la si imputa alla mancanza di risorse (hardware, software, ricerca). Ciò sicuramente è avvenuto anche nel mondo del "management" ispirato al pensiero classico dell'industrializzazione Tayloristica dalla quale Turing sicuramente anche proviene.
Ciò che però viene dimenticato è che fu Turing stesso, coerentemente al pensiero nascente in quell'epoca (in matematica, con i Teoremi di Godel, in fisica, con la meccanica quantistica, e successivamente in biologia, scienze della mente, e tutte le altre discipline scientifiche) a stabilire in maniera rigorosa le precise limitazioni dei sistemi formali, di cui la Macchina di Turing costituisce ancora oggi il modello più alto, generale e omnicomprensivo di qualsiasi altra definizione di essi.


"Se ci si aspetta che una macchina sia infallibile non può essere anche intelligente" affermò una volta, ma sembra che l'abbiamo dimenticato e cerchiamo di costruire sistemi formali (organizzazioni, leggi, regolamenti, procedure, misurazioni, indagini, interviste, classificazioni, ecc.) infallibili che, alla lunga di fronte ai fatti reali, si dimostrano stupidi.
La punta dell'iceberg del pensiero di Turing è sicuramente l'elegante formalismo della sua macchina, la parte sommersa è quella che ci ha indicato, dopo 400 anni dall'innovazione di pensiero fornita da Galilei, l'enorme territorio della "Incomputabilità", il territorio dove le macchine, e i "macchinismi", sono inutili e patetici, costringendoci a ricercare nuove strategie cognitive. Per ottenere quell'efficacia che troppo spesso, e sempre più frequentemente in tanti ambiti, non realizziamo più pensando in termini di "macchina", abbiamo bisogno urgentemente, e definitivamente, di abbandonare tale approccio ed esplorare quel territorio nuovo che il suo pensiero delimitava. Dobbiamo attraversare, abbandonandolo, il "cancello" che consente l'ingresso al territorio misconosciuto della "incomputabilità" e cercare nuovi strumenti di intervento su quell' "oggetto" non calcolabile che è l'organizzazione.

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

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