di
Francesco Zanotti
Da qualche tempo ricevo da Harvard Business Review Italia (HBR) un "suggerimento di management della settimana". Uno degli ultimi lo trovo particolarmente esplicativo dello stato della cultura manageriale imperante attualmente: estremamente banale. Quindi inutilizzabile per attuare un efficace “Governo dello sviluppo”. E allora è doverosa la proposta di una nuova conoscenza manageriale che possa diventare strumento per il Governo dello sviluppo.
Ma andiamo con ordine e iniziamo dal suggerimento.
Ve lo riporto integralmente...
Fate crescere la vostra azienda senza sacrificarne la cultura
Ogni azienda vuole crescere. Ma la crescita porta spesso qualche intoppo, soprattutto quando si tratta di cultura organizzativa. Se siete un'azienda in rapida crescita, ecco due modi per gestire il cambiamento culturale.
- Impiegate molto tempo per comunicare. Se le persone sono insoddisfatte, ascoltatele senza interferire con le vostre idee. Così facendo avrete l'opportunità di apprendere di più ed essere in una migliore condizione per spiegare il cambiamento richiesto dalle dimensione più grandi. La gestione di una start-up o piccola azienda richiede delle regole e delle politiche completamente differenti rispetto ad un'azienda medio-grande.
- Misurate la cultura aziendale. E' difficile, ma non impossibile. Ricorrete a indagini interne e a interviste per delineare la cultura di partenza; com'é oggi. Cercate di capire perché alle persone piace lavorare nella vostra azienda e cos'è importante per loro. Usate queste informazioni per monitorare e far evolvere le dimensioni culturali che più contano per la vostra organizzazione ed i vostri talenti.
E’ un esempio “eccellente” di quella superficialità consulenziale che uccide una professione e impedisce ad una impresa di disporre di conoscenze manageriali di qualità. L’ipotesi di fondo di questi consigli è che il cambiamento (immaginiamo che ci si riferisca ad un cambiamento organizzativo) sia esattamente definibile da parte del vertice aziendale.
Ma non è vero!
Il vertice aziendale riesce a definire solo un cambiamento nella dimensione formale (organigrammi processi, procedure, quindi in una parte di comportamenti etc.). Ma questo cambiamento formale deve essere completato da un cambiamento nelle dimensione informale nella organizzazione (modalità di pensiero, emozioni, relazioni, valori emergenti, tanti comportamenti che non sono proceduralizzabili). Questa parte di cambiamento è completamente in mano a tutte le persone che operano nell’organizzazione, indipendentemente dal loro “grado”. Se il vertice aziendale non può definire completamente il cambiamento, allora non basta comunicare. Deve anche poter governare in qualche modo il formarsi autonomo della organizzazione informale.
Ma, come?
Ma, come?
Ovviamente questo problema si presenta nella stessa forma in tutte le organizzazioni: sia nelle imprese piccole che grandi, ma anche nelle organizzazioni no profit, nella pubblica amministrazione etc.
Arriviamo alla cultura. Innanzitutto, manca una definizione di riferimento: che cosa è la cultura?
Se non si dice cosa è, come si fa a dire che è misurabile? Ma supponiamo che la cultura sia fatta (provo a darne una prima definizione semplicissima ed incompleta, tanto per intenderci) di valori e competenze. Se è fatta di queste cose, allora non è misurabile. Per dimostrarlo, vediamo innanzitutto, cosa significa misurare. Significa assegnare univocamente un numero razionale (perché sia manipolabile da un computer) ai valori ed alle competenze. Detto diversamente, è necessario definire una funzione tra l’insieme dei valori o delle competenze e l’insieme dei numeri razionali (forse solo di un intervallo tra zero ed un numero naturale positivo finito, perché non so cosa possa dire assegnare, ad esempio, ad una competenza un valore negativo).
Ora questa funzione non esiste. E, se non esiste, non ha senso parlare di misura. Forse banalmente con il termine “misurare” si intende solo fare un elenco (delle competenze e dei valori nel nostra caso). Ma anche questa opzione è insensata per mille ed una ragione. Sono così tante che sono certissimo di dimenticarne molte. Ma già quelle che cito sono sufficienti a giustificare l’utilizzo dell’aggettivo “insensato” per qualificare la pretesa di misurare la cultura. Innanzitutto l’osservare (sia per fare un elenco che per misurare) comporta l’inserire l’osservatore e il processo di osservazione nell’impresa. Il risultato osservativo che si ottiene non riguarda l’impresa, ma il sistema “impresa + osservatore + processo di osservazione”.
Che interesse ha questo tipo di misura ed il risultato che si ottiene?
Ma supponiamo che un mago potentissimo riesca a trovare un modo per misurare senza interferire e senza riferimento ai numeri. Una macchina analizzatrice nella quale si ficcano le persone e ne escono le loro competenze ed i loro valori.
Il problema non sarebbe risolto neanche dopo l’intervento di questa mago potentissimo perché se una organizzazione è davvero grande il processo di analisi (con quella modalità potentissima inventata da un mago potentissimo) dura tanto di quel tempo, costa tanti di quei soldi da scoraggiare anche l’Amministratore Delegato più spendaccione.
Poi i suggerimenti si concludono con la parola “talenti”, ma qui davvero non so cosa dire perché davvero non riesco a capire cosa siano i talenti … E se qualcuno pensa di avere le idee chiare provi a scriverle …
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