Un capo di una tribù di pellerossa, mentre le donne più giovani raccoglievano legna nella foresta per prepararsi all'arrivo dell'inverno, fu colto dal dubbio: le scorte saranno sufficienti?
Per dissipare l'incertezza chiamò il suo fidato consigliere Nonsonamaz e gli ordinò di recarsi dal grande sciamano sulla montagna Estiquaatsi. "Vai e chiedigli quanto lungo sarà l'inverno".
Nonsonamaz salì sulla montagna e trovò lo sciamano in meditazione nel suo tepee. Dopo aver formulato la richiesta del capo, Estiquaatsi si alzò, uscì fino al bordo dello spiazzo dove era il tepee, osservò l'orizzonte e la foresta sottostante e sentenziò: "Questo inverno sarà molto lungo".
Nonsonamaz si precipitò a riportare la notizia al grande capo il quale, preoccupato, ordinò anche a tutte le altre donne e gli anziani di recarsi a raccogliere più legna. Temendo però che questo sforzo non bastasse, rinviò Nonsonamaz dal grande sciamano pregandolo di chiedergli anche quanto freddo sarebbe stato l'inverno. Arrivato al cospetto di Estiquaatsi, questi ripetè i gesti precedenti e, dopo una più attenta e profonda osservazione dell'orizzonte e della foresta, disse: "Questo inverno sarà molto lungo e molto freddo".
All'apprendere la notizia il grande capo fece richiamare dalla caccia anche gli uomini per dare rinforzo alle donne e ai vecchi nella raccolta della legna nella foresta.
Ma il dubbio permaneva. Chiamò ancora Nonsonamaz e lo pregò di andare di nuovo dal grande sciamano Estiquaatsi pregandolo questa volta di essere più specifico e preciso sulla durata e intensità. Nonsonamaz rifece lo stesso percorso, ritrovò il grande sciamano in meditazione, gli rifece la domanda alla quale rispose alzandosi e scrutando con maggiore attenzione l'orizzonte e la foresta. "Questo inverno sarà freddissimo e lunghissimo".
"Estiquaatsi" osò aggiungere Nonsonamaz che nel frattempo si era stufato di andare su e giù dalla montagna, "ma come fai tu a sapere questo?"
Lo sciamano, senza voltarsi e indicando con ampio gesto la foresta sottostante rispose: "Io non sapere, io vedere tutti questi indiani raccogliere legna per inverno!"
Questa simpatica storiella mi viene spesso in mente quando leggo di articoli e libri, prevalentemente dal mondo anglosassone ma anche nostrani, che riportano come evidenza "scientifica" deduzioni da ricerche di mercato o indagini di vario tipo.
Forse è anche questo uno dei motivi per i quali le aziende usano sempre meno servizi direzionali o questi sono sempre i primi ad essere tagliati in casi di ristrettezze economiche. Azzarderei a dire che non è addirittura serio una pratica di questo tipo, sopratutto se, come fanno spesso le riviste americane, spacciano tali deduzioni come "innovazione".
Cosa dovrebbe fare allora un consulente per evitare di apparire come lo sciamano Estiquaatsi e fornire un buon servizio ai suoi clienti?
Innanzitutto fornire conoscenze e, per far questo, studiare.
L'esperienza, che è il principale se non unico biglietto da visita di tante società di servizi di consulenza direzionale, serve a noi stessi, a renderci migliori avendoci fatto imparare dai nostri errori, a farci comprendere come muoverci meglio e con più efficacia nel mondo circostante, non agli altri. Ciò che è stato fatto è inutilizzabile in quanto irripetibile perchè il mondo nel frattempo è cambiato... e continuerà a farlo.
Dunque diffidare da chi si presenta anteponendo il "chi è" e "cosa ha fatto" rispetto a "cosa sa". Successivamente valutate un consulente per le conoscenze e i continui studi "teorici" (lo studio di ciò che potrebbe essere) non quelle "pratiche" (l'osservazione degli indiani che raccolgono legna. A meno che non stiate cercando un commercialista, un notaio, un avvocato o un idraulico).
Valutate poi la qualità della conoscenza di cui dice di farsi portatore. "Innovazione" non è ciò che voi, o lui, sentite per la prima volta, ma ciò che è stato detto in assoluto (tutto il mondo) la prima volta. Ci deve essere stato lo sforzo da parte del consulente di "salire sulle spalle dei giganti" grazie al quale avrà la possibilità di vedere più lontano e offrire qualcosa di davvero unico e nuovo.
In questo caso, se davvero cercate innovazione vera e non avete semplicemente bisogno dell'idraulico che ripari la perdita nel water dell'ufficio, smettetela di chiedere referenze: se è già stato fatto da un'altra parte che innovazione è? Sareste già arrivati secondi (o terzi, o quarti o... ultimi, se la lista delle referenze è molto lunga). E poi, se ci pensate bene, sareste davvero contenti di copiare qualcun altro? O che qualcuno copi voi? Ovvio che correrete qualche rischio, è inevitabile, se non lo volete correre chiamate il grande sciamano Estiquaatsi ma poi non vi lamentate che poco sia cambiato rispetto a prima. E in un momento come quello che state vivendo ve lo potete permettere?
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
Completamente d'accordo.
RispondiEliminaE la storiella è molto pertinente, ed aanche divertente. Grazie.
Ciao Luciano,
RispondiEliminamagari fosse sempre come dici tu!
Noi operiamo nel settore ICT e la maggior parte delle aziende non riconosco all'innovazione e di conseguenza all?ICT un vero vantaggio competitivo e investono sempre meno pretendendo sempre di più.
Le aziende di consulenza ed i professionisti vedono i loro margini assottigliarsi e investono un po meno sulla formazione.
Semplificando moltissimo potremmo avere un imprenditore che ha bisogno di un abito e avanti a se ha due scelte:
- rivolgersi al sarto che gli cuce un abito su misura con la stoffa che più si addice al proprio corpo per "n" motivi
- rivolgersi al negozio che avrà tra i suoi capi degli ottimi vestiti che sono stati cuciti seguendo misure standard, ottimi macchinari, la stoffa che accontenta il maggior numero di clienti
In entrambi i casi l'imprenditore avrà il suo abito nuovo ma "probabilmente" nel primo caso avrà speso di più.
Ciao Luigi
Storiella simpatica! Io vi vedo il paradigma del rapporto interno-esterno tipico della modernità, ovvero l'abbandono di ogni cura faticosa verso la definizione e l'elaborazione di ogni interno secondo logiche proprie, scavalcata dal facile moto di proiezione - a volte ansioso, talora entusiasta, ma comunque fideistico piuttosto che razionale - verso un esterno dal quale si ritiene di trarre logiche rassicuranti, appoggi solidi per gli equilibri e la vitalità dell'interno. Questa sorta di supremazia aprioristicamente concessa all'esterno è del tutto impropria, e porta ad una condizione di profonda insicurezza, confusione e progressiva paralisi in tutti gli ambiti conoscitivi e operativi: ogni interno non puó rinunciare ad assumersi e vivere il rischio del confronto diretto con tutto ció che gli è esterno, ma deve farlo esplorandolo ed interrogandolo secondo istanze, logiche ed ipotesi proprie di definizione progressiva di se stesso, non chiamando l'esterno a sostituirsi impropriamente a questo compito. Nel cominciare a capire questo, stanno a mio avviso le condizioni di recupero di autentiche vitalità culturali e di capacità di innovazioni profonde.
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