E' il titolo di un saggio del filosofo Isaiah Berlin pubblicato nel 1953. Fa riferimento ad un frammento attribuito al poeta greco Archiloco che scrisse "La volpe conosce molte cose, mentre il porcospino conosce solo una grande cosa".
Vikram Mansharamani, in un recente articolo apparso su HBR riprende il lavoro di Berlin, e la sua potente metafora, per fare alcune considerazioni sulla società di specialisti che abbiamo costruito.
"Abbiamo creato un vasto assortimento di individui che studiano la corteccia" dice Mansharamani "ce ne sono molti che hanno studiato a fondo gli angoli, i solchi, la colorazione e la struttura. Pochi hanno sviluppato la comprensione che la corteccia è semplicemente lo strato più esterno di un albero. Ancora meno capiscono che l'albero è inserito in una foresta."
Il problema degli specialisti è che vedono il dettaglio, troppo poco per essere efficaci in un mondo sempre più interconnesso come il nostro. Il dettaglio è frutto di una eccessiva semplificazione che non corrisponde alla realtà. Inoltre, come giustamente l'autore fa notare, per affermare la loro competenza, e conseguentemente la loro identità, spesso gli esperti si sforzano di applicare inutilmente le conoscenze puntuali che hanno a situazioni che raramente sono ben definite. A volte gli altri si accorgono di questo, e li lasciano perdere, a volte no e iniziano i guai causati dai "consigli degli esperti".
Il futuro è sempre stato incerto, ma la nostra capacità di navigarci dentro è stata pregiudicata dalla crescente focalizzazione nello studiare "corteccie".
Non c'è dubbio che la competenza e la logica del porcospino sono appropriati in alcuni domini, ma certamente appaiono meno adeguati per ambiti caratterizzati da incertezza, ambiguità e dinamiche poche definite come nel caso delle scienze sociali, il business, l'economia, il management, ecc.
Fin quì l'articolo.
Mi permetto di aggiungere qualche considerazione più profonda. Anche le scienza, enorme serbatoio non di verità specifiche ma di strumenti, metafore e linguaggi, da tempo ha compreso la natura "intrecciata" (entangled) del mondo. Così come la nostra esperienza quotidiana, e il pensiero di culture diverse dalla nostra, ci suggeriscono.
Più che un confronto tra generalisti e specialisti, allora, abbiamo bisogno di partire da presupposti radicalmente diversi, sopratutto nelle cose "umane", di cui il management e i temi dell'organizzazione fanno parte a pieno titolo. Gli approcci puntuali e specialistici metteno a fuoco degli aspetti ma ne fanno perdere altri. Voler perseguire la totalità dei "dettagli" è operazione inutile, costosa e dannosa.
Se ne ha evidenza quando si scopre che le competenze necessarie per una certa figura professionale sono decine o centinaia. Perseguire lo scopo di fornirle con "formazione" specifica porta molto presto a scoprire che esse non si sommano ma si mescolano, si annullano a vicenda, si perdono nelle menti, e nei comportamenti, delle persone. Oppure quando si desidera raggiungere un obiettivo con uno sforzo straordinario, ad esempio con eventi e iniziative aziendali, od ordinario, funzioni dedicate come la qualità o la sicurezza sul lavoro o la stessa "gestione delle risorse umane", si scopre che le persone si focalizzano su questi aspetti tralasciandone altri ugualmente importanti.
Allora la via da seguire non è semplicemente quella di passare da uno "specialismo" ad un vago "generalismo", ma da un approccio analitico, di cui lo specialismo è figlio e che non sta portando da nessuna parte, ad uno progettuale, costruttivista, che, per le cose "umane", deve essere sociale. La realtà non va analizzata, ma costruita insieme: è questo il vero cambio di paradigma necessario.
Esistono già le conoscenze e gli strumenti per seguire questa strada in maniera compiuta.
Si tratta solo di decidere di smettere di essere "porcospini" voler diventare "volpi".
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
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