di
Francesco Zanotti
Quando un pistone è grippato
o si vuole migliorare le prestazioni del motore, lo si toglie dalla macchina e
lo si manda dal meccanico. Egli lo rettifica e lo reinserisce nel motore.
Purtroppo così si pensa di fare
per la formazione: si prendono le persone e le si mandano a rettificare da quei
rettificatori che si chiamano formatori. Nei modi più partecipativi, ma sempre
di tentativi di rettifica si tratta.
Ora se rettificate un
pistone sapete che risultato otterrete e sapete che funzionerà meglio. Se
cercate di rettificare (anche “empowerare”) un essere umano, non accade così.
Certamente otterrete qualcosa, ma non si può sapere il risultato.
Cosa fare allora?
Occorre che il capo con i
suoi uomini si auto “rettifichino” insieme. Più generalmente: non si può fare
formazione all'esterno di una organizzazione. Occorre che la si faccia nello
stesso contesto nel quale si opera. Nello stesso contesto sociale e
antropologico nel quale si lavora.
Questo significa che la
formazione non la deve fare un formatore di professione perché egli la può fare
solo in ambienti “artificiali”. La devono fare i Capi. Il “formatore” deve
fornire loro le risorse cognitive per riuscirci. Ovviamente queste risorse
cognitive non devono essere le tradizionali soft skills che vengono oggi “insegnate”
nei corsi di formazione.
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