Possono gli obiettivi del management essere raggiunti senza i managers?
Un "caso" aziendale è sufficiente a realizzarlo, o serve altro?
L'articolo di copertina dell'Harvard Business Review ( in inglese, a mio parere migliore, quì anche gratis) di questo mese è quanto di più provocatorio si possa immaginare, sopratutto considerando il luogo in cui è stato pubblicato: Primo, licenziamo tutti i manager.
Leggendolo però si scopre che ha molto più buonsenso ed è molto più praticabile di quanto si possa immaginare.
I vari livelli di manager hanno un costo notevole (da una stima dello stesso autore il 33% dei costi del personale), la struttura gerarchica aumenta il rischio di decisioni disastrose, vista la distanza dalla realtà operativa, rallenta il processo decisionale e disicentiva l'iniziativa dei singoli (il cosidetto "empowerment" è una toppa consunta e retorica che in un contesto gerarchico ha il solo effetto di indispettire chi se lo sente ripetere).
Non ultimo se i managers, elevati a tale rango per coordinare, indirizzare e controllare le persone, dichiarano che non hanno tempo per gestire le persone (verità emersa esplicitamente in una recente attività effettuta in una grande azienda metalmeccanica), la domanda sorge spontanea: a che servono i manager?
Oppure, detta in altri termini, è possibile realizzare gli obiettivi del management (la mano visibile: amalgamare migliaia di disparati contributi in un singolo prodotto o servizio) in modo diverso, coniugando coordinamento, flessibilità e libertà?
Secondo Gary Hamel, autore dell'articolo, sì e per motivi più profondi del caso aziendale che cita.
Vediamo perchè.
La chiave di volta non è quella di liberarsi del management, ma far
sì che questo non sia una responsabilità tutta in capo a singole
persone, cioè permettere che ogni persona che lavora sia manager, di se
stesso, degli accordi con i colleghi, delle risorse necessarie per fare
bene il loro lavoro, dei risultati da raggiungere.
In altre parole il management deve essere una responsabilità di tutti, non di pochi vanitosi (Hamel)
La Morning Star ,azienda californiana citata nell'articolo operante nel settore della trasformazione del pomodoro, è senz'altro eccellente perchè innovativa. La sua innovazione non consiste però nel prodotto o nel processo che adotta, ma nel modo in cui ha deciso di organizzarsi (che poi genera anche miglioramenti di prodotto e processo).
A tal proposito, secondo me, le principali caratteristiche sono due.
La prima è che ha deciso di realizzare un principio di strategia aziendale che sembra essere stato dimenticato da tutti, anche dall'autore che sorvola colpevolemente su di esso, e che nel suo caso costituisce le fondamenta del suo assetto organizzativo: l'azienda è organizzata in business unit (ben 23). Questo elementare, ma importantissimo, dettaglio gli consente di capire, e dunque di intervenire, nelle dinamiche del business non alla cieca ma con cognizione di causa, in maniera specifica. Sapere che in un cesto ci sono tre mele, quattro pere, e cinque patate è cosa ben diversa che dire che vi sono dodici "pomi". Se, ad esempio, le mele al mercato faccio più fatica a venderle, e nel cesto lo spazio è sempre quello, posso decidere di sostituire le mele con le patate o le pere, ricavando di più, piuttosto che buttar mele (continuando ad avere costi per produrle e negarmi ulteriori ricavi da altri prodotti). L'esempio, banalissimo, spero mi perdonerete, è drammaticamente calzante in tante aziende che, arrivate al dunque, ragionano sempre di pomi e mai di pere, mele o patate. Anzi peggio: si imbarcano in contorti, e costosi, progetti di Business Intelligence per cercare di capirlo a beneficio esclusivo di pochi manager, invece di darsi una organizzazione congrua a tale scopop per il beneficio di tutti.
Inoltre, come la Morning Star insegna, è la base del self-management che hanno implementato: senza informazioni specifiche relative al business nel quale lavorano, le persone non potrebbero prendere le decisioni per essere manager di loro stessi.
La seconda è che quel tipo di organizzazione è la più naturale per aziende che si muovono in contesti turbolenti, poco stabili e che richiedono dunque la partecipazione e il contributo di tutti. (bella l'immagine del fondatore Ruper: le organizzazioni dovrebbero essere come le nuvole, cangianti in virtù delle forze in campo a cui sono sottoposte). Nessun approccio top-down, o meccanico, può garantire questo. Peccato che Hamel, oltre l'esempio, non citi le teorie, in Fisica, in Matematica, in Biologia, in Psicologia, nelle Scienze Cognitive e altre ancora, che forniscono quel supporto grazie al quale sarà poi possibile realizzare tecnologie sociali per aiutare una qualsiasi azienda a diventare una Morning Star.
Ancora una volta vengono fuori i limiti cognitivi dell'approccio alle teorie economiche e del management di questi guru ("la miseria teorica della letteratura manageriale, sul piano concettuale, è pari solo al suo enorme impatto pratico" citava mestamente in un suo libro Michela Marzano), pare più interessati a condividere le loro intuizioni, a beneficio personale, che nel costruire una comune conoscenza, a beneficio di tutti.
Con gli esempi, o i "casi", non si va da nessuna parte, troppe le obiezioni che possono sorgere da parte degli scettici (siamo in Italia, siamo troppo piccoli/grandi, siamo diversi...)e nessuna indicazione su come fare per chi genuinamente interessato (quale approccio, quale metodo, come iniziare...).
L'articolo di Hamel rimarrà una brillante intuizione destinata tra qualche giorno all'oblio , o lo stimolo alle aziende per cercare seriamente aiuto e supporto per diventare una "Morning Star"?
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com
Desidero aggiungere un commento all'editoriale della edizione italiana (http://hbritalia.it/on-main/management-e-democrazia/)
RispondiEliminaAl di là della proposizione prorompente, Hamel pone un interrogativo molto serio che può essere formulato in maniera meno devastante: è possibile gestire l'azienda in maniera DIVERSA? Per esempio rinunciando non al management, le cui responsabilità ricadono sui singoli come nel caso illustrato, ma a persone "dedicate", quali sono i manager?
Quale è stata la reazione di Sassoon?
"Iconoclastia", "modello di autogestione" non privo di rischi, tentativo di "democratizzare l'azienda", invito finale a leggere "questo bell'articolo come uno spunto di riflessione e auto-riflessione che può aiutare ogni manager a considerare modi nuovi per lavorare con i dipendenti ... Potrebbe essere un primo passo verso una gestione più libera e meno condizionata da eccessivo controllo, anche se non con l'obiettivo evocato da Hamel dell'autogestione."
Dunque una lettura innocua e leggera, uno spunto divertente a qualche miglioria marginale, chiaro segno di una chiusura autoreferenziale totale, da vera e propria casta, alla pari dei politici e dei sindacalisti. Come a dire "ormai noi (manager) ci siamo e resteremo per sempre, al limite possiamo porci in maniera diversa".
Se la classe dirigente, aziendale in questo caso, ha questo atteggiamento, rifiuta di mettersi in discussione per proteggere interessi di posizione e di parte di fronte un mondo in ebollizione che richiede un nuovo modo di porsi da parte di tutti, altro che crisi ci aspettano!
Su una cosa però ha ragione: la Harvard Business Review è "la bibbia del management mondiale".
Ma non per il motivo che crede lui, ovvero che contiene verità immutabili, ma perchè ricettacolo di "ideologie" scolpite nella pietra e per questo immodificabili, destinate ad essere travolte dalle pratiche di AZIENDE DIVERSE, come la Morning Star, ma chissà quante ce ne sono anche in Italia e nel mondo, che spunteranno sempre più numerose perchè più efficienti ed efficaci.