"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 23 aprile 2013

E’ possibile misurare un sistema umano?


di
Francesco Zanotti


Sul gruppo di LinkedIn di AIDP si è aperta una discussione che mi sembra meriti di essere riportata nel nostro blog.
In particolare vorrei esporre più dettagliatamente, anche se sempre in modo non completo, la mia posizione, come mi è stato richiesto, sul tema.

La posizione di alcuni partecipanti è che è possibile misurare una organizzazione. In particolare sono possibili ed utili misure del clima.
Si tratta di un tema del quale riconosco la delicatezza: tutto un mondo consulenziale fonda la sua sopravvivenza sul fatto che una organizzazione (ma anche un mercato) sia analizzabile. E, quindi, sulla sensatezza di offrire servizi di analisi. Distruggere questa possibilità rende problematica la posizione degli “analizzatore”.
Ma “Amicus Plato (o Socrates), sed magis amica veritas”.
Il nostro riferimento non è alle esigenze dei consulenti, ma alle esigenze delle imprese che necessitano di strumenti, metodologie e processi di governo radicalmente diversi. Come quelli che sto descrivendo nel libro di cui abbiamo iniziato la pubblicazione a puntate e che presenteremo a Milano il 29 maggio.

In questo quadro, l’obiettivo del post è quello di illustrare i riferimenti in base ai quali sostengo che misurare un sistema umano non ha senso. Come non ha senso un management ed un sistema di servizi di consulenza che si offre di compiere questa operazione.

Il primo riferimento è Domenico Parisi e il suo Le sette nane dove tratta in modo abbastanza convincente lo status delle scienze umane. Esse non sono certo scienze esatte. Hanno cercato di usare la fisica classica come modello epistemologico unico, ma ne è nata una parodia. E proprio nel secolo in cui la fisica ha relativizzato la fisica classica come modello epistemologico unico. Se le scienze umane non sono “isomorfe” alla fisica classica, non hanno senso tutte le operazioni che sono possibili in un sistema che rientra nell'ambito della stessa fisica classica. In particolare non ha senso l’operazione di misura.

Il secondo è Peppino Vitiello nel libro Strutture di mondo con il suo contributo Dissipazione e coerenza nella dinamica cerebrale dove si dimostra chiaramente, che per quanto riguarda l'uomo e i sistemi sociali, non esistono identità fisse, quelle che ci appaiono identità sono momentanee e sono frutto di processi di emergenza. Se non esistono identità fisse, ma identità che continuamente evolvono grazie alle interazioni, che senso ha voler misurare caratteristiche di identità come il clima di una organizzazione o i valori e le competenze? Non sono oggetti che se ne stanno fermi e si lasciano misurare.

Il terzo è alla fisica quantistica (non ha senso indicare un autore specifico ma se proprio si vuole: David Bohm). Ovvio che la fisica quantistica non è solo scienza dell'infinitamente piccolo (che ci fa funzionare tutti i dispositivi elettronici), ma è la prima teoria della misura nel caso in cui la forza della misura è dello stesso ordine di grandezza dello strumento misurato. La fisica quantistica rivela, innanzitutto, che misurare significa cambiare. In particolare, nel caso di una misura organizzativa (non solo del clima) questo significa che ogni tentativo di misura crea per tutto il tempo della misura una nuova organizzazione (organizzazione più team di misurazione). La descrizione del clima è la descrizione del clima di questa organizzazione artificiale, per di più vista dal punto di vista di una parte: un misuratore che, appena che ha finito di misurare se ne dovrebbe andare. Cioè si misura il clima di una organizzazione artificiale.

Il quarto è tutto il mondo della complessità. Un autore tra tutti: il compianto Von Foerster con il suo Sistemi che osservano.

Il quinto è costituito da tutte le osservazioni che i filosofi dell'ermeneutica hanno proposto, fino a Jaques Derrida e la suo decostruire e ricostruire. Credo che l'inevitabilità della interpretazione tolga il terreno di sotto a tutti coloro che credo che la loro interpretazione sia una raffigurazione oggettiva del sistema umano che "osserva"
Ma possiamo citare, in campo strettamente manageriale, anche i lavori di Ugo Morelli su estetica e bellezza.

Altro polo di riferimento sono tutti gli studi epistemologici, dove, da Feyerabend in poi, si è capito che una conoscenza oggettiva è impossibile in assoluto. Tanto meno è possibile una conoscenza oggettiva dei sistemi umani. In particolare il concetto di causa ed effetto, che è la metafora più completa della fisica classica, non è sostenibile per i sistemi complessi a causa delle interazioni a distanza (entanglement) che vale anche per i sistemi fisici, come descrive Vitiello, ma come mille fenomeni fisici confermano.

Si potrebbe aggiungere che non si può far confusione tra correlazioni statistiche, come quelle che "rilevano" i questionari, e leggi che governano i rapporti tra causa ed effetto. Una correlazione statistica non identifica un rapporto di causa ed effetto.

Poi, quando si parla di quantificare, occorrerebbe tener sempre presente due fattori. Il primo sono i teoremi di incompletezza di Godel e l'altro che i computer trattano solo approssimazioni numeriche, visto che operano solo con i numeri razionali. Neanche usando loro si riesce a elaborare descrizioni oggettive.
La conclusione?

La prima è che la diatriba tra misurazioni quantitative e qualitative è epistemologicamente infondata. Le misurazioni quantitative non sono possibili. Quelle qualitative sono una contraddizione in termini. Non ha senso parlare di una misura che non si esprima in numeri. Misurare è definire una applicazione che “collega” un fenomeno a un insieme di numeri reali. Se non si vuole parlare di numeri reali questa applicazione … non sa dove applicarsi.

La seconda è già stata già esplicitata esaurientemente da Gary Hammel: il vecchio management è tutto di tipo "Command & Control" (io dico che ha come riferimento la fisica classica).
E, egli sostiene, è del tutto evidente che è superato e da superare. 

3 commenti:

  1. Buon giorno!
    stimo il suo lavoro: sto leggendo il libro ma sono arrivata solo al cap. 7, anche per questo posto qui questo messaggio, piuttosto che nella discussione sviluppatasi in LinkedIn, in cui apprezzo i suoi commenti.
    Ha ragione ad asserire che dovremmo farci "le ossa" e non promuovere i ns piccoli orticelli esperienziali (sempre e comunque limitati).
    La mia è dunque brama di sapere: come si applicano i capp. 1-6 al lavoro di tutti i giorni? L'effetto Howthorne l'ho imparato all'università, come pure l'assimilare l'organizzazione a un organismo vivente... tanto da pensare che queste cose fossero già acquisite nelle aziende. Invece non è così. Come possiamo dunque rendere "operativo", utilizzabile, l'approccio che propone?
    Grazie per gli inviti all'approfondimento per capire da dove nasce la visione, innanzitutto, e grazie per la risposta che vorrà dare a chi si trova a dover "risolvere" problemi tipo quello proposto nel gruppo AIDP da cui è scaturita quell'interessante scambio di opinioni che ci ha portati qui.
    Lì ha proposto come soluzione di "avviare un processo di costruzione di un clima diverso da parte di coloro che generano il clima attuale e che non va certamente bene neanche a loro".
    Ma mi chiedo: così? di punto in bianco?
    "Si parte da una qualunque issue rilevante:qualità,sicurezza etc."... ok, ma in che direzione? Miglioramento per il miglioramento? Cambiamento per il cambiamento?
    Colgo il suo invito a ripensare il mio punto di vista e rilancio:
    "Si parte senza capire? Sì. E non si parte per "cambiare", ma per gestire i processi di evoluzione autonoma di una organizzazione complessa."
    "GESTIRE"? quindi questa evoluzione autonoma si può gestire?! in quanto "autonoma", credo non sia "gestibile".
    O sì? E allora: come?
    Chiara Fezzi

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  2. Cara Chiara,
    grazie dei commenti. La riposta è effettivamente nel Cap. 8 
    In buona sintesi, davvero il punto di partenza è irrilevante. In una nostra esperienza, che viene raccontata su di una rivista internazionale a firma del Cliente, il punto di partenza è stato la sicurezza, ma immediatamente dopo tutti hanno capito che costruire sicurezza era anche costruire qualità etc.
    In un altro caso, sempre riportato sullo stesso numero della stessa rivista, a firma mia, il punto di partenza è stato la definizione di un Piano di ristrutturazione complessivo.
    La scoperta è che le modalità specifiche di sviluppo del processo di evoluzione autonoma di una organizzazione dipendono dal sistema cognitivo di chi vi partecipa. Poiché questo “sistema di sistemi cognitivi” è inconoscibile, allora si parte fornendo a tutti una nuova risorsa di conoscenza comune: un modello della organizzazione informale, di complessità adatta al livello organizzativo affrontato. Usando questa nuova risorsa cognitiva/linguaggio, le persone scoprono i loro spazi di autonomia (e di responsabilità). Usando questa risorsa cognitiva/linguaggio le persone possono essere guidate a disegnare e far vivere una nuova organizzazione informale. E’ un vero e proprio processo di “emergenza” che porta sempre a raggiungere obiettivi molto più rilevanti di quelli che si sarebbe potuto immaginare e ante.
    Questo processo viene avviato dal Consulente, ma deve essere il più in fretta possibile gestito dai Capi diretti di coloro che ne sono coinvolti. Deve essere un processo senza soluzione.
    Mi scuso, ma in una risposta ad un intervento sul blog non riesco a dire di più.
    Posso aggiungere osservazioni generali.
    La prima è che avviando questo processo diventano inutili tutti gli altri interventi di formazione. La seconda è che i Capi scoprono che sono loro a gestire le risorse umane. La terza è che i responsabili delle HR devono fornire ai Capi sempre migliori modelli di organizzazione informale e migliori metodologie di processo. In particolare possono fornire al top management quel patrimonio oggi quasi sconosciuto di metodologie e conoscenze che è costituito dalle metodologie e conoscenze di strategia d’impresa. E questa la nuova funzione che rende realmente strategico il loro ruolo.
    Concludo: è necessario un movimento di giovani (sia consulenti che manager) che abbiamo come fine la ricerca appassionata di sempre nuove conoscenze per aumentare la capacità di Governo delle nostre imprese ed organizzazioni.
    Concludo la conclusione: presenteremo il libro in un seminario il 29 di maggio a Milano. Lì ti potrò fornire una quadro più completo e potrai fare tutte le domande che vorrai.
    Grazie ancora
    FZ

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  3. Grazie. Per precedenti impegni non credo potrò esserci alla presentazione, ma non si sa mai...

    Grazie soprattutto per la risposta.
    Speravo che quel che ho letto e che sto leggendo io fosse alla portata di tutti e, come tale, patrimonio di tutte le persone che - da consulente o da manager - si occupano in qualche modo di persone.
    Ahimé...

    CF

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