di
Francesco Zanotti
Una delle azioni direzionali più comuni
è quella di diffondere un “elenco” di valori, immaginando che esso abbia
effetti “benefici” sui comportamenti e, quindi, sui risultati..
Apparentemente lodevole, ma è un obiettivo
che non può produrre i risultati attesi. E’ più probabile che sia contro
producente. Le ragioni sono le seguenti.
Innanzitutto i valori non sono
oggetti ben definiti che stanno nella testa del CEO. Egli, come tutti gli
esseri umani, ha una esistenzialità profonda che si può esprimere in mille
valori. Ha un patrimonio pressoché
infinito di valori potenziali. Essi si concretizzano, si precisano, quando il
CEO decide di cominciare a “scriverli”. E il processo di definizione dipende
dalle risorse cognitive in possesso del CEO, dalla sua condizione psicologica,
dallo stato del suo sistema di relazioni, dal contesto complessivo in cui si
trova, dal tipo di medium che utilizza (scrivere a mano su di un foglio di
carta o prepararsi una presentazione Power Point ottiene un risultato
completamente diverso), dal tipo di linguaggio che usa.
Il fatto che dipendano da tutte
queste “cose” significa che, se fate stendere ad un CEO due volte l’elenco dei
valori che giudica fondamentali, in due contesti diversi, in due momenti
diversi, prima e dopo aver dato a lui un nuovo sistema di ricorse cognitive, i
due elenchi saranno diversi.
Ancora, è probabile che se fate
vedere ad un CEO l’insieme di valori che lui stesso ha scritto, ma in un
momento diverso, in un contesto diverso,
scritti con un linguaggio diverso, dopo avergli fornito nuove risorse
cognitive, è probabile che non lo riconosca
Ma facciamo finta che esista (e
non è possibile) un elenco di valori che il CEO definisce e riconosce in
qualunque momento ed in qualunque contesto, poi cosa accade di questo elenco?
Accade che occorre diffonderlo. E qui si manifestano altri problemi
Persone diverse interpreteranno
questo elenco in modi diversi e ne daranno giudizi diversi.
Non solo, ma la comunicazione di
un insieme di valori scatena non tanto applicazioni, ma conversazioni sui
valori.
Cioè la comunicazione di un
sistema di valori contribuisce alla chiusura autoreferenziale dei gruppi
organizzativi.
Ma supponiamo che anche il
problema dell’implementazione non esista (ma esiste!). Anche in questo caso lo
sforzo del CEO non otterrebbe i risultati che si aspetta.
E le ragioni sono semplicissime.
La prima è che lui, per primo non sa specificare quali comportamenti sono
l’applicazione di quei valori. E non sa dire esattamente che risultati si possa
attendere. Si illude che le persone “ragionando bene” troveranno loro i
comportamenti conseguenti corretti. Peccato che persone diverse tra di loro e
diverse dal CEO ragionino in modi diversi perché hanno sistemi di risorse
cognitive diverse. E, quindi, deducano dallo stesso elenco di valori
comportamenti diversi. Poiché in una grande organizzazione i sistemi cognitivi
sono molto differenziati è più che probabile che lo stesso elenco di valori
generi comportamenti differenziatissimi, anche opposti.
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