di
Francesco Zanotti
L’ipotesi di fondo della cultura manageriale attuale è che ... serve il manager. E chi è il manager? E’ chi “comanda”. Chi, appunto, “maneggia” uomini, organizzazioni, mercati e non solo. E gli altri ubbidiscano. Se volete usare un linguaggio più soft (ma anche un po’ più ipocrita): il manager è colui che dà le direttive e gli altri le realizzino con passione e dedizione. Ma, nonostante tutti i tentativi di addolcire il messaggio (parlando di motivazione, empowerment, partecipazione, centralità delle risorse umane, importanza delle emozioni e molto altro), la convinzione che fonda la cultura manageriale attuale è che maneggiare è comandare. Duro e puro, aggiungerebbe qualcuno.
Esiste, però, un problema: il
comandare, il dare direttive è possibile solo se l’organizzazione è un sistema
governabile direttivamente.
Non sembri oziosa questa
affermazione: non tutti i sistemi sono governabili direttivamente. Anzi, vi
sono moltissimi sistemi che non sono governabili direttivamente da noi uomini.
Pensate alle nuvole. Occorrerebbe essere vento per riuscirle almeno a spingerle
qua e là … Ma, anche disponendo di questa forza primordiale e incontaminata,
non si riuscirebbe e impedire loro di scaricare la pioggia di cui sono cariche dove
e quando desiderano.
Allora è lecito (anzi:
doveroso) chiedersi se il sistema organizzazione, fatto di uomini (che in
quanto a capricciosità certamente rivaleggiano con le nubi) e di fisicità tecnologiche
varie, è governabile direttivamente.
Se non lo fosse, non si
potrebbe “maneggiarlo” direttivamente, come si cerca di fare oggi. E ogni cultura e strumento di direttività
sarebbe da buttare.
Io ho provato a rispondere alla
domanda se l’organizzazione è un sistema governabile direttivamente o no. E,
dopo un lungo percorso di ricerca e riflessione, ho concluso che non lo è.
Per essere sicuro di spiegarmi
bene: ho scoperto che una organizzazione umana non è un sistema governabile direttivamente.
Da questa scoperta seguono due
corollari particolarmente rilevanti. Sia per la prassi che la speranza.
Il
primo è che le operazioni di governo con le quali si cerca attualmente
di governare direttivamente un’organizzazione (quelle fondamentali: le scelte
strategiche, il governo del funzionamento e del cambiamento. Ma anche quelle di
supporto della gestione delle risorse umane, alla formazione) non possono ottenere
quello che si prefiggono.
Detto più schiettamente,
“maneggiare” direttivamente sembra avere la stessa efficacia del cercare di
acchiappare le nuvole. Anzi vedremo che queste stesse
pratiche che oggi vengono perseguite come “buone” si rivelano dannose: il
“maneggiare” direttivamente è come l’ingresso infuriato di un elefante in un
negozio di porcellane. Le nuvole non si possono accalappiare nonostante un
agitare furioso di mani. Il furioso agitare di proboscidi (ordini direttivi,
fuor di metafora), invece, distrugge le fragili porcellane organizzative.
Il
secondo è che quelle competenze (dalla leadership a tutto
l’armamentario della comunicazione, negoziazione etc.), che servono a governare
direttivamente, sono come la capacità di acchiappare le nuvole. Peggio:
l’insegnarle è come, insegnare all'elefante di cui sopra ad infuriarsi con
determinazione e concretezza.
Detto questo, doverosamente
specifico che non intendo, formulare un’accusa di incapacità alla classe
manageriale. Non è problema di colpe personali, ma dello stato attuale delle
conoscenze strategico organizzative che coltiva nei manager l’illusione che
l’organizzazione sia un sistema governabile direttivamente. E li costringe
a cercare di acchiappare nuvole. Con il risultato di costringerlo a distruggere
la leggerezza delle “porcellane organizzative”.
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