di
Francesco Zanotti
Dalla stessa fonte (La Repubblica
di oggi) due contributi “opposti”. Le università americane stanno copiando la
nostra storia profonda per la sua ricchezza, mentre noi stiamo scimmiottando il
loro passato che loro stessi hanno giudicato povero.
E, poi, due altri contributi
che confermano che la nostra storia (che vogliamo abbandonare per un
americanismo abbandonato dagli stessi americani) è un riferimento mondiale.
Nell’allegato Affari&Finanza
a firma di Patrizia Capua si trovano illustrati i risultati di una ricerca di
AstraRicerche per Manageritalia sulla qualità della scuola italiana. Le
opinioni prevalenti spingono verso una maggiore “concretezza”. Cito alcuni
passi “… manca quel pezzettino in più che serve a contestualizzarle ed
applicarle (le conoscenze)” dice Roberto Cocumazzo. E continua “Non serve solo sapere, ma anche
saper agire”. Poi c’è chi boccia la scuola (Marisa Montegiove, Presidente di Manager
Italia Servizi) e chi la difende (Laura Bruno di Sanofi Aventis). Una grande
voglia di copiare il presunto pragmatismo americano.
In “The New York Times
International Weekly” David Brooks parla di “Inspiring Education” e sostiene
che le grandi università americane, per tradizione orientate al saper fare,
stanno “cercando vie per parlare di moralità e spiritualità”. Più “concretamente”
stanno perseguendo i seguenti obiettivi: illustrare le varie opzioni morali
possibili che vengono dalle tradizioni Greca, Giudaica e Cristiana,
incoraggiare le esperienze trascendentali, scoprire le aree di interesse e suggerirne
nuove, invitare gli studenti ad occuparsi di “Humanities”. Una grande voglia
della nostra Storia.
La mia opinione è che si
contrappone teoria a pratica quando la teoria è troppo povera per ispirare una
pratica significativa. Le teorie manageriali sono uno sterminato campo di
banalità.
Dobbiamo sviluppare
radicalmente nuove teorie manageriali che contengano spiritualità e moralità.
Ed ora gli ultimi due
contributi.
Il riferimento alla Grande
Bellezza che deve essere obiettivo e riferimento fondamentale, come sostiene l’imprenditore
cinese Wang Shi sullo stesso Affari&Finanza. E che Daniela Monti sul
Corriere della Sera di venerdì 9 ottobre rivela essere il criterio fondamentale
di giudizio del cervello umano, citando Karl Grammer, antropologo a Vienna.
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