di
Francesco Zanotti
Non
si discute mai dei limiti del pensiero e della tecnologia digitale e del rischio
di non considerarli. Propongo due esempi.
Il primo esempio.
Oggi sulla “Domenica” del Sole 24 ORE vi è un articolo di
Gilberto Corbellini e Fiorenzo Conti che parla della necessità di migliorare
(eufemismo, perché oggi è quasi un disastro) la qualità della divulgazione
scientifica proponendo un esempio di cattiva divulgazione intorno ad un tema
drammatico. Gli Autori raccontano il caso di un chirurgo che sostiene di essere
pronto al trapianto di teste. E dimostrano come la cosa sia insensata. Ora, la
pretesa che sia possibile farlo è proprio frutto della assolutizzazione del
pensiero digitale per cui tutto quello che esiste (l’uomo compreso) è solo e
soltanto fatto di parti che hanno funzioni specifiche. E’ un assemblaggio di
parti che mantengono una loro identità indipendentemente da dove vengono messe.
Se così fosse, sarebbe complicatissimo, ma pensabile il trapianto
di teste: basterebbe fare bene i collegamenti neuronali e poi il cervello riprende
il controllo del corpo. “Purtroppo” il cervello non è un motore che funziona su
qualsiasi macchina. Cervello e corpo costituiscono una complessità non digitalizzabile:
non si possono individuare parti con funzioni che non dipendono dalle altre
parti. Quindi, se anche qualcuno riuscisse miracolosamente (ma non è possibile)
a far vivere un cervello con un altro corpo, non si saprebbe che tipo di
individuo ne nascerebbe. Non certo sarebbe l’individuo il cui cervello vive prima
in un altro corpo.
Generalizziamo alle organizzazioni: anche l’impiantare un
top manager (il cervello) in un'altra organizzazione (il corpo) è
difficilissimo e non si sa che risultati può generare.
Il secondo esempio: l’Artificial Intelligence.
Non sto a ri-elencare tutte le ragioni per cui un
computer digitale non potrà mai avere le prestazioni di un cervello (impiantato
in un corpo), cito solo le limitazione che gli esperti di deep learning
dichiarano. Sempre dalla Domenica del Sole 24 ORE di oggi Raia Hadsell,
ricercatrice di deep learning, dichiara che oggi siamo in grado (in un certa
misura) di insegnare ad un computer solo a fare una operazione complessa alla
volta. Ad esempio: o impara a giocare a scacchi o a riconoscere persone.
Mettiamo insieme. Dei processi di apprendimento umano non
sappiamo neanche darne una descrizione. Quindi non sappiamo cosa vuol dire
insegnare ad un essere umano. Quando parliamo di apprendimento profondo (deep
learning) ci riferiamo a processi che sanno dare alcune capacità al computer,
ma non hanno nulla a che vedere con le capacità del cervello umano.
E’ probabile che l’apprendimento sia una profonda
ristrutturazione del cervello a seguito
di input esterni.
Allora, se un trapianto di teste riuscisse biologicamente
si scatenerebbe un processo di ristrutturazione profonda del sistema “vecchio
cervello” su di un nuovo corpo che non si saprebbe dove porta
Quando si introduce un top manager in una organizzazione
si attiva un processo di ristrutturazione profonda che non si sa dove porta.
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