di
Francesco Zanotti
Credo che il massimo che si possa fare è cercare di
trovare un linguaggio che ci permetta di parlarne in qualche modo che non sia
banale come l’attuale linguaggio manageriale.
Ho provato a sviluppare un linguaggio per parlare
di un essere umano.
Questo linguaggio vi voglio raccontare.
Un essere umano è, innanzitutto, dotato di una sua
esistenzialità profonda: immense potenzialità di espressione e di evoluzione.
Essa non è conoscibile neanche alla persona
stessa e per tutti gli scopi pratici (e forse anche al di là di questi) può
essere considerata infinita. Uno squarcio di Dio che cammina per il mondo. Vi
sembra eccessivo? Allora provate a guardare negli occhi di una persona. E
cercate di afferrare, definire i confini di questa sua esistenzialità profonda.
Non vi fermerete mai di cercare. Sarete guidati verso profondità sempre più
insondabili. Fino a che rinuncerete perché avrete riconosciuto l’impossibilità
di dare confini all'infinito.
Ho provato a cercare un modello (un pezzo del
linguaggio che andiamo cercando) per descriverla. Mi è venuto in mente il vuoto
quantistico con un aggettivo aggiunto: topologico. Ma non è importante
discuterne ora.
Il fatto che l’esistenzialità
profonda di una persona debba essere considerata infinita comporta che non può
essere analizzata esaustivamente attraverso modelli poveri come le competenze,
il potenziale o qualche altro.
Quando e se si prova ad
analizzarla, per poterla finalizzare a qualche nostro scopo, è come se la si
umiliasse. Ma si tratta di una umiliazione che ci ritorna sulla faccia come un
boomerang. Le persone hanno modo di esprimere, di far vedere quanto la loro
esistenzialità profonda sai molto di più di quanto anche lo sforzo analitico più
intenso riesca a descrivere nel costruire l’organizzazione informale.
E una organizzazione
informale che nasca come reazione al tentativo del management di finalizzare,
quasi di specializzare (quindi rompere, quindi umiliare) l’esistenzialità
profonda delle persone, non viene certo finalizzata al raggiungimento degli
obiettivi che lo stesso management vuole perseguire.
Il management deve riconoscere
l’esistenzialità profonda delle persone non per motivi ideali, ma perché gli è
indispensabile. Prima di tutto per riscoprire e coltivare la sua personale
esistenzialità profonda che non può essere assorbita (quindi umiliata) in
giochi di potere. E, poi, per non farsi rivoltare contro le esistenzialità
profonde di tutti gli altri uomini.
Detto più brutalmente:
perché cercare descrizioni che coglieranno solo frammenti artificiali di una
persona e non cercare “sfruttarne” la ricchezza inesauribile?
L’esistenzialità profonda di
una persona è anche “misteriosa”.
Essa non solo non è
“disvelata” dalla cultura manageriale, ma non lo è neanche (pienamente)
ricorrendo ai risultati delle scienze naturali ed umane.
Gli sforzi di psicologi,
psicoanalisti, neuroscienziati, filosofi e poeti non arrivano ad alcuna
conclusione definitiva. Infatti, c’è chi pensa che sia fatta di entità
individuabili come pensieri, emozioni e sentimenti. C’è chi si spinge a pensare
che la nostra esistenzialità sia nient’altro che un insieme di segnali
elettrici. C’è chi pensa quasi il contrario: che sia costituita da una qualche
entità misteriosa che utilizza il nostro corpo come strumento. C’è anche chi
pensa che la nostra esistenzialità profonda si estenda al di là del corpo.
C’è anche chi vede
l’esistenzialità profonda non come una entità, ma come un processo.
Ma nessuno è in grado di
proporre una sintesi complessiva.
L’esistenzialità profonda,
delle persone, alla fine, rimane un mistero che è sconosciuto alla persona
stessa e che il pensiero cosciente dell’uomo in nessun modo è in grado di
esaurire.
Soprattutto nella società
occidentale dove le pratiche meditative sono quasi completamente sconosciute.
Io credo che si possa
pensare all’esistenzialità profonda di una persona come la sua umanità, inesauribile,
allo stato nascente. E uno stato nascente che non l’abbandona per tutta la
vita.
Anche la metafora dei talenti
è troppo povera.
Il talento ha a che fare con
l’esistenzialità profonda molto alla lontana. E’ semplicemente il risultato che
si ottiene guardando le persone con uno sguardo che ne privilegia solo alcune
caratteristiche all’interno di un certo contesto. Chi insiste a cercare
“talenti” finisce sempre e solo per scoprire talenti sempre uguali a se stesso,
in un narcisismo senza fine.
In realtà tutte le persone
sono talenti infiniti. Il compito primo del manager è imparare e vedere e
contare su questa esistenzialità profonda.
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