"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 5 febbraio 2013

La gestione del "cambiamento": un paradosso organizzativo...

(...e una proposta per risolverlo) 
di
Luciano Martinoli

Abbiamo provato ad affrontare il problema del cambiamento, o "change management".
Guardandolo abbiamo rilevato una serie di assurdità che invece vengono considerate normali. La prima, e la più rilevante, è la seguente: il cambiamento organizzativo, se per cambiamento si intende la descrizione di un processo che consente ad “A” di divenire “B” in modo chiaro e fattibile,  non è descrivibile, dunque che senso può avere discutere su come realizzarlo?
Tentando un parallelo, è come se si volesse decidere dell'opportunità di viaggiare in treno o in aereo senza prima aver deciso la destinazione da raggiungere!

Allora abbiamo cercato un'altra strada e abbiamo scoperto che l'organizzazione cambia autonomamente, ha una sua vita, un suo processo di sviluppo.
Ma come si svolge questo processo di sviluppo autonomo?

Per cercare risposta abbiamo indagato tra tutte le teorie organizzative e abbiamo trovato conoscenze necessarie ma non sufficienti. Per colmare le lacune la nostra indagine si è allargata al mondo generale delle scienze naturali e umane e abbiamo scoperto le leggi che governano l'evoluzione. Successivamente ci è venuta un'idea di come governarlo; un cambio di paradigma radicale: dal "change management" al "governo dell'evoluzione autonoma" dell'organizzazione.

Data la novità di questa proposta, che verrà descritta in un libro che renderemo via via disponibile, sentiamo il dovere di sottoporci al vaglio della comunità professionale, affinchè si generi un dibattito tanto urgente quanto necessario.

Iniziamo inviando, a coloro che sono interessati a partecipare, la prima parte: un breve "trailer" (facendone richiesta al mio indirizzo  l.martinoli@cse-crescendo.com ).

La nostra vuole essere una possibile "traccia" sulla quale costruire socialmente la soluzione a questo "paradosso", tanto grave in quanto sottaciuto e accettato come vero (e forse alla base dell'attuale incapacità di uscire dallo stato di "crisi" nel quel ci dibattiamo da troppo tempo).

23 commenti:

  1. Luciano mi sono bevuto il trailer che mi hai mandato e sono profondamente d'accordo con te sulla fenomenologia dell'organizzazione che rappresenti. Di fatto quella E' l'organizzazione, e non le semplificazioni riduzionistiche che oggi chiamiamo management.
    Sul cambiamento siamo in linea, l'organizzazione come sistema adattivo complesso sa stare nel flusso del cambiamento in modo autonomo sapendo trovare le proprie strade come un rivolo d'acqua.
    Il tema è certamente come starci sopra per chi ha obiettivi da "estrarre" da quell'esperienza che è l'organizzazione fatta di sistema di relazioni, persone e tecnologie abilitanti (non intendendo solo quelle digitali, ma anche oggi).
    sono curiosissimo di vedere tutto "il film" dopo aver visto il trailer. Per conto mio spero di trovare, nella scena riguardante gli strumenti di surfing manageriale (per sostituire governo che non amo), l'ermeneutica: un approccio aperto, liquido, mai concluso che si ciba di dati meta-oggettivi come la cultura organizzativa, la conversazione permanente, l'apporto innovativo partecipato, i flussi di comunicazione, ed altri, per interpretare (e non meramente analizzare) le organizzazioni moderne.
    A presto!

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  2. Ciao Luciano, premetto che non ho il dono della sintesi e neppure un livello culturale che mi permetta di risponderti rispetto alle considerazioni sulla fisica quantistica.
    Credo però di essere perfetta per impersonare il signor Giovanni, per questo mi sono detta che sarebbe valsa la pena di scriverti le mie considerazioni.
    Ho apprezzato molto il tuo trailer, mi ha dato l'impressione di una mongolfiera che si libera dall'involucro col quale è stata incartata e tenta di prendere il volo senza ingombri intorno.
    Andiamo per gradi.
    Il punto cruciale secondo me risiede qui: "Fermiamoci un attimo. La tesi che ho illustrato si può sintetizzare in un modo molto semplice, anche se un po’ crudo: il processo direzionale classico (analisi, progettazione, implementazione e controllo) non può funzionare per la gestione del cambiamento di una organizzazione umana. "
    Ecco, anche le conclusioni del mio continuo osservare da signor giovanni e tra i signori giovanni, è che non è possibile controllare le persone .. e che proprio questo dovrebbe essere, invece, la sfida, la scintilla che porta al cambiamento, anziché divenire la frustrazione dei manager che vedono il (loro piccolo) mondo sfuggire (loro) di mano.
    Questo è ciò che io vivo, vedo e ascolto ogni giorno quando lavoro e sul treno di pendolari fatti di blue e white collar che si mescolano e parlano anche di questi argomenti "Adesso si inventano cose nuove da fare, che non servono a niente, si stava ben meglio una volta" oppure: "Finalmente si sono decisi a cercare di dare una svolta alle cose, e a velocizzare dei passaggi"..
    Ti parlo di me, per darti modo di contestualizzare:
    lavoro come impiegata in un hotel a conduzione familiare, dove i miei titolari (una coppia) ricoprono il ruolo di direzione ed amministrazione.
    "Sono" ufficialmente l'ufficio contratti ma in realtà non ho nessun tipo di potere all'interno della mia organizzazione, poiché tutte le decisioni sono demandate ai titolari, per loro precisa volontà.
    La passione per le organizzazioni l'ho sviluppata sin da bambina, vivendo in una famiglia che gestiva un'azienda, e che trascorreva tutto il tempo dei pasti a discutere su come suddividere il lavoro tra gli operai, e lo stesso accadeva nella famiglia in cui sono andata ad abitare quando mi sono sposata.
    Quello che ho notato in tutti questi anni, è che chi "comanda" ha la necessità del controllo. Ovvio.
    Quello che sta succedendo ora è che tutto accade così velocemente, ed i cambiamenti a cui fare fronte sono talmente tanti, che il controllo non si riesce più a tenere.
    Un po' come il voler cercare di esercitare il controllo sulla Brand Reputation online.
    Così, mi pare, mai come oggi, e da oggi in poi, le organizzazioni vincenti potranno essere solo quelle che riusciranno a considerare le persone al loro interno come risorse e non come limite o gregge da tirare, ovvero che saranno in grado di liberarsi dagli involucri che ricoprono le loro mongolfiere per potersi librare sopra le teste di chi non è altrettanto illuminato.
    Altrimenti, come mi capita di dire a volte ai miei titolari, tanto vale che tutti i signori Giovanni del mondo siano sostituiti da scimmie ben addestrate ed ottime esecutrici, che magari non hanno neppure la necessità di un compenso.
    Le persone, però, sono un'altra cosa.
    Chissà, è una visione del mondo un po' troppo romantica? :-)
    Grazie per avermi dato l'opportunità di dire la mia.

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  3. Buongiorno, forse l'attività di consulenza sta anch'essa trasformandosi e plasmandosi in forme diverse (a volte certamente non "nuove" ma riciclando forme di "ieri") cercando risposte ad ambiti in cambiamento.
    Non riesco a cogliere in modo chiaro cosa e quale consulenza sia da evitare se questo era un messaggio dello stimolo di riflessione proposta.
    Sicuramente quella consulenza, in qualsiasi forma si esprima, che non sia in grado di aiutare l'azienda per la quale offra le proprie competenze.
    Siamo d'accordo?
    Cordialmente,
    Fabrizio Rangoni

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  4. Preciso meglio ciò che volevo comunicare, e mi scuso se non si evince dal post. Non mi permetto in alcun modo di screditare modi di fare consulenza: se ha mercato e clienti che la vogliono ben venga per tutti. Le interviste presenti nella rivista Hravrd Business Review di Dicembre scorso, che non ho potuto riportare perchè non disponibili online ma che fanno parte essenziale del post, e che invito dunque a leggere (se qualcuno le volesse gliene posso inviare copia via email, tracciano il profilo che ho commentato: la consulenza in ottica "sostitutiva", anche se temporaneamente, del management. Questo è ciò che è offerto, intervista ai consulenti, questo è ciò che è richiesto, intervista ai clienti.
    Ma se qualcuno volesse avere strumenti e metodi per "guardare il mondo in modo totalmente diverso" per poi da questa nuova vista avere ispirazione per fare le cose in modo diverso, a chi si rivolge, visto che il mercato offre solo "iperspecializzazioni" di ciò che si sa?
    Aggiungo: come possono accettare i manager questo approccio sostitutivo che mette in discussione la loro professionalità, qualora il consulente sia stato imposto e non scelto da loro?
    Luciano Martinoli

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  5. Il consulente è la figura professionale più difficile da inquadrare.
    Come consulenti è indicato il popolo delle partite IVA: fa lo stesso lavoro degli altri ma è lavoratore autonomo quindi è un "consulente".
    Come consulenti sono indicati i giovani neolaureati al seguito dei patner delle grandi società di consulenza di scuola americana. Predispongono le presentazioni, portano la borsa al guru, guadagnano poco ma costano tanto....
    Come consulenti sono indicati anche quei manager che operano a tempo determinato: i temporary manager.
    Come consulenti sono indicati quei professionisti con indiscutibili capacità professionali che individuano innovazioni, suggeriscono soluzioni, supportano implementazioni e che migliorano le competenze del management.
    Potremo individuare altre figure professionali che sono etichettate come consulenti.
    Il problema che pone Luciano è reale. Cosa significa fare consulenza? Le etichette servono poco, ma se devo comprare "competenze" è giusto sapere quali, o no?
    Inoltre, mi chiedo, se io chiamo un Temporary manager lo faccio per avere un manager a tempo determinato e poter evitare di pagargli gli indennizzi contrattuali quando decido per la sua uscita, lo faccio per affiancare un giovane manager per cui voglio (o devo...) un rapido sviluppo di carriera; oppure, molto più semplicemente, lo faccio per pagargli con un contratto di lavoro dipendente una consulenza altrimenti costosa?
    L'etichetta non è importante fino a quando è chiaro per tutti di cosa si parla sia per il cliente che per il "consulente".
    Carlo Landriani

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  6. Scusate se introduco una mozione d'ordine: il mio era un commento a due articoli di una rivista. Senza la lettura di essi risulta poco comprensibile il senso di ciò che volevo dire, e conseguentemente i commenti che richiedevo. Chi fosse interessato mi comunichi il suo email a luciano.martinoli@gmail.com e gli invierò copia articoli.
    Il rischio che vedo altrimenti è la contrapposizione sulle parole senza essersi messi d'accordo su cosa ognuno intenda per esse.
    Luciano Martinoli

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  7. Luciano, non è una provocazione la mia, e nemmeno il paradosso del paradosso.., ma ho letto il tuo link e non ci ho capito nulla. So che ti metto la battuta sul classico vassoio d'argento (potresti rispondermi tranquillamente "è un problema tuo...") ma that's that. Graziano Camanzi

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    1. Graziano
      Grazie della precisazione, mi aiuta ad essere più chiaro. Mettiamola così: hai presente il change management? Penso di sì visto da dove mi scrivi. Bene da una analisi approfondita abbiamo "scoperto", ma è una scoperta che chiunque può fare, che è un "paradosso" (qualcosa che appare corretto ma porta ad una contraddizione). Il come è perchè, nel dettaglio, è descritto nel libretto. Se però già nel post non sei d'accordo su alcune cose (ad esempio la prima affermazione "il cambiamento non è descrivibile") indicamele, potrà essere la prima mossa per fare chiarezza.
      Immagino che avendomi scritto della mia poca chiarezza in qualche modo sei interessato al contenuto. Luciano Martinoli

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    2. Sarebbe troppo lungo e time consuming entrare nei dettagli di un ragionamento che, come Assochange (non ti ho mai visto, tu ci sei?) stiamo tentando di fare. E' abbastanza ovvio che una terminologia come "change managemenrt" (premetto che non sono uno storico né uno studioso teorico, la mia storia è una storia di manager...) poteva avere, una trentina d'anni fa, un valore dirompente mentre oggi, con la filosofia del "cambiamento come unica costante della quale disponiamo" questa dirompenza è quasi un deja vu e la necessità di ridefinire un po' il tutto si impone. Ciò non toglie che dietro questa terminologia ci siano, comunque, sia strumenti tecnici (un giretto su google accontenta chiunque come informazione di start...) sia approcci "possibili" da codificare rispetto a pratiche aziendali da analizzare e da mettere a fattore comune. Se, p.e., parto proprio dalla tua provocazione "il cambiamento non è descrivibile" ecco, io non capisco che cosa tu voglia dire (a meno di non ricondurmi al "questa non è una pipa" di Magrittiana memoria...). Perchè il cambiamento non è descrivibile? Faccio solo un esempio quasi banale, il primo che mi viene in mente mentre scrivo. Se l'Italia è il paese delle PMI e questo elemento può diventare un fattore di successo o restare (come purtroppo sta accadendo...), un fattore di inadeguatezza rispetto al fenomeno della globalizzazione ecco, come facciamo a fare in modo che il circolo virtuoso si attivi? E se riuscissimo a stabilire delle "buone pratiche" da divulgare nel paese non faremmo un importante cambiamento e, raccontandolo e implementandolo, non lo renderemmo descrivibile? Graziano Comanzi

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    3. Ecco è questo il punto. Per "cambiamento" si intende, etimologicamente ma anche scientificamente che una cosa da "A" diventa "B", ovvero un'altra cosa (come anche nel tuo esempio ricordi). Quello che tua hai descritto non è allora un "cambiamento", che è un processo, ma un desiderio di cambiare senza sapere come. Tutti i tentativi fatti finora, e il giro su google "da mo' " che me lo sono fatto e letto anche oltre, partono da un presupposto falso: che l'organizzazione, di qualsiasi tipo e dimensione, sia come una "sedia", ovvero un oggetto con caratteristiche fisiche evidenti a chiunque la voglia "analizzare".
      Pratiche decennali invece dimostrano che così non è. Se analizzo io otterrò una rappresentazione, se lo fai tu, un altra. Dunque l'organizzazione non è un oggetto. E allora non la si può cambiare, figuriamoci descriverne il cambiamento. Nel libretto intendiamo proprio affrontare questo equivoco di fondo e individuare, attraverso un lavoro di ricerca effettuato, una nuova direzione che abbia fondamento.
      Grazie comunque per lo spunto. Luciano

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  8. Saluti a tutti.
    Visto che sono il "responsabile" della tesi secondo la quale non si riesce a definire in ambito organizzativo cosa si vuole cambiare, mi sento in dovere di fare sentire la mia voce. Per confermare questa tesi. Imbarazzante forse, ma è meglio essere imbarazzati e migliorare che non esserlo e non concludere nulla.
    Caro Graziano, il cambiamento che tu auspichi, poi, in effetti non lo descrivi in termini operativi. Quindi non si riesce a capire come realizzarlo e quando questo si intende realizzato. Ad esempio, tu parli di buone pratiche per le PMI (ma noi non stiamo parlando di cambiamento organizzativo all'interno di organizzazioni complesse?). Ma se non dici quali sono, dove si trovano, come si fa a diffonderle, se non dici se sono pratiche strategiche, organizzative, relazionali etc. come si fa a progettare come diffonderle? E, poi, anche quando le abbiamo diffuse come facciamo a sapere se vengono o meno utilizzate? E se gli imprenditori non le considerano "buone" o non le utilizzano consideri che il cambiamento c'è stato o no? ...
    Un altro tema rilevante riguarda il rapporto tra teoria e pratica. Tu dici che sei un manager e non uno storico o un teorico. Ma con questo che vuoi dire? Che gli storici e i teorici sono inutili? E se non sono inutili, come secondo te un manager dovrebbe relazionarsi ad essi? Ignorarli, imparare? Cosa?
    Se prendo una qualunque altra professione, la teoria è condizione necessaria. Certo non sufficiente, ma necessaria sì! Ed è considerato necessario essere aggiornati sullo sviluppo delle teorie. Nel management pensi che la teoria sia solo "teorica", quindi sia superflua? Sia solo masturbazione mentale? Credo che antropologicamente e cognitivamente sia assodato che ogni pratica si basa su di una teoria, anche se implicita. Allora perché questa teoria non deve confrontarsi con quelle che vengono sviluppate in ogni parte del mondo?
    Accidenti sono stato polemico? Beh in ogni caso "absit injuria verbis" ...
    Grazie per l'ascolto ed un caro saluto a tutti.
    Francesco Zanotti

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  9. Ho difficoltà a concordare con il punto di vista del blogger.
    Si può dire che descrivere il cambiamento organizzativo sia un lavoro difficile, ma non certo che non sia descrivibile, si può concordare sul fatto che non abbia senso decidere quale mezzo prendere senza sapere dove andare, ma la gestione del cambiamento serve proprio laddove una scelta o una necessità (strategia, mercati, prodotti, M&A, nuovo management, etc.) suggeriscano la necessità o l'opportunità di un importante cambiamento organizzativo e, di conseguenza di una sua definizione e gestione.
    Concordo invece sul fatto che le organizzazioni abbiano una propria storia, una propria costituzione interna, una rete di leadership e followership indipendente dagli organigrammi, una propria evoluzione e cultura, di cui bisogna assolutamente tener conto per gestire le inevitabili resistenze al cambiamento che, in quanto processo che forza una variazione dell'esistente, può essere percepito come violento.
    In questa ottica è importante distinguere il "change management" calato dall'alto (modello "ideale" che da un giorno all'altro viene calato su un'organizzazione) e quello di tipo adattivo capace di conciliare i presupposti e gli obiettivi del cambiamento con le possibilità e i tempi che le persone componenti l'organizzazione, con l'opportuno supporto, hanno di realizzarlo. Giampiero Divotti

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    1. Grazie Giampiero
      Quello che ho scritto è però soltanto l'inizio, anzi l'annuncio dell'inizio, di un "film" sul change management. La storia che vogliamo raccontare è abbastanza articolata, come il tema richiede. Spero dunque che vorrai contribuire con i tuoi spunti anche sulle fasi più di dettaglio del racconto.
      Nel frattempo il "trailer" sei interessato a vederlo o ti accontenti di giudicare la locandina? :)
      Grazie, attendo tue. Luciano Martinoli

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  10. Ho riflettuto su alcune affermazioni fatte nell'articolo correlato (non ho visto il trailer...), ma alcune cose faccio fatica a comprenderle. Se posso intuire che sia difficilmente descrivibile il cambiamento, credo pero' che sia abbastanza semplice definirlo: ovvero e' il passaggi dallo stato 'A' allo stato 'B', ove 'B' e' l'obiettivo.
    Quindi il 'Change Management', nella mia visione, non e' un paradosso: magari e' un po esagerato definirlo 'management', e che forse la parola italiana da utilizzare dovrebbe essere 'guidare', invece che 'gestire'.
    Conseguentemente il suo compito e' quello di rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dello stato 'B' (... ad ampio spettro...), nel frattempo spingendo la struttura a cambiare 'verso' B.
    Ovviamente, come tutto il resto della nostra vita, di deterministico ha abbastanza poco, a parte la nostra illusione... d'altra parte gli elettroni continuano a girare in modo certo attorno agli atomi pur se sugli orbitali...
    ... quindi, cosa mi sfugge?...Graziano Previato

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    1. Grazie Graziano
      In effetti lo scopo del post è sollevare questi dubbi per richiedere i vari capitoli (tra poco esce il secondo) e stimolare un dibattito.
      Non lo abbiamo messo in linea perchè ci interessava capire chi è interessato ed evitare di annoiare gli altri.
      Ho richiesto il tuo contatto in modo da conoscere il tuo indirizzo e inviarti il tutto (se gradisci).
      Giusto per aumentare l'incertezza: la tesi è che mentre per cose "calcolabili" il passaggio da 'A' a 'B' è descrivibile in maniera chiara e non ambigua (cambio la ruota all'auto, cambio la rotta per andare a Roma, cambio la bicicletta vecchia, ecc.) per cose più "complesse" (organizzazione)non solo 'B' non possiede queste caratteristiche ma non si è in grado nemmeno di conoscere 'A' (ripeto: in modo rigoroso e non ambiguo)... Luciano Martinoli

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    2. Luciano, grazie a te per la cortesia e per la risposta.
      Personalmente credo che il mondo (tutto il mondo...) non sia ne possa essere considerato deterministico. Quindi sempre e comunque l'incertezza (...statistica..) regna sovrana... Per usare un'espressione che mi e' cara: 'La certezza matematica e' un tentativo goffo di approssimare la statistica'... non ricordo dove l'ho letta... E d'altra parte, ricordo anche una vecchia affermazione di Freud, che diceva che la psicanalisi e' una scienza perche' ha 'pratica clinica', ovvero praticata in clinica dava i suoi risultati...
      Quindi, se guardiamo con gli stessi occhi anche i cambiamenti organizzativi, allora direi che il 'Change Management' ha 'pratica clinica'...

      ... e' giusto che una disquisizione... Graziano

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  11. Ciao Luciano, l'argomento mi interessa molto, ho visto dal tuo blog che sono "usciti" già i primi due capitoli. Mi piacerebbe leggerli!
    Grazie
    Primiano Augelli

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  12. Ciao a tutti ..la colpa è tutta mia :-) Ho scritto io (e persevererò nell'errore) i testi che Luciano con grande passione distribuisce, ai quali sta dando il suo contributo e che, ovviamente condivide.
    In parole brutali la nostra tesi è la seguente. Per cambiare una cosa occorre che la si conosca: lo stato A di Graziano. Poi occorra che si sappia dove mandarla: lo stato B sempre di Graziano.
    Bene, innanzitutto di una organizzazione non si può dare una descrizione completa. Cioè lo Stato A non lo posso conoscere. Poi: non sono in grado di descrivere uno stato B, neanche in modo approssimativo. E, da ultimo, anche se conoscessi A e B sarei nei guai lo stesso perché non so a quali leggi risponde il sistema che voglio far passare da A a B. Se non ne conosco le leggi non posso agire su di un sistema.
    Se volete peggiorare il quadro, una organizzazione ha sue autonome capacità di evoluzione.
    Sommate tutto: non so cosa cambiare, non sono come cambiarlo e quello che voglio cambiare si cambia da solo ogni giorno.
    Vedete voi se ha senso l'espressione "Change management" ...
    Quello che si può fare è guidare i processi di evoluzione spontanea di una organizzazione. Come vuol dire esattamente e come fare fare .. ai prossimi capitoli del libro.
    Un caro saluto a tutti
    Francesco Zanotti

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  13. Caro Luciano le nostre ultime esperienze ci dicono una cosa assolutamente eguale! da parte nostra più che di "governo" amiamo parlare di "presidio" quale capacità di leadership a generare in modo permanente una "viabilità" aziendale che tende ad auto-definirsi; ovverosia il migliore tra i percorsi possibili in quello specifico contesto ... e non altro. poi ovviamente la questione ha mille risvolti sui quali dialogare. Ma penso che il presupposto diviene "paradosso" qualora il modello interpretativo sia quello classico di stampo determinista. Il paradosso non ha secondo me motivo d'essere se la vita della dinamica aziendale è affrontata con un approccio complesso. Per cui dal mio punto di vista parlerei di emergenze e di successive forme organizzative e non più di cambiamento; in una ottica di tipo complesso le visioni e le missioni vengono generate e composte in modo assolutamente diverso ed il "cambiamento" è solo il modo in cui si "etichetta" un cammino ai vari livelli relazionali: dalla persona alla community. Che ne pensi?
    Grazie per le idee!
    dario

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    1. Grazie Dario
      Non ho capito però se sei interessato a seguire questa "traccia" che proponiamo, e ti invio il capitolo 1 del libretto, oppure no. I punti di contatto ovviamente ci sono tutti, mi piacerebbe però che il dibattito si spingesse più a fondo, in profondità, solo così potranno venir fuori proposte operative per le aziende e i loro manager. Luciano

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    2. Caro Luciano, a dire il vero è una traccia che seguo da molto tempo. Non amo mostrarmi ma in questo caso ti segnalo che proprio uno dei miei due ultimi libri tratta proprio di questi temi. da una rivisitazione del concetto di evoluzione a tanti altri temi che sono "adiacenti" ed "utili" ad affrontare secondo nuove prospettive l'etichetta del "cambiamento". Dunque per me non si tratta di concetti nuovi. credo in quel libro di aver spinto già in profondità alcune idee ed anzi di averle già applicate concretamente in alcuni recenti interventi organizzativi. per cui più che interessato ad approdare al pensiero di altri sarei interessatissimo a generare con altri e per tutti nuove idee. Che ne pensi? Dario

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    3. Daccordissimo, di conseguenza per conoscere il livello di profondità al quale sei giunto, che evidentemente ritieni ineguagliabile considerando il disinteresse per la nostra traccia, e per poter generare nuove idee, che però devono essere nuove in assoluto e non sentite per la prima volta solo da noi, lo sforzo lo faccio io. Dimmi il nome del libro, Lo compro, lo leggo e costruiamo insieme, ognuno sulle conoscenze dell'altro.
      Che ne pensi?

      P.S. Scusami Dario, fuor di polemica, consentimi un nota di metodo. E' mai possibile che in questo settore si parte sempre dal presupposto che chiunque abbia qualcosa di nuovo da dire, prima ancora di averlo detto, viene sempre considerata una sua "opinione" ("il pensiero di altri" che citi) e mai un contributo a conoscenze comuni e condivise già note, come ben specifico nel post? Abbiamo studiato, abbiamo cercato e su questo che già si sa abbiamo aggiunto. Se fossimo due matematici,o fisici, o biologi alla proposta di conoscenza nuova si risponderebbe con interesse per essa e solo dopo averla valutata eventualmente "nota", indicando dove è già stata prodotta, invitare l'altro a partire da lì.
      Se nemmeno nella "accademia" vi è un fermo è costante richiamo a questo metodo di costruzione "sociale" della conoscenza, e si parte sempre da preconcetti e luoghi comuni, come potrà mai progredire questa disciplina?
      E ti ricordo, sempre fuor di polemica, che la conoscenza radicalmente innovativa è sempre stata prodotta fuori dalle "istituzioni": Einsetin, Darwin, Luhman, Verdi e tanti altri erano ufficialmente dei dilettanti. Non è un attacco questo nè a te nè all'Università, ma un invito ad avere più attenzione a ciò che proviene da "fuori".
      Scusa lo sfogo, spero tu ne colga l'essenza costruttiva e... attendo davvero il titolo del tuo libro per leggerlo. Io e i miei colleghi così operiamo.
      Ciao, Luciano

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