di
Francesco Zanotti
C’entra perché essa non riguarda solo il microcosmo, ma costituisce una
nuova visione del mondo. Guardando le risorse umane dal suo punto di vista,
esse appaiono e possono essere valorizzate come persone. Con grande gioia degli
azionisti …
Oggi (purtroppo) prevale ancora la visione del mondo propria della fisica classica
che considera le persone “risorse umane”. Cioè: oggetti classici.
Esse hanno caratteristiche intrinseche ben definite e misurabili: un
“potenziale” esattamente descrivibile “in vitro” (cioè in modo indipendente dal
contesto). Sono dotate di risorse altrettanto ben definite e separate le une dalle
altre: le competenze. Queste competenze sono come strumenti ai quali ne possono
essere aggiunti altri, uno strumento, una competenza per volta. Le risorse
umane dispongono di un patrimonio di competenze che devono essere arricchite e possono
essere richiamate quando servono.
Hanno una ovvia capacità decisionale, ma che è di tipo razionale (si
sceglie l’alternativa più conveniente). Per questo possono essere “gestite” con
una comunicazione che spiega cosa è giusto fare e con premi e punizioni per
spingere nella direzione giusta.
Insomma, secondo la visione classica del mondo, le risorse umane sono
strumenti della direzione. Strumenti preziosi, ma strumenti. Strumenti da
conoscere, da migliorare a da usare.
Ed ora vediamo la versione quantistica. Poi ognuno sceglierà quella che
giudicherà più “consona” per se’ e per gli azionisti. Non dimentichiamo gli azionisti
che, prima o poi, potrebbero informarsi su come vengono gestite le persone.
Le persone, ogni persona è un insieme incommensurabile di potenzialità di
divenire. La fisica quantistica suggerisce la seguente metafora: ogni persona è
un “vuoto quantistico infinitamente pienissimo”. La loro storia personale ha,
piano piano, sopito molte di queste potenzialità. Le ha cristallizzate. Anche
la loro storia aziendale ne ha tacitate molte. Ogni sforzo per misurare quante
ne restano (il potenziale) non esplora certo le opportunità rimaste. Ma è
capace di individuarne solo pochissime ed in modo banale. Trascurando tutte le
altre e, quindi, ponendo le basi per la loro eliminazione.
Ma, come la matematica ci insegna, per quante volte (numero finito di
volte) togliate quantità finite di potenzialità di divenire, queste rimarranno
infinite.
“Maltrattate” fino a che volete le
persone, ma non riuscirete a smantellare questa loro potenzialità infinita di
divenire.
Ogni sforzo direttivo (sia esso formativo che direttivo in senso stretto)
agisce su una infinità di potenzialità di divenire sconosciuta. Il suo
risultato non può essere una finalizzazione, ma diventa “casuale”. Al massimo
riesce a far sì che le persone non usino questa loro potenzialità di divenire
nell’impresa, ma fuori di essa.
In sintesi, secondo la visione quantistica le persone sono potenzialità
infinite irriducibili che uno sforzo direttivo può solo rovinare a non
indirizzare.
Che fare allora? Quale punto di vista adottare? Le esigenze di sviluppo
strategico hanno bisogno di risorse strumenti o di persone che sono infinite potenzialità
di divenire e fare? Come “gestire” queste persone infinite?
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